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Una rottura con l’insegnamento tradizionale Robert Spaemann su “Amoris laetitia” Intervista del Prof. Robert
Spaemann rilasciata all'edizione tedesca della
Catholic News Agency sul contenuto dell'esortazione apostolica “Amoris laetitia” Pubblicata in italiano sul blog di Sandro Magister: Settimo Cielo, il 28 aprile 2016. L'impaginazione
è nostra
Presentazione
di Sandro Magister
Il professor Robert Spaemann, 89 anni, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, è professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. È uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi. Vive a Stoccarda. Il suo ultimo libro uscito in Italia è: è: “Dio e il mondo. Un'autobiografia in forma di dialogo”, edito da Cantagalli nel 2014. Questa che segue è la traduzione dell'intervista sulla “Amoris lætitia” che egli ha dato in esclusiva ad Anian Christoph Wimmer per l'edizione tedesca di Catholic News Agency del 28 aprile: D. – Professor Spaemann, lei ha accompagnato con la sua filosofia i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Molti fedeli oggi si chiedono se l’esortazione postsinodale “Amoris lætitia” di papa Francesco possa essere letta in continuità con l’insegnamento della Chiesa e di questi papi. R.
– Per la maggior parte del testo ciò è possibile, anche
se la sua linea lascia spazio a delle conclusioni che non possono
essere rese compatibili con l’insegnamento della Chiesa. In ogni caso
l’articolo 305, insieme con la nota 351, in cui si afferma che i fedeli
“entro una situazione oggettiva di
peccato” possono essere ammessi ai sacramenti “a causa dei fattori attenuanti”,
contraddice direttamente l’articolo 84 della “Familiaris consortio” di Giovanni
Paolo II.
D. – Che cosa stava a cuore a Giovanni Paolo II? R. – Giovanni Paolo II dichiara
la sessualità umana “simbolo
reale della donazione di tutta la persona” e, più
precisamente, “un’unione non
temporanea o ad esperimento”. Nell’articolo 84 afferma, dunque,
in tutta chiarezza che i divorziati risposati, se desiderano accedere
alla comunione, devono rinunciare agli atti sessuali.
Un cambiamento nella prassi dell’amministrazione dei sacramenti non sarebbe quindi “uno sviluppo” della “Familiaris consortio”, come ritiene il cardinal Kasper, ma una rottura con il suo insegnamento essenziale, sul piano antropologico e teologico, riguardo al matrimonio e alla sessualità umana. La Chiesa non ha il potere, senza
che vi sia una conversione antecedente, di valutare positivamente delle
relazioni sessuali, mediante l’amministrazione dei sacramenti,
disponendo in anticipo della misericordia di Dio. E questo rimane vero
a prescindere da quale sia il giudizio su queste situazioni sia sul
piano morale che su quello umano. In questo caso, come per il
sacerdozio femminile, la porta qui è chiusa.
D. – Non si potrebbe obiettare che le considerazioni antropologiche e teologiche da lei citate siano magari anche vere, ma che la misericordia di Dio non è legata a tali limiti, ma si collega alla situazione concreta di ogni singola persona? R.
– La misericordia di Dio riguarda il cuore della fede cristiana
nell’incarnazione e nella redenzione. Certamente lo sguardo di Dio
investe ogni singola persona nella sua situazione concreta. Egli
conosce ogni singola persona meglio di quanto essa conosca se stessa.
La vita cristiana, però, non è un allestimento pedagogico
in cui ci si muove verso il matrimonio come verso un ideale,
così come pare presentata in molti passi della “Amoris lætitia”. L’intero
ambito delle relazioni, particolarmente quelle di carattere sessuale,
ha a che fare con la dignità della persona umana, con la sua
personalità e libertà. Ha a che fare con il corpo come
“tempio di Dio” (1 Cor 6, 19).
Ogni violazione di questo ambito, per quanto possa essere divenuto
frequente, è quindi una violazione della relazione con Dio, a
cui i cristiani si sanno chiamati; è un peccato contro la sua
santità, e ha sempre e continuamente bisogno di purificazione e
conversione.
La misericordia di Dio consiste proprio nel fatto che questa conversione è resa continuamente e di nuovo possibile. Essa, certamente, non è legata a determinati limiti, ma la Chiesa, per parte sua, è obbligata a predicare la conversione e non ha il potere di superare i limiti esistenti mediante l’amministrazione dei sacramenti, facendo, in tal modo, violenza alla misericordia di Dio. Questa sarebbe orgogliosa protervia. Pertanto, i chierici che si attengono all’ordine esistente non condannano nessuno, ma tengono in considerazione e annunciano questo limite verso la santità di Dio. È un annuncio salutare. Accusarli ingiustamente, per questo, di “nascondersi dietro gli insegnamenti della Chiesa” e di “sedere sulla cattedra di Mosè… per gettare pietre contro la vita delle persone” (art. 305), è qualcosa che nemmeno voglio commentare. Si noti, solo per inciso, che qui ci si serve, giocando su un fraintendimento intenzionale, del passo evangelico citato. Gesù dice, infatti, sì, che i farisei e gli scribi siedono sulla cattedra di Mosè, ma sottolinea espressamente che i discepoli devono praticare e osservare tutto quello che essi dicono, ma non devono vivere come loro (Mt 23, 2). D. – Il papa vuole che non ci si concentri su delle singole frasi della sua esortazione, ma che si tenga conto di tutta l’opera nel suo insieme. R.
