IL SUCCO DELL’APOCALISSE

Terza
parte (XXII, 1-21)

Puntata 7






Ho già scritto un breve commento sui capitoli più controversi dell’Apocalisse di san Giovanni, ossia i capitoli centrali dell’ultimo Libro sacro del Nuovo Testamento (XI-XIII, XIX-XX), i quali riguardano le vicende delle ultime persecuzioni che si scateneranno verso l’avvento del regno dell’anticristo finale.

Mi son servito principalmente dei seguenti commenti: L’Apocalisse, commentata da A. Romeo, in La Sacra Bibbia,  diretta e curata da Salvatore Garofalo, Il Nuovo Testamento, vol. III, Torino, Marietti, Casale Monferrato, 1960, pp. 763-861; Cornelio A Lapide, Commentarius in Apocalypsin, Venezia, II ed., 1717; mons. Pier Carlo Landucci, Commento all’Apocalisse di Giovanni, Milano, Diego Fabbri, 1964; dom Jean de Monléon, Le sens mystique de l’Apocalypse, Parigi, NEL, 1984; La Bibbia commentata dai Padri, Nuovo Testamento, Apocalisse, vol. 12, Roma, Città Nuova, 2008; padre Marco Sales, La Sacra Bibbia commentata, Torino, Berruti, Il Nuovo Testamento, vol. II, Le Lettere degli Apostoli – L’Apocalisse, 1914, pp. 645-682 .
 
Ora che l’Editore Effedieffe ha ristampato il Commento di padre Marco Sales (che impiegò 20 anni a commentare la S. Scrittura) (1) all’ultimo Libro sacro della Bibbia mi azzardo a compendiare il suo studio per sintetizzare un insegnamento oggi molto attuale e porgerlo ai lettori affinché ne possano far frutto spirituale in questi tempi veramente apocalittici. Lo integro con i testi succitati solo nella spiegazione di qualche versetto o passaggio che dovesse risultare ancora di difficile spiegazione.




Nei primi cinque versi del capitolo XXII l’Apostolo continua a descrivere la Gerusalemme celeste: “Mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come il cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello” (v. 1). Questo fiume di acqua viva, che fa allusione al fiume del paradiso terrestre (Gen., II, 10), è la grazia santificante dei santi della terra che si trasforma in gloria eterna nei santi del paradiso. Esso rappresenta anche l’abbondanza della felicità di cui godono i beati, che sono ammessi alla visione beatifica di Dio.


Capitolo XXII (1-21)


Questo fiume nasce dal trono che Dio Padre e Dio Figlio hanno in comune, essendo consustanziali (v. 1).

Nel mezzo della sua piazza e da ambe le parti del fiume vi era l’albero della vita” (v. 2): nel bel mezzo della piazza del paradiso si trova l’albero della vita. Anche qui si allude al paradiso terrestre in cui si trovava l’albero della vita (Gen., II, 9), sennonché nella Gerusalemme celeste quest’albero è la vita eterna di cui già godono i beati; perciò esso simboleggia la visione beatifica la quale guarisce ogni male e dà la pienezza del bene, la gloria e l’immortalità.

Quest’albero “porta dodici frutti, dando mese per mese il suo frutto, e le foglie dell’albero sono medicina delle nazioni” (v. 2). Dodici è un numero simbolico che indica la pienezza e la perfezione, perciò i frutti dell’albero della vita rappresentano la grazia e la gloria nella loro pienezza (“dodici”). L’albero dà questi frutti “mese per mese” (v. 2) ma nel cielo non c’è tempo e quindi non ci sono mesi in senso stretto, l’espressione va intesa metaforicamente nel senso che l’albero dispensa i suoi doni in ogni tempo. Infine “le sue foglie sono medicina” (v. 2), ossia metaforicamente vuol dire che in cielo non ci son più malattie, sofferenze fisiche o morali.

Non vi sarà più maledizione (nel testo greco ‘anatema’)” (v. 3), ossia esclusione dalla vita e visione di Dio, che non si può più perdere. Nel cielo non entra nessuna tentazione né tanto meno il peccato.

Ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in essa (piazza) e i suoi servi la serviranno” (v. 3), ossia i beati godranno sempre della visone beatifica davanti al trono di Dio e dell’Agnello, che serviranno e adoreranno nella liturgia celeste quali sacerdoti dell’Altissimo.

