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La “globalizzazione buona” di Bergoglio di Belvecchio
Nel pomeriggio del 1 marzo 2016
il Papa ha incontrato a Santa Marta una trentina di aderenti al
movimento del cristianesimo sociale francese dei “Poissons Roses” e al connesso
laboratorio di idee “Esprit Civique”.
Sui contenuti dell’incontro pomeridiano, protrattosi per circa un’ora e mezza, il direttore del settimanale francese “La Vie”, Jean-Pierre Denis, presente all’incontro, ha scritto sul sito internet del settimanale un accurato resoconto dal titolo “Conversation politique avec le pape François”, che è stato tradotto e pubblicato da L’Osservatore Romano del 4 marzo 2016. e ripreso dal servizio d'informazione vaticano news.va. Il
testo si presenta come uno spaccato del bergoglio-pensiero che, tra
luoghi comuni e battute ad effetto, rende bene l’idea del “tipo di
papa” ammannitoci dai moderni cardinali.
Scorriamo il resoconto e leggiamo: «Certo, la globalizzazione ci unisce e ha
dunque aspetti positivi. Ma credo che ci siano una globalizzazione
buona e una meno buona. … La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto
un poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popolo, ogni nazione, conserva
la sua identità, la sua cultura, la sua ricchezza. La posta in
gioco per me è questa globalizzazione buona, che ci permette di
conservare ciò che ci definisce.»
Una sorta di giuoco di parole che usa disinvoltamente la contraddizione per dire nulla. Se la “globalizzazione buona” permette di conservare ciò che ci distingue non è una globalizzazione! Quindi non esiste una “globalizzazione buona”, ma solo “la globalizzazione” o il suo contrario. Ed un “cattolico” dovrebbe aver chiaro questo concetto, visto che “cattolico” è sinonimo di “universale”, che non a caso si contrappone a “globale”. La globalizzazione, infatti, ha in vista un regime universale fondato sulla quantità, mentre la cattolicizzazione – ci si passi il termine – mira ad un regime universale fondato sulla qualità, fondato cioè su un unico sentire che vibra per la vita spirituale e non per la vita materiale. Il che significa che un mondo cattolico sarebbe un mondo dove identità e cultura sono sostanzialmente uniche per tutti, mentre le diversità sono fattori accidentali che vengono riportati all’universale dall’essere cattolici. È questo che un tempo si chiamava “cristianità”, un contesto cioè dove le differenze si ricomponevano in un unico sentire e vivere ispirati eminentemente a Dio. È questo che intendeva dire Bergoglio? Ci si permetta di rispondere: no! Risposta che può sembrare eccessiva, ma che trova conferma in quest’altra perla bergogliana: «Possiamo parlare oggi di un’invasione
araba. È un fatto sociale» … «quante invasioni ha conosciuto l’Europa
nel corso della sua storia! Ma ha sempre saputo superare se stessa,
andare avanti per ritrovarsi poi come accresciuta dallo scambio tra le
culture».
Si passa così dall’apparente esaltazione delle identità alla chiara apologia del meticciato culturale, ovviamente tutto di marca bergogliana, perché l’Europa non si è mai “accresciuta dallo scambio tra le culture”. Che si parli dell’Europa “romana” o della successiva Europa “cristiana”, la storia ci insegna che le diverse “culture” che si sono avvicendate sul suolo europeo, dai celti ai barbari e ai vichinghi, hanno trovato nell’unica “cultura” dominante, la romana o la cristiana, il loro punto di soluzione e di trasformazione. Fu la “cultura” romana prima, e cristiana dopo, a fare l’Europa attraverso l’assorbimento in sé delle altre “culture”, che vennero trans-formate e sublimate in qualcosa di più profondo e insieme più alto di esse. Altro che lo “scambio tra le culture” favoleggiato e decisamente auspicato da Bergoglio! Soprattutto ove si pensi che egli prende spunto da quella che chiama “invasione araba”, altra imprecisione, chiaramente voluta per indurre in un inganno linguistico, visto che non di “arabi” si tratta in questo processo di pratica “occupazione” straniera, ma di “musulmani”, cioè di portatori di una “cultura” che intende sostituirsi a quella europea e con la quale Bergoglio vorrebbe realizzare uno “scambio”. Siamo alla confusione e alla demagogia, tutte foriere di disastri e di irreparabili danni alle anime. E dopo la “globalizzazione buona” non poteva mancare la “laicità buona”, altro mito caro ai papi conciliari da Montini a Ratzinger e ora a Bergoglio. Il quale, per rendere più chiaro il suo pensiero – si rivolge ad un gruppo di francesi - cita tre personaggi tutt’altro che cattolici, definendoli esempii della “fortissima vocazione umanistica” della Francia: Emmanuel Mounier, Emmanuel
Lévinas, Paul Ricoeur. Il primo, esponente del modernismo e
progressismo cattolici degli anni ’30-’40, il secondo, ebreo critico
della scolastica e della filosofia dell’essere, il terzo, protestante
sostenitore di Marx, e quindi del marxismo, di Nietzsche, e quindi del
nichilismo, di Freud, e quindi della psicanalisi.
Chi non avesse ancora capito chi è Bergoglio… è servito! Soprattutto quando questi confessa con orgoglio: “Per me, de Certeau resta a tutt’oggi il più grande teologo”… de Certeau? E chi è costui? “Un gesuita sessanttottino e manipolatore della mistica con la psicanalisi”, come ha annotato il nostro Servodio in Bergoglio si confessa «La Francia è riuscita a instaurare
nella democrazia il concetto di laicità. È una cosa sana.
Oggi uno Stato deve essere laico. La vostra laicità è
incompleta. La Francia deve diventare un Paese più laico.
Occorre una laicità sana».
Ecco il coniglio dal cilindro: «Una laicità sana include
un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti
tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico
può avere un’interiorità» … «Perché la ricerca della
trascendenza non è solo un fatto [hecho], ma un diritto [derecho]».
Parole che entusiasmo per la loro profondità! Una profondità che attiene più agli abissi del caos che alle altezze dello spirito. Dobbiamo diventare più laici, dice Bergoglio, per aprirci a tutte le forme religiose e filosofiche, per esercitare il “diritto” alla trascendenza. Se questo è un papa! Ma questo non è un papa, ma un povero chiacchierone che si compiace del nulla delle sue corbellerie: una sana laicità inclusiva! Cioè un rinnovamento del vecchio Pantheon dove trovavano posto tutti gli dei e dove giustamente i cristiani si rifiutarono di collocare il loro vero Dio, e per questo vennero martirizzati. Ma Bergoglio non sa nulla del martirio in nome di Dio, lui che crede di essere furbo e scaltro affermando: «Mettiamo da parte la dimensione
religiosa» … «La
misericordia è la capacità di commuoverci, di provare
empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel sentirsene
responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto
i cristiani, ma tutti gli esseri umani. È un appello
all’umanità».
Bergoglio non sa nulla nemmeno di Dio, intriso com’è di umanesimo e di struggimento sentimentale, che lui si picca di chiamare “misericordia”. È per questo che i cardinali modernisti, grazie al rifiuto di Ratzinger, lo hanno voluto al papato, perché si potesse speditamente e gioiosamente compiere la rivoluzione vaticanosecondista del “noi, noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo”, di nefasta montiniana memoria. (torna
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marzo 2016 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |