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Intervista col Card. Carlo Caffarra su Amoris Laetitia di Marco Ferraresi
Pubblicata il 25 maggio 2016 da La Nuova Bussola Quotidiana col
titolo
“Con la firma Mattarella ha ridefinito il matrimonio” L'impaginazione è nostra Parlare di famiglia non
è mai stato così complicato. Persino dentro la Chiesa. Fa
problema anzitutto l’oggetto del discorso: cosa è veramente
famiglia? E come pretendere che non vi sia confusione nella
società civile, se pure nella Chiesa si oscurano talora
verità fondamentali sul matrimonio? La controversia sul cap.
VIII dell’esortazione Amoris Laetitia
di Papa Francesco e la recente legge italiana sulle unioni civili
destano sconcerto.
Ne parliamo con il Card. Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna. Caffarra è stato fondatore e Preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Già partecipante come esperto al Sinodo dei vescovi sulla famiglia del 1980, è membro di nomina pontificia ai Sinodi del 2014 e del 2015. Risponde alle domande con la semplicità e la franchezza degli uomini della sua terra: “Quella fettaccia di terra tra il grande fiume e la grande strada”, dice orgogliosamente citando Guareschi. Eminenza, cos’è la famiglia? E’ la società che
trae origine dal matrimonio, patto indissolubile tra un uomo e una
donna, che ha la finalità di unire i coniugi e trasmettere la
vita umana.
Da un’unione civile, secondo la legge Cirinnà nasce una famiglia? No. Il presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, firmando questa legge, ha sottoscritto
una ridefinizione del matrimonio. Ma un provvedimento normativo non
cambia la realtà delle cose. Occorre dirlo: i sindaci
(soprattutto, naturalmente, quelli cattolici) devono fare obiezione di
coscienza. Celebrando un’unione civile si renderebbero infatti
corresponsabili di un atto gravemente illecito sul piano morale.
Perché questa crisi di identità della famiglia in Occidente? Me lo chiedo spesso, ma non
ho una risposta esaustiva. Comunque, una concausa è un processo
di “debiologizzazione”, per il quale non si ritiene più che il
corpo abbia un linguaggio (e dunque un significato) oggettivo. Questo
significato viene così determinato dalla libertà della
persona. Si è spezzato, nella coscienza occidentale, il legame
tra bios e logos.
In una prospettiva di fede, non vi sono pure cause soprannaturali? Nel 1981 stavo fondando per
volontà di San Giovanni Paolo II l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la
famiglia. La fondazione era prevista per il 13 maggio, data
della prima apparizione della Madonna a Fatima. Il Papa in quel giorno
subì l’attentato, da cui uscì miracolosamente salvo per
grazia – a dire dello stesso Pontefice – della Madonna. Dopo i primi
anni di vita dell’Istituto, scrissi a suor Lucia, la veggente di
Fatima, chiedendo preghiere per l’opera, e aggiungendo che non
aspettavo risposta. Una risposta però arrivò comunque.
Che cosa le rispose? Suor Lucia scrisse – e,
vorrei sottolineare, siamo nei primi anni ’80 – che vi sarebbe
stato un tempo di uno “scontro finale” tra il Signore e Satana. E il
terreno di scontro sarebbe stato costituito dal matrimonio e dalla
famiglia. Aggiunse che coloro i quali avrebbero lottato per il
matrimonio e la famiglia sarebbero stati perseguitati. Ma anche che
costoro non avrebbero dovuto temere, perché la Madonna ha
già schiacciato la testa al serpente infernale.
Parole profetiche: è quello che sta accadendo? Viviamo una situazione
inedita. Mai era accaduto che si ridefinisse il matrimonio. E’ Satana
che sfida Dio, come dicendo: “Vedi? Tu proponi la tua creazione. Ma io
ti dimostro che costituisco una creazione alternativa. E vedrai che gli
uomini diranno: si sta meglio così”. L’arco intero della
creazione si regge, secondo la Scrittura, su due colonne: il matrimonio
ed il lavoro umano. Non è ora nostro tema il secondo, pure
soggetto ad una “crisi definitoria”; per quanto qui concerne, il
matrimonio è stato istituzionalmente distrutto.
La Chiesa può rispondere a simile sfida? Deve rispondere, per ragioni
direi strutturali. La Chiesa si interessa del matrimonio perché
il Signore l’ha elevato a sacramento. Cristo stesso unisce gli sposi.
Si badi, non è una metafora: secondo le parole di San Paolo, nel
matrimonio il vincolo tra gli sposi si innesta nel vincolo sponsale tra
Cristo e la Chiesa, e viceversa. L’indissolubilità non è
anzitutto una questione morale (“gli sposi non devono separarsi”), ma
ontologica: il sacramento opera una trasformazione nei coniugi.
Sicché, dice la Scrittura, non sono più due, ma uno.
Questo è detto chiaramente in Amoris
Laetitia (par. 71-75). Il sacramento, poi, infonde negli sposi
la carità coniugale. E di questo parlano benissimo i capitoli IV
e V dell’Esortazione. Inoltre, il sacramento costituisce gli sposi in
uno Stato di vita pubblico nella Chiesa e nella società. Come
ogni Stato di vita nella Chiesa, anche lo Stato coniugale ha una
missione: il dono della vita, che si continua nell’educazione dei
figli. Qui il capitolo VII di Amoris
Laetitia colma addirittura, a mio avviso, una lacuna nel
dibattito dei vescovi al Sinodo.
In pratica, cosa dovrebbe fare la Chiesa? Una sola cosa: comunicare il
Vangelo del matrimonio. Ho detto “comunicare”, perché non si
tratta solo di un evento linguistico. La comunicazione del Vangelo
significa guarire l’uomo e la donna dalla loro incapacità di
amarsi e introdurli nel grande Mistero di Cristo e la Chiesa. Questa
comunicazione avviene attraverso l’Annuncio e la catechesi; e
attraverso i Sacramenti. Ci sono persone che, dopo una catechesi sul
Sacramento del Matrimonio, vengono a dirmi: perché nessuno mi ha
mai parlato di queste realtà meravigliose? I giovani,
soprattutto, devono essere al centro delle nostre preoccupazioni. La
questione educativa in materia è “la” questione decisiva. Il
Papa ne parla ampiamente nei par. 205-211.
Eminenza, che dire della questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati? Il Papa ne tratta al cap. VIII, del quale sono state offerte però letture contrapposte. Anzitutto, vorrei
sottolineare che il Papa stesso nel par. 307 afferma che, prima di
occuparci dei matrimoni falliti, dobbiamo preoccuparci di quelli da
costruire. E, aggiungo, il problema della sua domanda resta
quantitativamente limitato. Certo, sul piano dottrinale è
tutt’altro che da trascurare. A tal proposito, rispondo a partire da
quattro premesse.
1) Il matrimonio è indissolubile.
Come dicevo, prima che un obbligo morale, l’indissolubilità
è un dato ontologico. Spiace osservare che non tutti i Padri
sinodali avessero ben chiaro tale fondamento ontologico.
2) La fedeltà coniugale non è un ideale da raggiungere. La forza di essere fedeli è donata nel sacramento (vi immaginate il marito che dice alla moglie: “Esserti fedele è un ideale che cerco di raggiungere, ma ancora non riesco”?). Troppe volte si usa in Amoris Laetitia la parola “ideale”, occorre attenzione sul punto. 3) Il matrimonio non è un fatto privato, disponibile dagli sposi. E’ una realtà pubblica per il bene della Chiesa e della società. 4) Il cap. VIII, oggettivamente, non è chiaro. Altrimenti come si spiegherebbe il “conflitto di interpretazioni” accesosi anche tra vescovi? Quando ciò accade, occorre verificare se vi siano altri testi del Magistero più chiari, tenendo a mente un principio: in materia di dottrina della fede e di morale il Magistero non può contraddirsi. Non si devono confondere contraddizione e sviluppo. Se dico S è P e poi dico S non è P, non è che abbia approfondito la prima. L’ho contraddetta. Amoris Laetitia, dunque, insegna o no che vi sia uno spazio di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati? No. Chi versa in uno stato
di vita che oggettivamente contraddice il sacramento dell’Eucaristia,
non può accedervi. Come insegna il Magistero precedente, possono
invece accedervi coloro che, non potendo soddisfare l’obbligo della
separazione (ad es. a causa dell’educazione dei figli nati dalla nuova
relazione), vivano in continenza. Questo punto è toccato dal
Papa in una nota (la n. 351). Ora, se il Papa avesse voluto mutare il
Magistero precedente, che è chiarissimo, avrebbe avuto il
dovere, e il dovere grave, di dirlo chiaramente ed espressamente. Non
si può con una nota, e di incerto tenore, mutare la disciplina
secolare della Chiesa. Sto applicando un principio interpretativo che
in Teologia è sempre stato ammesso. Il Magistero incerto si
interpreta in continuità con quello precedente.
Dunque, nessuna novità? La novità, oltre alla
possibilità data dal S. Padre di eccepire, a giudizio prudente
dei vescovi, ad alcune norme canoniche, è soprattutto nel
prendersi cura di questi fratelli divorziati risposati, cercando di
imitare il nostro Salvatore nella modalità con cui Egli
incontrava le persone più bisognose del “medico”. Il cap. VIII
(“accompagnare, discernere, integrare”), a mio modesto avviso, è
la guida di questo “prendersi cura”. Non dobbiamo cadere nell’inganno
mass-mediatico di ridurre tutto a “Eucarestia sì-Eucarestia no”.
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