E vedranno la sua faccia e il suo nome sarà impresso sulle loro fronti” (v. 4): la visione dell’essenza (“faccia”) di Dio è ciò che rende felici o beati i santi ed è per questo che si chiama visione beatifica poiché, vedendo Dio faccia a faccia come Egli è, proveranno una gioia immensa e il nome o la natura dell’Agnello e del Padre sarà impressa sulle fronti dei santi, ossia essi parteciperanno realmente alla vita divina anche se in maniera finita.

Non vi sarà più notte” (v. 5), ma luce infinita senza alcuna tenebra poiché Dio stesso è la luce splendente del paradiso: “perché il Signore stesso li illuminerà e regneranno per i secoli dei secoli” (v. 5), cioè i santi servono Dio e quindi regnano per l’eternità assieme a Lui.

Dal versetto 6 sino al 21 inizia e si svolge l’epilogo dell’ultimo capitolo (XXII) dell’Apocalisse, in cui tutte le promesse fatte nel Libro sacro vengono confermate da un angelo (vv. 6-7) e poi da San Giovanni (vv. 8-9) e di nuovo da un angelo (vv. 10-11) ed infine da Gesù Cristo. I fedeli sono scongiurati di rispettare il testo del Libro (vv. 18-19). Quindi parla ancora Gesù (v. 20) e si arriva alla fine con un augurio a tutti i fedeli (v. 21).

Un angelo dice a Giovanni: “Queste parole son fedelissime e vere” (v. 6), ossia tutto ciò che è scritto nell’Apocalisse è fedele alla realtà e quindi vero e si adempiranno certamente perché son parola di Dio. “Il Signore Dio ha inviato il suo angelo a mostrare ai suoi servi le cose che debbono succedere tra breve”, ecco il tema dell’Apocalisse: la rivelazione del futuro.

Ed ecco Io vengo presto” (v. 7), l’angelo parla a nome di Gesù e le sue parole riassumono tutto lo scopo dell’Apocalisse: preparare gli uomini alla venuta del Giudice divino per il giudizio particolare e soprattutto per quello universale. “Beato chi osserva le parole di questo libro” (v. 7), cioè i consigli, i comandamenti, gli esempi che Dio porge agli uomini per evitare la fine disgraziata degli empi e conseguire quella beata dei giusti aiutando molto i fedeli a fare il bene e fuggire il male. Per cui chi li osserva può essere detto veramente “beato”.

Ed io Giovanni sono quello che udì e vide queste cose” (v. 8), San Giovanni attesta solennemente di essere stato il testimone che ha sentito la rivelazione delle cose che ha scritto nell’Apocalisse. A questo punto Giovanni cerca di prostrarsi ai piedi dell’angelo che gli parla come per adorarlo, ma l’angelo lo ferma dicendo che lui è una creatura e l’adorazione va rivolta solamente a Dio (v. 9).

L’angelo dice poi a Giovanni: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro poiché il tempo è vicino” (v.10), ossia non tenere nascoste o chiuse a chiave le rivelazioni che hai ricevute sul futuro della Chiesa, ma scrivile per i fedeli poiché inizieranno presto a compiersi. Il “presto” non è da prendere in senso stretto, ma nell’ottica divina secondo la quale “un giorno è come mille anni” ed inoltre alcuni avvenimenti scritti nell’Apocalisse si svolgono contemporaneamente alla sua stesura (per esempio, le vicende e le raccomandazioni fatte ai sette vescovi delle sette Chiese). Infatti il fine dell’Apocalisse è quello di consolare e confortare i fedeli in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni, mostrando loro come la divina Provvidenza li aiuterà in ogni cosa. Sarebbe perciò anormale tenere per sé queste rivelazioni.

Chi nuoce agli altri continui a nuocere. Chi è nella impurità diventi ancor più sporco. Chi è giusto si faccia ancor più giusto. Chi è santo continui a santificarsi” (v. 11): queste parole sono un avvertimento misto ad una grande ironia. L’Apostolo vuol dire che dopo tanti avvertimenti del Libro sacro, se qualcuno vuol continuare a peccare, continui pure poiché Dio lascia l’uomo libero, ma al momento opportuno gli chiederà conto di ogni cosa. Ai giusti, invece, rivolge l’invito di avanzare sulla via della santità.

Ecco Io vengo subito” (v. 12): chi parla è Gesù. Egli verrà come Giudice alla fine della nostra vita (giudizio particolare) e alla fine del mondo (giudizio universale) e darà ciò che è dovuto a ciascuno secondo i suoi meriti o demeriti: “onde dar la mercede e rendere a ciascuno secondo il suo operato” (v. 12).

Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine” (v. 13): Gesù in persona afferma di essere consustanziale al Padre, essendo come Lui l’alfa e l’omega e quindi è in grado di mantenere fede alle sue promesse e alle sue minacce.

Beati coloro che lavano le loro stole nel sangue dell’Agnello” (v. 14): sono veramente felici solo coloro che purificano le loro anime con il lavacro del Sangue di Gesù, accostandosi ai Sacramenti e vivendo piamente “affinché abbiano diritto di mangiare all’albero della vita e di entrare per le porte della città” (v. 14), ossia purificati nel sangue di Cristo possono mangiare i frutti della grazia e della vita eterna e con la grazia di Dio possono entrare attraverso le porte umanamente invalicabili della Gerusalemme celeste per rimanervi in eterno.

Tuttavia “Fuori di essa vi sono i cani, i venefici, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque pratica la menzogna” (v. 15), cioè fuori del paradiso e quindi all’inferno si trovano coloro che vogliono vivere nel peccato grave: i “cani” ossia gli impuri, gli avvelenatori materiali (omicidi) e spirituali (corruttori della fede e dei costumi), gli “impudichi”, che mancano al pudore e scandalizzano il prossimo, ed infine “chi pratica la menzogna” ossia il falsi profeti, gli eresiarchi ed i novatori.

Gesù afferma, quindi, che è Lui in persona ad aver mandato gli angeli a rivelare il contenuto dell’Apocalisse a Giovanni (v. 16).

Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni e chi ascolta dica: vieni” (v. 17): lo Spirito Santo e la Chiesa sua Sposa dicono continuamente a Gesù di “venire a giudicare i vivi e i morti” affinché i fedeli giusti e veri possano unirsi con Lui nel regno dei cieli. “Chi ascolta dica: vieni” (v. 17): tutti coloro che credono nelle parole dell’Apocalisse preghino assieme al Paraclito e alla Chiesa che Gesù venga subito. “Chi ha sete venga, chi vuole prenda l’acqua della vita gratuitamente” (v. 17): Gesù invita tutti coloro che sono animati da volontà retta a bere l’acqua della grazia per poi dissetarsi completamente con quella della gloria del paradiso, la quale è un dono gratuito di Dio all’uomo, che non gli è dovuto ma solo regalato per pura bontà divina.

Prometto a chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro che se alcuno vi aggiungerà qualche cosa Dio porrà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro […], lo cancellerà dal libro della vita e lo escluderà dalla città santa” (v. 18): Giovanni si raccomanda di non aggiungere o togliere nulla dal contenuto dell’Apocalisse, ma di mantenerlo tale e quale e di trasmettere ciò che hanno ricevuto, sotto la minaccia di castighi severissimi e addirittura di dannazione eterna. Questo è un avviso che vale per tutti gli eretici che falsano le Scritture.

Ed eccoci giunti alla fine: “Colui che attesta tali cose dice: Io vengo presto” (20): Gesù dà una nuova assicurazione che le cose annunziate nell’Apocalisse non tarderanno ad avverarsi. Allora San Giovanni lo invita a mantenere subito la sua parola: “Vieni, Signore Gesù” (v. 20).

L’ultimo versetto è l’augurio rivolto ai fedeli da Giovanni di ottenere la grazia di Dio, che è assolutamente necessaria per fare il bene e fuggire il male: “La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Così sia” (v. 21).


30/4/2016


NOTE

1 - Padre Marco Sales (Torino 1877-1936), domenicano, fu professore di teologia dogmatica all’Angelicum di Roma dal 1909 al 1911, poi professore di esegesi all’Università di Friburgo (Svizzera) dal 1912 al 1925 e nel 1925 venne nominato Maestro del Sacro Palazzo. Aveva studiato anche lingue semitiche e commentò la Bibbia: il Nuovo Testamento in due volumi dal 1912 al 1914 e l’Antico Testamento in otto volumi dal 1915 al 1934. Per quanto riguarda l’Apocalisse si basò sui commenti dei Padri ecclesiastici, dei Dottori scolastici e degli esegeti moderni. Il suo commento si distingue per chiarezza, precisione ed esattezza di termini che gli vengono dalla sua formazione filosofico/teologica di vero discepolo di San Tommaso d’Aquino. Il suo è uno dei migliori commenti in lingua italiana alla S. Scrittura che io conosca.




giugno 2016