|
||
|
||
Il
filosofo Radaelli:
“Con papa Francesco la Chiesa è diventata modernista” intervista
condotta da Matteo Orlando il 17
ottobre 2016
Quali sono le sue riflessioni relativamente alle ultime affermazioni del Papa sui gay e sui trans? «Premesso che il fine della
mia risposta è quello di contribuire a ridare unità alla
Chiesa, in tutta purezza e pace, in intima comunione di spirito con le
più sante intenzioni del Papa, «dolce Cristo in
terra» (copyright santa Caterina da Siena), secondo il monito di
Papa Pio XII, «si trovano in pericoloso errore coloro che
ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non
aderendo devotamente al suo Vicario in terra» (Mystici Corporis,
I), devo, tuttavia, rilevare che questi son tempi calamitosi, e,
scorrendo la storia della Chiesa, in cui a fulgidi Papi se ne
intermisero non raramente di pessimi, possiamo ben esclamare: beati i
tempi in cui il Ludwig Von Pastor poteva enumerare, tra gli indegni,
uomini macchiati “solo” di peccati di simonia e ladrocinio, o che,
ancora rigettando la speciale e continua assistenza assicurata dallo
Spirito Santo al loro altissimo Soglio, si pervertirono in epicurei, in
libidinosi, in impuri, in iracondi, persino in omicidi, sempre
circoscrivendo però le proprie rivoltanti aberrazioni nell’area
dei delitti contro la Caritas, e giammai adversus Veritas: persino il
Borgia si studiava di non dar scandalo con insegnamenti che
infirmassero in qualche modo la dottrina. Ora invece, da quando Papa
san Giovanni XXIII ha messo da parte «le armi del rigore»,
come volle chiamare la giustizia nel suo Discorso di apertura del
concilio Vaticano II, tutto a favore «della medicina della
misericordia», così delineando il Cardo pastorale che la
Chiesa percorrerà da quel momento, le perplessità delle
greggi intorno ad alcune parole papali si fanno – a torto o a ragione –
di giorno in giorno sempre più numerose e forti, anche
perché molte di quelle pur papali parole non hanno l’aria di
essere magistero ufficiale, non essendo riportate negli Acta
Apostolicæ Sedis».
Però sono pur sempre proferite da un Papa. E allora, che dire? «Se per esempio un Papa
racconta di «un papà che si è accorto che nei libri
di scuola si insegnava la teoria del ‘gender’» e dice:
«questo è contro le cose naturali», poi però
aggiunge che «una cosa è che una persona abbia questa
tendenza, questa opzione …. E un’altra cosa è fare
l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la
mentalità», chi mai oserà rilevare la
contraddizione delle sue parole, che giustamente rilevano che la teoria
gender è contro natura, ma secondo le quali però la
persona che pur segue tale pessimo insegnamento non agirebbe contro
natura? Oppure: se, a proposito della corruzione degli uomini, un Papa
ammonisce che «il peccato si può perdonare, ma la
corruzione no, perché è uno stato in cui si pensa di
bastare a se stessi, si è fissati nelle proprie cose, si pensa
di non aver bisogno di perdono, e soprattutto ci si
autogiustifica», perché mai le stesse considerazioni non
dovrebbero valere per un divorziato? Basterebbe infatti sostituire
‘corruzione’ con ‘divorzio’, e l’analogia si farebbe lampante: “il
peccato si può perdonare, ma il divorzio no, perché
[quello del divorziato] è uno stato in cui si pensa di bastare a
se stessi, si è fissati nelle proprie cose, si pensa di non aver
bisogno di perdono, e soprattutto ci si autogiustifica”. Idem, e ancor
più, se sostituiamo ‘corruzione’ con ‘divorziato risposato’.
Ora: quando qualche Papa peccava contro la Carità, vescovi,
arcivescovi e parroci si davano da fare in tutti i modi per nascondere
quei delitti ai fedeli, e se ciò diveniva impossibile, almeno
ammonivano: «Fate ciò
che dicono, ma non ciò che fanno» (Mt 23,3). Ma se a qualcuno pare che
in qualche modo oggi un Papa non interpreti la dottrina come in
sæcula, ossia, certo non volendo, certo mal consigliato, e in
ogni caso certo spinto dalle più sante intenzioni, pecchi contro
la Verità (oltre che contro la Carità, non preservando i
fedeli dallo scandalo di dubbie dottrine, o almeno della confusione,
dell’incertezza, della divisione intra moenia), come nelle parole
viste, ci si può anche chiedere quale possa essere il modo
più caritatevole, prudente e lungimirante per sollevare il
problema, per adoperarsi cioè a realizzare con saggezza
ciò che per san Tommaso è una necessaria e santa «correzione fraterna» (S. Th., II-II, 33, 4, e 7 ad 5): la
correzione di un Superiore da parte di un inferiore. Nessuno pensa che
le intenzioni pastorali di quei Superiori che ai loro occhi possono
parere anche troppo avventati non possano essere intenzioni più
che lodevoli: è più che evidente a tutti non solo la
grande devozione che ha percorso il cuore di tutti i Papi che Dio ha
permesso salissero al Soglio di Pietro in questi ultimi cinquant’anni,
ma anche la viva bontà degli intenti che disegnarono cotidie i
loro atti di governo, finalizzati sempre a dar vita alla Chiesa, a
germinare in essa nuove fioriture, a vedere in essa «una nuova
primavera», come molto sperava Papa Montini. Ma le vie percorse,
le dottrine enunciate, gli strumenti utilizzati, paiono ad alcuni
essere oggettivamente intaccati da quella che monsignor Antonio Livi,
in Vera e falsa teologia,
definisce “ideologia religiosa”, e che, per darle un nome chiaro,
dovrebbe esser chiamata precisamente modernismo».
Lei sostiene che Papa Francesco
sta costruendo una Chiesa tutta a misura del mondo? Può fare
qualche esempio?«C’è chi ritiene
irriverente, avventato e temerario che un cattolico possa scrivere un
libro come Street Theology, nel quale, illustrando il percorso del
cinquantennio di magistero trascorso dal Vaticano II a oggi, quello
dell’ultimo Papa è accostato metaforicamente, come da titolo,
all’arte di strada, alla Street Art, ma la domanda da farsi è:
è il Papa o è l’uomo (è Pietro o è Simone)
colui che, potendolo, non utilizza il plurale maiestatico papale “noi”,
che sottende le due persone: ‘Cristo e il suo Vicario’, dunque
specialissimo plurale il cui uso si rivelerebbe molto utile a
garantirsi che i concetti teologici espressi sono in linea con il
magistero pregresso ordinario e straordinario e che viceversa
perentoriamente gli precluderebbe sul nascere ogni via di
discontinuità? Giacché, se è vero che lo Spirito
Santo assiste particolarmente e sempre l’uomo salito al Trono
più alto, è pur vero che questi può usare della
propria volontà, rigettando le intuizioni e i consigli suggeriti
dalla grazia, in tal modo deviandosi dalla Veritas come alcuni
malauguratamente fecero dalla Caritas. Come la Street Art, anche
l’attuale Street Theology a molti parrebbe tutta a misura del mondo:
stesso linguaggio provocatorio (a partire dal «Buonasera»
del 19 marzo 2013); si direbbe stesso istrionismo underground,
approssimativo, se non persino, per alcuni, erroneo in fide e
fuorviante («Chi sono io per giudicare?», «Dio non
è cattolico», «Il proselitismo è una solenne
sciocchezza», «Gesù fa un po’ lo scemo»,
«Siamo tutti figli di Dio», «Una grande maggioranza
dei nostri matrimoni sacramentali sono nulli», eccetera), tanto
che per alcune espressioni la Sala Stampa vaticana è dovuta
correre ai ripari, come i pulitori di certi graffiti; stesso abuso di
luoghi e di spazi espressivi sempre più informali (interviste,