– Dal mio punto di vista, concentrarsi sui passi citati è del
tutto giustificato. Davanti a un testo del magistero papale non
ci si può attendere che la gente si rallegri per un bel testo e
faccia finta di niente davanti a frasi decisive, che cambiano in
maniera sostanziale l’insegnamento della Chiesa. In questo caso
c’è solo una chiara decisione tra il sì e il no. Dare o
non dare la comunione: non c’è una via media.
D. – Papa Francesco nel suo scritto ripete che nessuno può essere condannato per sempre. R.
– Mi risulta difficile capire che cosa intenda. Che alla Chiesa non sia
lecito condannare personalmente nessuno, men che meno eternamente –
cosa che, grazie a Dio, nemmeno può fare – è qualcosa di
chiaro. Ma, se si tratta di relazioni sessuali che contraddicono
oggettivamente l’ordinamento di vita cristiano, allora vorrei davvero
sapere dal papa dopo quanto tempo e in quali circostanze una condotta
oggettivamente peccaminosa si muta in una condotta gradita a Dio.
D. – Qui, dunque, si tratta davvero di una rottura con la tradizione dell’insegnamento della Chiesa? R.
– Che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a
qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione.
D. – Come si è potuti giungere a questa rottura? R.
– Che Francesco si ponga in una distanza critica rispetto al suo
predecessore Giovanni Paolo II lo si era già visto quando lo ha
canonizzato insieme con Giovanni XXIII, nel momento in cui ha ritenuto
superfluo per quest’ultimo il secondo miracolo che, invece, è
canonicamente richiesto. Molti a ragione hanno percepito questa scelta
come manipolativa. Sembrava che il papa volesse relativizzare
l’importanza di Giovanni Paolo II.
Il vero problema, però,
è un'influente corrente di teologia morale, già presente
tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica
situazionale.
Le citazioni di Tommaso d’Aquino prodotte dal papa nella “Amoris lætitia” sembrano sostenere questo indirizzo di pensiero. Qui, però, si trascura il fatto che Tommaso d’Aquino conosce atti oggettivamente peccaminosi, per i quali non ammette alcuna eccezione legata alle situazioni. Tra queste rientrano anche le condotte sessuali disordinate. Come già aveva fatto negli anni Cinquanta con il gesuita Karl Rahner, in un suo intervento che contiene tutti gli argomenti essenziali, ancor oggi validi, Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica “Veritatis splendor”. “Amoris Laetitia” rompe anche con
questo documento magisteriale. A questo proposito, poi, non si
dimentichi che fu Giovanni Paolo II a mettere a tema del proprio
pontificato la misericordia divina, a dedicarle la sua seconda
enciclica, a scoprire a Cracovia il diario di suor Faustina e, in
seguito, a canonizzare quest’ultima. È lui il suo interprete
autentico.
D. – Che conseguenze vede per la Chiesa? R.
– Le conseguenze si possono vedere già adesso. Crescono
incertezza, insicurezza e confusione: dalle conferenze episcopali fino
all’ultimo parroco nella giungla. Proprio pochi giorni fa un sacerdote
dal Congo mi ha espresso tutto il suo sconforto davanti a questo testo
e alla mancanza di indicazioni chiare. Stando ai passaggi
corrispondenti di “Amoris
lætitia”, in presenza di non meglio definite “circostanze
attenuanti”, possono essere ammessi alla assoluzione dei peccati e alla
comunione non solo i divorziati risposati, ma tutti coloro che vivono
in qualsivoglia “situazione irregolare”, senza che debbano sforzarsi di
abbandonare la loro condotta sessuale, e, dunque, senza piena
confessione e senza conversione.
Ogni sacerdote che si attenga all’ordinamento sacramentale sinora in vigore potrebbe subire forme di mobbing dai propri fedeli ed essere messo sotto pressione dal proprio vescovo. Roma può ora imporre la direttiva per cui saranno nominati solo vescovi “misericordiosi”, che sono disposti ad ammorbidire l’ordine esistente. Il caos è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso uno scisma. Questo scisma non risiederebbe alla periferia, ma nel cuore stesso della Chiesa. Che Dio ce ne scampi. Una cosa, però, mi sembra sicura: quel che sembrava essere l’aspirazione di questo pontificato – che la Chiesa superi la propria autoreferenzialità, per andare incontro con cuore libero alle persone – con questo documento papale è stato annichilito per un tempo imprevedibile. Ci si deve aspettare una spinta secolarizzatrice e un ulteriore regresso del numero dei sacerdoti in ampie parti del mondo. Si può facilmente verificare, da parecchio tempo, che i vescovi e le diocesi con un atteggiamento non equivoco in materia di fede e di morale hanno il numero maggiore di vocazioni sacerdotali. Si deve qui rammentare quel che scrive san Paolo nella lettera ai Corinti: “Se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia?” (1 Cor 14, 8). D. – Che cosa succederà ora? R.
– Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è
chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento
sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente. Se il papa non
è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al
pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente.
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