Cinque seri problemi con il capitolo 8 di “Amoris lætitia

di E. Christian Brugger


E. Christian Brugger è professore di teologia morale al seminario teologico St. John Vianney di Denver (USA). il 22 aprile ha pubblicato su “The Catholic World Report” un'analisi della “Amoris lætitia”: Five Serious Problems with Chapter 8 of “Amoris lætitia”.

Riportiamo qui dei passi di questa analisi, pubblicati da Sandro Magister, il 28 aprile 2016, in un articolo sul suo blog Settimo Cielo: L'opzione tedesca del papa argentino, che noi riportiamo a parte.
 

L'impaginazione è nostra



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Per i cattolici che si sentono stanchi degli attacchi che la famiglia cristiana ha ultimamente sofferto ad opera del laicismo militante, l’esortazione postsinodale di papa Francesco “Amoris lætitia” (AL) ha molte cose incoraggianti da dire: per esempio, la sua affermazione esplicita che “nessun atto genitale degli sposi può negare” la verità che “l’unione [coniugale] è ordinata alla generazione ‘per la sua stessa natura’” (AL 80; cfr. 222); la sua bruciante condanna dell’uccisione del nascituro (n. 83); la sua affermazione senza tentennamenti che ogni bambino ha un “diritto naturale” di avere una madre e un padre (n. 172), e la sua conseguente trattazione – la più ampia in qualsiasi documento papale degli ultimi 50 anni – dell’importanza dei padri per i bambini (n. 175).

Ma sebbene il testo dica molte cose vere e belle su “l’amore nella famiglia”, il capitolo 8 (dal titolo “Accompagnare, discernere, e integrare la fragilità”) dà spazio – e sembra farlo intenzionalmente – a interpretazioni che pongono seri problemi per la fede e la pratica cattolica.

Mi concentro qui su cinque di questi problemi:

1. Il modo in cui è presentato il ruolo che le attenuanti della colpevolezza dovrebbero svolgere nella pastorale
2. L’incoerenza del concetto di “non giudicare” gli altri
3. La definizione del ruolo della coscienza nella assoluzione di persone in situazioni oggettivamente di peccato
4. La trattazione degli assoluti morali come “regole” che scandiscono le esigenze di un “ideale”, piuttosto che doveri morali vincolanti per tutti in ogni situazione
5. L’incoerenza con l’insegnamento del Concilio di Trento

[…]


2. Il trattamento problematico dell’atto di “giudicare” nella “Amoris Lætitia

Il capitolo 8 insiste sulla necessità di “evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni” (n. 296). Questo è, naturalmente, un buon consiglio e dovrebbe essere preso sul serio da tutti i soggetti impegnati nel lavoro pastorale. Ma nello stesso tempo il testo sembra anche insistere sul fatto che è proprio alla luce della considerazione di tale complessità che i pastori possono ritenere che delle persone siano in buona fede quando decidono di rimanere nella loro irregolarità.

Ma se non dobbiamo – e in realtà non possiamo – emettere un giudizio di condanna sullo stato dell’anima di un’altra persona, allora non dobbiamo e non possiamo neanche emettere un giudizio di assoluzione. Ma il capitolo 8 implica che i pastori possono avere un’adeguata certezza che una persona sia priva di imputabilità soggettiva e quindi possono autorizzarla a partecipare ai sacramenti. Il paragrafo 299 fa anche riferimento ai divorziati risposati civilmente come “membra vive” della Chiesa. Il comune significato di membro “vivo” è quello di una persona battezzata e in grazia.

Ma come può un sacerdote ritenere che tali persone siano in grazia senza esprimere un giudizio? Papa Francesco insiste, e giustamente, sul fatto che non dobbiamo giudicare. Ma il giudizio non è solo condannare; significa anche assolvere. Il presupposto qui, e in tutto il capitolo, è che i pastori possono davvero emettere un giudizio di assoluzione sulle coscienze in modo che le persone in unione irregolare possano andare avanti. Ma se non possiamo e non dobbiamo giudicare le anime degli altri, allora non possiamo né condannarle dicendo che sono certamente colpevoli di peccato mortale, né assolverle dicendo che non sono soggettivamente colpevoli nel compiere una scelta di materia grave. Non possiamo giudicare.

