Perché la piazza non ama la verità

di Alessandro Gnocchi


Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  16 febbraio 2016

Titolo, immagini, impaginazione e neretti sono nostri



Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


mercoledì 16 febbraio 2016

È pervenuta in redazione:

Egregio dottor Gnocchi,
ho esitato a scriverle dopo la sua intervista all’avvocato Elisabetta Frezza su Family Day e legge Cirinnà, ma mi sono deciso a farlo dopo la sua risposta alla lettrice della scorsa settimana, che tornava sull’argomento anche se in modo più ampio. Devo dirle che io facevo parte dei due milioni del Circo Massimo e mi sono sentito offeso da quanto lei ha scritto e anche da quanto ha sostenuto l’avvocato Frezza. Se ho ben capito il suo ragionamento, noi che siamo scesi in piazza saremmo dunque un branco di fessi che non capisce niente, ma forse è meglio far qualcosa piuttosto che rimanere inerti. Con la mia famiglia e tanti miei amici ci siamo alzati alle quattro di mattina, abbiamo fatto una gran fatica per andare in piazza a difendere la verità. E voglio anche precisare che per farlo non è necessario affermare sempre, come invece dice lei, la propria appartenenza religiosa, basta mostrare l’appartenenza alla famiglia umana, altrimenti chi chiudiamo in un ghetto e non contiamo più nulla. Ma facciamo pure l’ipotesi che abbiamo sbagliato. Anche se così fosse, quando qualcuno ci chiederà conto di cosa abbiamo fatto per combattere questo schifo noi potremo dire che quel giorno c’eravamo, lei invece che cosa dirà?
Grazie per l’attenzione

Filippo Nobili





Caro Filippo,
dirò che non c’ero e che ho fatto benissimo, quel giorno, a non esserci.
Per quanto riguarda le sue obiezioni e il tono con cui le manifesta, potrei cavarmela dicendole che anche lei, come tanti cattolici di buona volontà, è preda del velenoso pensiero tipicamente moderno secondo cui l’azione sta al di sopra della contemplazione. Anche lei è infettato da quel maledetto morbo che trasforma tante brave persone in altrettanti tarantolati secondo cui è sempre meglio fare qualcosa piuttosto che niente.
Ma mi creda, porta più frutto, anche sul piano pratico, una vecchia suora che si alza tutti i giorni alle 4 di mattina per pregare senza neanche sapere cosa accade nel mondo piuttosto che il raduno di due milioni di persone una volta ogni dieci anni.

Se non si è ancora offeso, caro Filippo, spero di non turbarla dicendole che ho scelto la sua lettera quasi a caso dal mazzo di quelle che se la prendono con me per i suoi stessi motivi.
Non l’ho fatto per disprezzo, ma perché queste lettere sono praticamente tutte uguali. Ancora prima della perentorietà inappellabile delle singole affermazioni, che per rigore intellettuale è difficile chiamare argomentazioni, è l’effetto fotocopia di questi scritti che mi ha colpito. Dicono tutti le stesse cose e nella stessa sequenza, non perché gli autori si siano dati la voce, ma perché la sindrome della piazza produce sempre una sorta di cervello collettivo che partorisce i medesimi pensieri uguali per tutti.
Settant’anni fa, Guareschi diceva che gli italiani preferiscono alzarsi la mattina e trovare già tutto pensato. Mi pare che a tutt’oggi non sia cambiato nulla e che questo valga ovunque si raduni una folla in piazza in qualsiasi punto del globo.

Premesso questo, caro Filippo, bisogna partire dalla contraddizione di fondo che indebolisce alla radice la sua lettera e quelle di chi la pensa come lei: da una parte c’è l’esaltazione del fare qualunque cosa piuttosto che niente, l’orgoglio di esserci, il piacere di uscire dal ghetto per ottenere un risultato, e dall’altra la consapevolezza della sconfitta certa e già accettata espressa in quel desolato “quando mi chiederanno che cosa ho fatto per oppormi a questo schifo potrò dire che io quel giorno c’ero”. Ma, mi perdoni caro Filippo, se comunque si perderà, anzi se si è già perso, perché non è stato casa con la sua famiglia a fare qualcosa di meglio? E guardi che qualche cosa di meglio si poteva, e si può ancora, fare e glielo spiego subito.



Pensi se ogni singolo componente dei due milioni del Circo Massimo, invece che starsene al calduccio del grembo materno della piazza, avesse fatto celebrare al freddo di una chiesa vuota una Messa per chiedere al Signore di porre fine allo schifo che tanto giustamente suscita il suo orrore.
Ci pensi: due milioni di Messe contro la Cirinnà, due milioni di volte la celebrazione del Sacrificio di Cristo per riparare la gloria di Dio oltraggiata da uomini che calpestano le leggi divine e di conseguenza calpestano altri uomini.
E pensi che bello sarebbe stato se ogni singolo componente dei due milioni del Circo Massimo avesse coinvolto altre cinque persone nella stessa iniziativa. Tutto questo in un lasso di tempo ragionevole, diciamo dieci giorni invece che nella mezza giornata di piazza: dieci milioni di Messe, che si possono far celebrare in ogni angolo del mondo, contro lo schifo che suscita giustamente tanto orrore.
Nel rito tradizionale c’è una Messa votiva “Contro persecutori e nemici”, la cui orazione recita “Hóstium nostró, quesumus, Dómine, elide superbiam: et eorum contumáciam dexterae tuae virtúte prostérne”, Noi ti supplichiamo, o Signore, di abbattere la superbia dei nostri nemici e di reprimere con la forza del tuo braccio la loro ostinazione.
Ma si potrebbe optare per una di quelle contro i più diversi tipi di flagello, dalla peste alla guerra, visto il punto a cui siamo arrivati.

Purtroppo, so di non poter neanche immaginare dieci milioni di Messe in questo rito, ma nelle altre il Signore amerebbe almeno il cuore contrito del celebrante e dei fedeli.
E ora sta a lei, che è cattolico, caro Filippo, dirmi che dieci milioni di Messe celebrate e assistite con contrizione secondo questa intenzione servono meno del raduno del Circo Massimo.
Le porgo l’alternativa in modo anche più brutale, e allora mi deve dire se si fida più di Nostro Signore oppure di Ruini, Bagnasco, Gandolfini & Soci. Perché io le propongo la scelta tra il ricorso silenzioso a Dio e l’appello chiassoso agli uomini, posto che entrambi sono azioni pubbliche.

Seguendo le sue contestazioni, lei ora mi dirà che altro è la fede e altro è l’azione politica, altro è la religione e altro è la vita civile, altro è il cattolico e altro è altro è il cittadino, che ogni ambito ha i suoi fini e i suoi mezzi. Ma io le chiedo invece: e se una volta provassimo a ribaltare il tavolo delle regole inventate per alimentare il maledetto potere della laicità? Se ponessimo fine alla dabbenaggine di quei cattolici che si ubriacano al solo profumo della “sana laicità”? Vede, caro Filippo, quella piazza avrebbe avuto un senso solo se fosse stata convocata per sovvertire le regole di una società invertita, se avesse gridato in faccia al mondo le ragioni di Dio allo scopo di rimettere ordine nel vivere civile. Invece, ha offerto lo spettacolo di un mondo cattolico che, alla fine, si accontenterà di una Cirinnà bis, tris, quater e non so che altro ancora. Perché, quando si scende in piazza senza neppure la volontà di ribaltare la situazione, se molla qualcosa chi sta dall’altra parte, bisogna pure che molli qualcosa anche chi sta da questa: è la democrazia, bellezza.

Caro Filippo, a tutti gli effetti, anche se lei si illude di averlo fatto, non è andato in piazza per difendere la verità, ma per esporre un’opinione. Anzi, peggio ancora, per esporre una verità derubricata al rango di opinione al fine di trovarle un posticino nel dibattito pubblico. E non poteva essere altrimenti perché la piazza non ama la verità, tant’è vero che, quando si è trovata davanti quella con la “V” maiuscola, l’ha messa in croce.

Ma tutto questo, dice lei, è necessario per non farsi chiudere nel ghetto cattolico e finendo per non contare niente. Ma, ancora una volta, è vero il contrario: ci si chiude in un ghetto quando si accetta che le proprie verità vengano trasformate in opinioni da gettare nella roulette del “pluralismo e del confronto democratico”. Cambia poco che il ghetto sia di maggioranza o di minoranza, poiché questi contenitori funzionano come vasi comunicanti in cui residui di verità trasformati in opinione si mescolano alla menzogna fino a quando la miscela ha raggiunto lo stesso livello ovunque.
Alla fine, stare in un ghetto piuttosto che in un altro fa solo parte del “gioco democratico”, dell’esercizio della “sana laicità”. Si spiegano così tutti i tradimenti di Cristo e della sua Regalità sociale operati dal cattolicesimo democratico, fin dai tempi in cui quello cattolico era ancora un ghetto di maggioranza, dal divorzio ai giorni nostri. La piazza, la folla servono precisamente a questo scopo e, per rendersene conto, non serve ricordare la lezione di Manzoni nei Promessi sposi o aver studiato Gustave Le Bon, basta aver visto Alberto Sordi nel Presidente del Borgorosso Football Club.

Per finire, caro Filippo, prenderei in considerazione il fatto che lei, come tutti ma proprio tutti i miei critici, si sente offeso per quanto ho scritto. Anche in questo caso, ancora una volta, sbaglia bersaglio. Se ritiene che io l’abbia offesa può citarmi in giudizio, può sfidarmi a duello, può aspettarmi sotto casa per schiaffeggiarmi e in tal caso le faccio avere privatamente il mio indirizzo. Ma non può pretendere di opporre a degli argomenti il suo orgoglio ferito, non può pensare di trasformare in argomentazione la sua permalosità. Si tratta di piani che proprio non possono intersecarsi. Io non sono uno che l’ha voluta offendere, sono semplicemente uno che la pensa diversamente da lei e spiega perché.
Perché, vede, la bontà di un’idea o di un’azione non dipendono dalla buona fede e dall’impegno che le accompagnano. Non può pretendere di avere ragione solo perché, con tutta la sua famiglia, si è alzato alle quattro di mattina per andare al Circo Massimo. Se avessi affrontato subito questo tema, che purtroppo mi pare essere quello che la turba di più, avrei chiuso la risposta alla prima riga. Dunque, se non apprezza le mie argomentazioni, apprezzi almeno la mia pazienza.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo




febbraio 2016
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