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“Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni” di Giovanni Servodio
Passava per
città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme.
Questo il brano del Vangelo di Domenica 21 agosto a cui si è
riferito papa Bergoglio nel suo intervento all’Angelus dello stesso
giorno, in piazza San Pietro.Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi». (Lc. 13, 22-30). Con l’intento di spiegarlo, egli ha affermato che “Con l’immagine della porta, Egli vuol far capire ai suoi ascoltatori che non è questione di numero – quanti si salveranno -, non importa sapere quanti, ma è importante che tutti sappiano quale è il cammino che conduce alla salvezza.” Per quanto questa spiegazione abbia una sua logica, di certo non tiene conto delle parole di Nostro Signore che dice: «perché molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.» Queste parole, benché non indichino “quanti” si salveranno, indica chiaramente che quelli che si salveranno saranno pochi, perché “molti cercheranno di entrarvi [nella porta stretta] ma non ci riusciranno”. L’insegnamento di Nostro Signore, quindi, ha una prima valenza “quantitativa” espressa tanto chiaramente da non sollevare alcun dubbio. Ma questo fattore viene quasi travisato da papa Bergoglio, che afferma inspiegabilmente che Nostro Signore “vuol far capire ai suoi ascoltatori che non è questione di numero … non importa sapere quanti, ma è importante che tutti sappiamo qual è il cammino che conduce alla salvezza”. Ora, mentre è vero che Nostro Signore insegna a più riprese che è per Lui che bisogna necessariamente passare per raggiungere la salvezza, è pur vero che in questo brano del racconto di San Luca precisa che non tutti quelli che seguiranno la “Sua” strada si salveranno, perché tra costoro, che pure “hanno mangiato e bevuto in Sua presenza”, ci saranno gli “operatori di iniquità”, ai quali il “padrone di casa” non aprirà la porta. E’ questa la seconda valenza “qualitativa” del brano in questione, ed è questa seconda valenza che papa Bergoglio, non solo trascura, ma travisa: innanzi tutto accostando due immagini contraddittorie: la porta “stretta” e la porta “spalancata”. Se la porta è “stretta”, e addirittura ad un certo punto “il padrone di casa” la chiude, è impossibile che la si possa pensare “sempre spalancata”, come afferma papa Bergoglio. Ma allora, perché questa immagine contraddittoria? Lungi da noi l’idea di leggere nel pensiero di papa Bergoglio, ma dal momento che egli ha ritenuto opportuno “spiegare” il Vangelo pubblicamente in piazza San Pietro, da cattolici sentiamo il dovere di fare delle precisazioni deducendole dalla sua stessa pubblica spiegazione. A noi sembra chiaro che papa Bergoglio, dicendo “La porta della misericordia di Dio è stretta ma sempre spalancata per tutti!”, voglia suggerire l’esatto contrario di quanto insegnato da Nostro Signore: «molti cercheranno di entrarvi ma non ci riusciranno»; non a caso egli continua affermando: “Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni”, suggerendo ancora l’esatto contrario di quanto insegnato da Nostro Signore: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!». Non è vero, quindi, che “Dio ci accoglie senza distinzioni”, mentre è parzialmente vero che la “porta stretta” serva a “restringere il nostro orgoglio e la nostra paura”. Nel primo caso, la distinzione è chiara: da un lato gli “operatori di giustizia”, che potranno varcare la “porta stretta”, dall’altro gli “operatori di iniquità”, che anche volendolo non ci riusciranno. La distinzione c’è ed indica chiaramente che – parafrasando papa Bergoglio - “Dio fa preferenze, non accoglie sempre tutti, distingue”. E d’altronde non potrebbe essere diversamente poiché Dio è primariamente “giustizia” e solo secondariamente “misericordia”; diversamente da come asserisce papa Bergoglio: “E la salvezza che Egli ci dona è un flusso incessante di misericordia, che abbatte ogni barriera e apre sorprendenti prospettive di luce e di pace.” La verità è che la misericordia di Dio non è indiscriminata: essa si esercita a partire dalla Sua giustizia, e gli “operatori di iniquità” che restano chiusi fuori dalla porta stretta, dove sarà “pianto e stridore di denti”, sono proprio coloro che hanno operato in maniera iniqua, compiendo consapevolmente ogni ingiustizia contraria alla giustizia di Dio. Nel secondo caso, non è solo l’orgoglio che impedisce di varcare la “porta stretta”, ma è soprattutto la sapienza umana, perché «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt. 18, 3). E si tratta di quella stessa sapienza umana che induce molti chierici moderni a suggerire ai fedeli una lettura riduttiva del Vangelo: umanizzata e intrisa di sentimentalismo misericordioso; quella stessa che suggerisce che non bisogna avere “paura” perché la “misericordia di Dio abbatte ogni barriera”, dimenticando di ricordare la distinzione capitale tra “paura” e “timore di Dio”: la prima, debolezza umana, la seconda, dono dello Spirito Santo, che porta il fedele a conformarsi alla volontà e alla giustizia di Dio: sempre preoccupato sia di guadagnarsi il favore di Dio piuttosto che quello degli uomini, perché sa che piacere agli uomini equivale a non essere più di Dio (Cfr. Gal. 1, 10), sia di piacere e di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cfr. Atti 4, 19; 5, 29). Dicevamo all’inizio che la spiegazione data da papa Bergoglio ha una sua logica, ora possiamo aggiungere che si tratta di una logica manchevole: che espone degli elementi corretti senza presentarli per l’essenziale, ma limitandosi a presentarli per l’accessorio. E’ la logica che vige da cinquant’anni e che a partire dal Vaticano II si attarda a considerare del Vangelo solo quegli aspetti secondari che meglio si confanno al sentire del mondo e degli uomini, trascurando colpevolmente di richiamare al mondo e agli uomini l’essenziale del Vangelo, senza il quale gli aspetti secondari perdono la loro pur intrinseca valenza edificante. In altre parole: non solo si richiama il Vangelo rendendolo accomodante per l’uomo moderno dimentico di esso, ma lo si fa in modo da vanificarne la portata educativa e precettiva, necessaria perché gli uomini possano assimilarla allo scopo di perseguire la salvezza della propria anima. Pastoralità, la chiamano, facendo finta di non sapere che la pastorale senza la dottrina è mera filantropia, oggi peraltro snaturata in “amore” (φιλία, philía) non per l’“uomo” (ἄνθρωπος, ànthrōpos), ma per ciò che l’uomo è oggi diventato dopo secoli di allontanamento da Dio. La pastoralità dovrebbe essere praticata da “pastori” preoccupati di salvaguardare la vita morale e spirituale delle pecore dalle mire e dalle incursioni dei lupi, ma quando i “pastori” pretendono di guidare un gregge in cui non si distingue più tra pecore e lupi, convinti che pecore e lupi siano tutt’uno e formino un unico gregge sotto un unico pastore, allora si constata che i “pastori” sono scomparsi ed hanno lasciato il posto a dei capi branco che stringono le pecore in un ridosso perché siano più facilmente divorate dai loro amici lupi. A questo punto, l’unico rimedio che rimane al gregge è di moltiplicare nel suo seno il numero degli arieti che, forniti di robuste corna, provvederanno a infilzare e a cacciare lupi e pastori infedeli fino a farli precipitare nel dirupo. «In verità, in
verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la
porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.
Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. […] Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo.». (Gv. 10, 1-2; 7-9; 11-12; 16-18) (torna
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agosto 2016 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |