LETTERA AL PAPA

DI UN MISSIONARIO IN TIBET




Su segnalazione del vaticanista Marco Tosatti, pubblichiamo questa lettera al Papa scritta da un missionario di lingua spagnola in Tibet e pubblicata sul sito Adelante la Fe

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Cattolici in Tibet


Altopiano tibetano 5 ottobre 2016

Beatissimo Padre

Sua Santità Francesco

I

Essendo in missione per grazia di Dio nella catena dell’Himalaya e sul punto di celebrare i quattro anni della mia ordinazione sacerdotale, oso scrivere questa lettera, che ho reso pubblica perché il suo contenuto ha il medesimo carattere.

Essendo stato inviato in missione in Estremo Oriente, cosa che reputo un’enorme grazia celeste per la mia anima molto peccatrice, è da tempo che il mio spirito soffre un’estrema desolazione nel leggere le ripetute polemiche di Sua Santità contro ciò che, in modo peggiorativo e indistinto, Lei chiama “proselitismo”.

Particolare dolore mi ha causato l’aver letto che il Vicario di Cristo, senza chiarirne il significato, ha detto che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” che “non ha senso” (cfr. Vatican.va) [NdT].

Qualcuno replicherà che questa frase potrebbe forse essere il frutto di una trascrizione infedele di un giornalista ateo, ma la sua sola pubblicazione sul sito ufficiale della Santa Sede, rende imbarazzante questa ipotetica difesa.

La mia angoscia è aumentata quando Sua Santità si è chiesto retoricamente: “Vai a convincere un altro che si faccia cattolico?” per poi rispondere: “No, no, no!” (Video Messaggio per la festa di San Gayetano in Argentina, 8/7/13).

Questa triplice negazione dell’attuale Papa, mi ha richiamato alla memoria quella [il triplice rinnegamento] del primo.

In ogni caso, sarebbe vana ogni precisazione, perché chiunque può leggere tali dichiarazioni sulle pagine del Vaticano o su seri organi di informazione.

La Santa Madre Chiesa, per mezzo dei Superiori Religiosi e anche per mezzo di Sua Santità – che di persona mi ha ordinato di andare in missione in Estremo Oriente – mi ha inviato negli angoli più remoti per evangelizzarli.

Non ho ricevuto mandato alcuno come assistente sociale, soccorritore d’emergenza, alfabetizzatore, distributore di cibo o dialogatore seriale, ma fui inviato, dal Padre celeste e dalla Santa Chiesa, come banditore della Santa Fede Cattolica, per cercare di guadagnare a Cristo Re e al Suo Corpo Mistico – che non è altro che la Chiesa Cattolica – il maggior numero di anime, predicando opportunamente e inopportunamente.

Obbediente e felice, e rifiutando qualsiasi metodologia machiavellica, io sono andato in Estremo Oriente, e ci sono ancora, gioioso di impegnarmi fino alla morte per  conquistare alla Chiesa Cattolica il maggior numero di anime, sapendo di incamminarle così in modo sicurissimo verso il celeste Paradiso e per questo di aiutarle ad evitare di cadere nelle cupe profondità dell’Inferno eterno, il quale (oh, scandalo!), quantunque oggi quasi nessuno lo voglia dire, esiste e - vale la pena chiarirlo-  non è (e non sarà) vuoto (Ahi! Von Balthasar!).

So che il mille volte felice lavoro di contribuire ad esaltare la Chiesa di Dio nei confini del paganesimo, dell’idolatria e dell’eresia, è oggettivamente una santissima opera di misericordia, di gran lunga superiore all’amministrazione di tutti i benefici corporali o temporali che si possa pensare di prodigare a tutti i poveri o rifugiati (veri o falsi) o che si possa immaginare.

So che il missionario deve seguire sempre il modello di San Francesco Saverio, “santissimo padre”, come lo chiamò la Chiesa, onorandolo anche con l’epico titolo di “Patrono Universale delle Missioni”. E so che lo stesso beatissimo Santo, come dice S. S. Leone XIII nella bellissima e dimenticata Enciclica Ad Extremas, stando in India “tenacemente lavorò per lo stesso scopo  [di San Tommaso Apostolo] impegnandosi con costanza e amore incredibili per convertire centinaia di migliaia di Indii alla sana religione e alla fede dalle fantasie del Bramanesimo e dall’inaccettabile superstizione.”

So che ogni missionario degno di questo nome, deve aderire senza riserve al proposito manifestato da S. S. Leone XIII nella Ad extremas, e cioè che “… tutto ciò che riteniamo utile ad incrementare pietà e fede [cattolica], cerchiamo di farlo costantemente (…) per diffondere il nome cristiano.”

So che ogni battezzato deve impegnarsi in qualche modo nel mandato missionario che ci ha assegnato il Signore come suo ultimo testamento, dicendo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.” (Mt. 28, 19-20).

E qui, in castigliano, si può ben dire che è lo stesso Dio incarnato che a voce ci ha comandato di fare proselitismo in tutte le nazioni. Pertanto, dato che la voce di Dio è sempre infallibile (mentre la sua, Santità, possiamo dire che lo è solo eccezionalmente), se qualcuno ritiene simpliciter che il proselitismo è una sciocchezza, replico con forza che la saggezza di Dio è stoltezza per il mondo. Per questo, come ammonisce l’Apostolo, “Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente” (I Cor 3, 18).

