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Monsignor Lefebvre: un semplice cattolico di Alessandro Gnocchi
Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi 22 settembre 2016 Titolo e impaginazione sono nostri Ogni martedì Alessandro
Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno
partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it,
con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri
amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune
interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una
risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere
risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare
risposte a tutti.
giovedì 22 settembre 2016È pervenuta in redazione: Gentilissimo dottor Gnocchi,
forse glielo hanno già chiesto altri, ma mi pare che nella sua fotografia compaia l’immagine di monsignor Lefebvre, che lei tiene in bella vista nel suo studio. È così importante per lei? La ringrazio per l’eventuale risposta Alfredo Rossi ![]() Caro Rossi, non ricordo se ho già risposto a una simile domanda. Che mi è stata rivolta più volte. In ogni caso, lo faccio e, se mi ripeto, vorrò dire che facciamo un ripasso. Certo che monsignor Lefebvre è così importante per me. Mi stupisce solo che non lo sia per tanti cattolici che hanno amore alla Chiesa e a Cristo. Cerco di spiegarglielo partendo da un preciso riferimento cronologico, quel 29 agosto 1976 in cui nacque la leggenda del “vescovo ribelle”. Quel giorno monsignor Lefebvre, già sospeso a divinis, celebrò pubblicamente a Lilla, in Francia, una Messa a cui parteciparono migliaia di fedeli e, durante l’omelia, spiegò la natura di quanto stava accadendo. “Vorrei parimenti dissipare un altro malinteso” disse. “E
mi scuso, ma sono obbligato a dirlo: non sono io ad essermi definito
‘il capo dei tradizionalisti’. Voi sapete chi l’ha fatto poco tempo fa,
in circostanze particolarmente solenni e memorabili a Roma. Hanno detto
che Monsignor Lefebvre era il capo dei tradizionalisti, ma io non lo
sono affatto. Perché? Perché anch’io sono un semplice
cattolico. Prete, non v’è dubbio; vescovo, non v’è
dubbio; ma mi trovo nelle medesime condizioni nelle quali vi trovate
voi. Ho, come voi, le medesime reazioni davanti alla distruzione della
Chiesa, davanti alla distruzione della nostra fede, davanti alle rovine
che s’accumulano sotto i nostri occhi”.
Un semplice cattolico, caro Rossi, scritto così, senza virgolette. Quanto sarebbe stato più facile comprendere la sua azione, il suo pensiero, la sua dottrina, la sua fede se qualcuno, allora, avesse considerato il “vescovo ribelle” come un semplice cattolico. Ma gli Anni Settanta, forgiati nella fucina della “Nuova Pentecoste” evocata dall’ideologia conciliare non prevedevano la categoria di “semplice cattolico”. Ormai una “Nuova Chiesa” aveva sostituito la “Vecchia Chiesa”: si poteva solo appartenere all’una o all’altra, i buoni a quella “Nuova” e i cattivi a quella “Vecchia”. Oggi che ci si è risvegliati sotto le macerie della “Nuova Chiesa”, caro Rossi, molti semplici cattolici si stupiranno di ritrovarsi nella testimonianza e nelle preoccupazioni del fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. E più ancora, si stupiranno constatando che la gravità, la decisione e persino la durezza di certi passaggi, oggi, si respirano anche in ambienti affatto marginali della Chiesa, dove è ormai chiaro che la misura sia colma. Persino molti osservatori in buona fede, allora, faticarono a comprendere che il “fenomeno tradizionalista” apparteneva a pieno titolo alla vita della Chiesa, dato che riproponeva ciò che la Chiesa aveva sempre insegnato e sempre praticato. E il tentativo di soffocarlo messo in opera da chi in buona fede non era, in realtà finì per dargli una fisionomia precisa e riconoscibile e fortemente identitaria. Il “fenomeno tradizionalista” non sarebbe mai esistito se, in definitiva, non fosse stato creato dall’ostilità palese dei progressisti che lo vedevano come nemico e da quella malcelata di tanti conservatori che lo vedevano come concorrente. Ciò che continua ad attrarmi di questo santo vescovo, caro Rossi, sta nell’inesorabilità del ragionamento, che un tempo, era moneta comune dentro la Chiesa. Un esempio tra i più limpidi si trova nell’omelia di Lilla del 1976, là dove il vescovo francese spiega come sia giunto a definire la sua posizione: “(…) ho pensato che fosse mio dovere educare
dei sacerdoti, dei veri sacerdoti, di cui la Chiesa ha bisogno. Questi
preti io li ho educati nella Società San Pio X, che è
stata riconosciuta dalla Chiesa. Non facevo che ciò che tutti i
vescovi hanno fatto durante secoli e secoli. Io non ho fatto altro e
quelle stesse cose ho fatto in trent’anni di vita sacerdotale.
“Questo m’è valso d’essere vescovo;
m’è valso d’essere delegato apostolico in Africa; m’è
valso d’essere membro della commissione centrale preparatoria
conciliare; questo m’è valso d’essere assistente al trono
pontificio. Che cosa potevo desiderare di più come prova che
Roma stimava il mio lavoro come utile e benefico al bene delle anime?
“Ora
io faccio le stesse cose, un’opera in tutto simile a quella che ho
compiuto per trent’anni ed ecco che, improvvisamente, sono sospeso a
divinis, magari fra un po’ scomunicato, separato dalla Chiesa,
rinnegato, che so? E’ possibile? Forse che quello che ho fatto per
trent’anni era pure suscettibile d’una sospensione a divinis?
“Penso,
al contrario, che se in passato io avessi preparato dei seminaristi
come lo si fa oggi nei nuovi seminari, io sarei stato scomunicato. Se
allora avessi insegnato il catechismo che s’insegna nelle scuole, mi
avrebbero considerato eretico. E se avessi detto la Santa Messa come la
si dice ora, mi avrebbero considerato sospetto d’eresia, fuori dalla
Chiesa.
“A
questo punto io non comprendo più. Qualcosa ha cambiato la
Chiesa ed è a ciò che voglio giungere…”.
Nel marasma postconciliare è stato sin troppo facile dare del ribelle oscurantista a un vescovo che ragionava in tal modo. Pochi tentarono anche solo di immaginare che cosa gli costasse prendere atto della situazione e agire di conseguenza. Una scelta che compì in forza della propria fede, della dottrina, della ragione e della preghiera: nient’altro. Magari un’apparizione celeste gli avesse detto che cosa fare, confidava a un sacerdote che gli fu vicino nei momenti più duri. Invece, ebbe a disposizione solo la dottrina e la preghiera: da semplice cattolico. Eppure, tanto gli bastò per giungere faticosamente ma serenamente al termine della sua vita terrena, così da far scrivere sulla propria tomba Tradidi quod et accepi, il paolino “Vi ho trasmesso semplicemente ciò che ho ricevuto” della Prima Lettera ai Corinzi. Qui giunti, caro Rossi, non posso evitare di parlare della difesa della Messa, a cui monsignor Lefebvre immolò la sua opera di resistenza alla distruzione diabolica della Chiesa. Una delle testimonianze più belle sull’efficacia del Divino Sacrificio risale al periodo della missione in Gabon, fra il 1932 e il 1945. “Là
ho visto, sì, ciò che poteva la grazia della Santa Messa”
dice il vescovo francese. “L’ho visto nelle anime sante d’alcuni dei
nostri catechisti. Quelle anime prima pagane e poi trasformate per la
grazia del Battesimo, trasformate per l’assistenza alla Messa e per
mezzo della Santa Comunione; ebbene, quelle anime comprendevano il
mistero del Sacrificio della Croce e s’univano a Nostro Signore
Gesù Cristo nelle sofferenze della sua Croce, offrivano i loro
sacrifici e le loro sofferenze con Nostro Signore Gesù Cristo e
vivevano da Cristiani. (…)
“Io
ho potuto vedere quei villaggi di pagani divenuti cristiani
trasformarsi non solo, direi, spiritualmente e sovranaturalmente, ma
fisicamente, socialmente, economicamente, politicamente; trasformarsi,
perché quelle persone, da pagane che erano, erano divenute
coscienti della necessità di compiere il loro dovere, malgrado
le prove, i sacrifici; di rispettare i loro impegni e, in particolare,
quello matrimoniale. Allora i villaggi si trasformavano a poco a poco
sotto l’influenza della grazia, sotto l’influenza del santo Sacrificio
della Messa. (…) Da che è dipesa questa trasformazione?
La causa profonda è il Sacrificio. La nozione di
sacrificio è profondamente cristiana e profondamente
cattolica. La nostra vita non può prescindere dal sacrificio,
dal momento che Nostro Signore Gesù Cristo, Lui, Dio, ha
voluto incarnarsi in un corpo simile al nostro e dirci: ‘Seguitemi,
prendete la vostra croce e seguitemi se volete essere salvi”. Lui ci ha
dato l’esempio con la sua morte sulla croce, versando il proprio
sangue; oseremo noi, sue creature, peccatori quali siamo, non seguire
Nostro Signore nella sequela del suo sacrificio, della sua croce? Ecco
svelato il mistero della civilizzazione cristiana, della civilizzazione
cattolica: la comprensione del valore santificante del sacrificio nella
vita, nella quotidianità; il non considerare più la
sofferenza come un male, ma dividere le proprie sofferenze con quelle
di Nostro Signore Gesù Cristo, guardando alla Croce, assistendo
alla Messa, che è il rinnovarsi della passione di Nostro Signore
sul Calvario”.
Caro Rossi, questa pagina, sconcertante per la sua capacità di tenere insieme umano e divino, natura e Grazia, spiega più di molti trattati che cosa sia la Messa e perché monsignor Lefebvre la difese sempre da qualsiasi genere di mutamento che potesse snaturarla. I suoi non erano i timori di un oscurantista visionario, ma la lucida percezione di un reale pericolo incombente. E se si cominciasse a dire che aveva ragione? Alessandro Gnocchi Sia lodato Gesù Cristo (torna
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settembre 2016 |