Se i pastori non possono giudicare le anime, che cosa dovrebbero fare?
Essi dovrebbero accettare la valutazione che una persona fa della propria anima. Se i pastori notassero degli indizi di attenuazione della colpevolezza, dovrebbero aiutare delicatamente la persona a scorgere questi fattori, poi caritatevolmente informarla circa l’insegnamento più pieno di Gesù sul matrimonio (cioè dovrebbero impegnarsi nella formazione della coscienza); il pastore dovrebbe poi scoprire se la persona è decisa a vivere secondo l’insegnamento di Gesù come inteso dalla Chiesa cattolica; e se la persona dicesse “no”, o “non posso”, il pastore direbbe: “Guardi, non posso dire se lei si trova in peccato grave rifiutando di accettare l’insegnamento della Chiesa, perché io non posso giudicare la sua anima. Ma anche se lei fosse veramente in buona fede, non posso giudicare che lei possa giustamente ricevere la santa eucaristia, perché non posso saperlo, e se le dicessi questo potrei incoraggiarla a giustificare un peccato mortale in atto e comportare la sua dannazione eterna. Inoltre, come insegna san Giovanni Paolo II, ‘se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio’ (‘Familiaris consortio’ 84)”.

In questo modo, i pastori veramente metterebbero in pratica l’ammonimento evangelico di papa Francesco a “non giudicare”. Ma questi paragrafi danno uno scarso incoraggiamento a questa interpretazione.

[…]


4. “Amoris Lætitia” tratta i comandamenti morali assoluti come regole che scandiscono le esigenze di un ideale.

[…]

Esempio 2:

AL 305: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che ‘un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà’. La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà”.

In questo passaggio di AL i vescovi tedeschi ottengono tutto quello che vogliono.

È vero che delle persone, a causa di un’ignoranza invincibile, possono vivere in grazia mentre optano per materie oggettivamente e gravemente immorali. Ma è anche vero che se un pastore sapesse che si trovano in una tale ignoranza, avrebbe il dovere di carità di aiutarle a uscire dalla loro situazione oggettivamente peccaminosa.

Ma il passaggio citato non presuppone che il peccatore sia in ignoranza invincibile, o che il pastore supponga questo. Il passaggio suppone che delle persone che oggettivamente commettono adulterio possono pensare che sono “in grazia di Dio”, e che anche il loro pastore può pensarlo, e che il loro giudizio è giusto perché approva ciò che in realtà Dio sta chiedendo a loro qui e ora, che non è ancora l’ideale. Il pastore deve aiutarle a trovare la pace nella loro situazione, e aiutarle a ricevere “l’aiuto della Chiesa”, che (la nota 351 lo dice chiaramente) include “l'aiuto dei sacramenti”.

Così, ancora una volta, i vescovi tedeschi finalmente ottengono ciò che vogliono. Coppie divorziate e risposate civilmente si trovano in situazioni complesse, a volte senza sensi di colpa. I pastori dovrebbero aiutarle a discernere se la loro situazione è accettabile, anche se è “oggettivamente” peccaminosa, in modo che possano tornare ai sacramenti.

Più in generale, tutti coloro che hanno dissentito contro gli insegnamenti morali assoluti della Chiesa ottengono quello che volevano. Perché quei cosiddetti assoluti sono ormai ideali non vincolanti, e le persone che pensano che la contraccezione e altro sono giusti per loro qui e ora farebbero semplicemente ciò che Dio sta chiedendo a loro nelle loro complesse situazioni.

Un altro punto altrettanto importante deve essere preso in considerazione a proposito di questo processo di assoluzione delle coscienze. Il foro interno è interno solo per i preti. La persona divorziata è libera di parlare di ciò che accade nella confessione. Se i preti assolvono i divorziati e risposati per farli riaccedere ai sacramenti senza riformare le loro vite, alcuni di costoro certamente potrebbero gridare dai tetti: “Posso fare la comunione”.

Proprio questo ha detto Giovanni Paolo II in “Familiaris consortio” 84: “Se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.

Perché ciò dovrebbe portare a tale confusione? Perché la Chiesa non solo insegna con quello che dice, ma anche con quello che fa. Se si desse a persone invalidamente coniugate il via libera a ricevere la santa comunione – e sappiamo che i matrimoni civili dei cattolici non sono validi perché perlomeno mancano della forma corretta –, se i sacerdoti dessero questo via libera (costituendo con ciò un atto ecclesiale), ciò insegnerebbe che il matrimonio non è indissolubile. Come potrebbe essere indissolubile se la Chiesa dice che le seconde unioni sono valide?
Atti di pastori della Chiesa mineranno la verità rivelata della indissolubilità del matrimonio.




aprile 2016

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