II

Fatta la necessaria premessa, mi sento intimamente mosso a manifestarle di nuovo il profondo disagio che invade la mia anima nel constatare le sue reiterate condanne di quell’opera che Sua Santità offende con l’odioso mondano epiteto di “proselitismo”.

Come non sfugge alla mente di alcuno mediamente colto che parla spagnolo: la voce “proselitismo” nella nostra lingua ammette una varietà di significati di diversa connotazione morale. Lo stesso vocabolo, quindi, non è privo di ambiguità intrinseca al punto che può essere utilizzato sia per indicare le più vili manovre democratiche per raccogliere voti negli scrutini elettorali, sia per riferirsi al sacrificato apostolato dei Missionari che si logorano e muoiono solo per convertire i pagani, gli eretici e gli scismatici all’unica vera Chiesa.

Con non poco piacere, ricordo di aver avuto per le mani, durante le mie visite alle Pontificie Università romane, alcuni vecchi esemplari di riviste missionarie molto serie nelle quali si usava il termine “proselitismo” per riferirsi, senza alcun indugio, all’apostolato della conversione degli infedeli.

Esempio eccellente dell’uso del termine “proselitismo” inteso come condotta santa e perfino obbligatoria: lo troviamo in uno dei classici della letteratura missionaria. Mi riferisco al magnifico libro intitolato “La conversione del mondo pagano”. Questo volume, vale la pena sottolineare, è stato scritto nientemeno che da un sacerdote beatificato, il Beato Paolo Manna, che con grande chiarezza insegnava che (la traduzione è mia): Proselitismo è un istinto di natura. E ancor più è l’istinto della verità soprannaturale e per i cristiani è un solenne comando dall’alto. Pertanto, se siamo apostolici, dobbiamo contribuire all’apostolato (…)” (1).

Ma faccio ancora un esempio. Il celebre manuale di missionologia scritto da Juan Carrascal S.J. e intitolato “Si vas a ser misionero” [Se si vuol essere missionario] (Ed. Sal Terrae, Santander, España, 1957), non solo usa abbondantemente il vocabolo “proselitista” e i suoi derivati, intendendolo come cosa ottima, ma uno dei capitoli del libro è perfino intitolato “Proselitismo missionario”.

Carrascal, che fu missionario in Cina, parlando dei catecumeni, dà il seguente consiglio ai missionari: “E una volta formato il gruppo con 10, 20, 30 [catecumeni] allora si ha la prova di essere felici di essere venuti e si può partire soddisfatti perché i proselitisti ti assicureranno le vocazioni successive” (il neretto è mio).

Lo stesso missionario scrisse che “La dottrina di Cristo (…) è cattolica. Né si può dire che vi siano momenti inopportuni per il suo proselitismo”. E scrisse anche: “Il fine, quindi,  del nostro proselitismo dev’essere di rendere amabile, conveniente per lui [= per il pagano] la dottrina di Dio”.

E allora, considerando la drastica ambiguità del termine, la mia anima sacerdotale soffre nel notare che, spesso o sempre, le sue veementi squalificazioni del detto proselitismo, omettono di sottolineare il valore sostitutivo del diffamato termine. Questa omissione è molto dolorosa per il mio spirito, perché se non si rende chiaro il valore sostitutivo, è quasi obbligatorio interpretare queste condanne papali come fulminanti riprovazioni del lavoro di qualsiasi missionario - incluso il sottoscritto - che osa fare quello per cui la stessa Chiesa lo ha inviato, e cioè, essere ardentemente zelante nella causa della conversione degli infedeli.

III

Sebbene la presente lettera non pretenda di erigersi a tentativo correttivo e anche quando fosse interpretata come una riprovazione, dò per scontato che Sua Santità non la disdegnerà, imitando così il suo predecessore, San Pietro, che, come dice la glossa di Sant’Agostino citata dall’Aquinate: “diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (S.Th. II-II, q. 33, a. 4, 2).

Con la speranza che la presente sentita lettera muova Sua Santità a chiarire il senso delle sue dichiarazioni e quindi a rivendicare l’importanza e l’urgenza di lavorare senza sosta per la conversione alla Fede Cattolica di tutti i pagani, eretici e scismatici, termino qui queste righe implorando la sua apostolica benedizione e supplicandola di innalzare al Cielo qualche preghiera perché il Signore degli Eserciti mi conceda l’immeritata e sublime grazia di esercitare il sacro proselitismo fino a che la morte e il divino Giudizio non sopravvengano.

Baciando i suoi degnissimi piedi.

Padre Federico Juan, S.E.

Missionario in Estremo Oriente

NOTE

NdT - Il colloquio tra Papa Francesco e Scalari non è più reperibile sul sito del Vaticano. Non si conosce il vero motivo. Lo stesso testo era stato pubblicato su La Repubblica, e lo si trova a questo indirizzo
http://www.repubblica.it/cultura/2013/10/01/news/papa_francesco_a_scalfari_cos_cambier_
la_chiesa-67630792/?ref=HRER3-1


1 - Il neretto è mio. Cito la traduzione inglese intitolata “The conversion of the pagan world” (Society for the Propagation of the Faith, Boston, 1921). Il passo riportato è stato tradotto dall’inglese, che dice: “Proselytism is an instinct of nature. With much greater reason it is the instinct of supernatural truth and, for the Christian, is a solemn mandate from above. There fore, if we are Apostolic, we must contribute to the apostolate, and this is binding upon all of us“.





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