libri, conferenze stampa ad alta quota, videomessaggi…) per diffondere
concetti e dottrine innovative, “fuorilegge”, oltre poi a relegare in
note a piè pagina i concetti più spinti (vedi Amoris
Lætitia, nota 351) o a far illuminare di aironi, scimmiette,
leoni e rettili la cupola di San Pietro per illustrare un’enciclica
come la Laudato sì’, tanto disassata rispetto al comune sentire
che anche cattolici provati come Antonio Socci la stigmatizzano
piuttosto come un testo «sulla raccolta differenziata». Una
conformazione così destrutturata del linguaggio papale, che
ricorda più i meandri dei vicoli del vecchio Borgo Pio, dove il
pellegrino si poteva perdere dieci volte prima di estasiarsi davanti a
San Pietro, più che la spadata di via della Conciliazione che lo
spalanca da lontano, è tale che rischia di spostare la Chiesa
dalla sua fondazione sul Verbo a una fondazione tutta soggettivista:
Bene e Male paiono sempre più annientati nella coscienza
personale, sicché, per fare un esempio, l’indissolubilità
del matrimonio non sarebbe più una realtà nata dalla
legge naturale e confermata dal Vangelo, ma solo «un punto
d’arrivo» (Avvenire, 9-4-16), un ideale, un bel sogno, e chi ci
arriva ci arriva. Si spera che i Pastori di un gregge allo sbando,
sanguinante, tramortito, e, a parere degli analisti, in tutto
l’Occidente quasi morente, sia per i numeri sempre più ridotti,
sia per la qualità sempre più insipida della fede,
sappiano dire se tutto ciò sia in linea con la forma dogmatica
della Chiesa, ossia col Verbo suo Sposo e sua Anima, e trovino presto,
in eventuali e molto attese loro risposte, la più completa
concordia e specialmente la più evidente e garantita aderenza al
santo magistero di sempre».
Si parla tanto di crisi antropologico-religiosa all’interno di diversi ambiti della Chiesa Cattolica. Secondo lei, quali sono i fattori principali di questa decadenza e in quali ambienti? «Noi dimentichiamo troppo
spesso che ciò che succede nel mondo è dovuto alla forte,
incessante e specialmente amorevolissima presenza di Dio, suo creatore,
sopra di esso: il mondo ha dimenticato Dio, e non solo per l’ateismo
dilagato, ma, prima ancora, per una Chiesa rattrappita. Senza entrare
nel merito dell’estrema articolazione in cui un organismo come è
la Chiesa, universale ma anche personale, spirituale ma anche
materiale, questo rattrappimento va ascritto a fattori ideologici, come
li chiamerebbe Livi, per i quali i più alti Pastori potrebbero
aver optato per strumenti verosimilmente buoni in sé, come certo
buona è la misericordia, ma non se disgiunti da valori che, come
la giustizia, la legge, i precetti, in realtà ne costituiscono
l’imprescindibile origine e persino l’unico terreno adatto e
irrinunciabile a un loro sano sviluppo. E qui entra in campo il
problema ‘Dio’ che dicevo. Perché tutto questo richiama una
concezione di Dio Trinità che Romano Amerio, uno dei filosofi
cattolici più eminenti che la Chiesa poté annoverare tra
le sue fila nel secolo scorso, fu costretto a riscontrare – di
ciò preoccupatissimo – per nulla ortodossa, ma frutto di quella
che, nel suo Iota unum, definì «dislocazione della divina
Monotriade»: sì, anche nella Chiesa, e forse persino prima
che nel mondo, certo non volendo, e certo anche in non piena coscienza
della cosa o almeno di tutte le sue conseguenze e dei pericoli cui
avrebbe esposto la fede, potrebbe essere stato operato un sovvertimento
dei valori fondanti, rappresentati dalle due Persone della ss.
Trinità: il Logos e l’Amore. Scambiare di posto i due insiemi
concettuali rappresentati da queste due Persone della ss.
Trinità, ossia mettere prima ciò che va dopo e dopo
ciò che va prima – per esempio la verità, la conoscenza,
la legge, la giustizia, il dogma, dopo la carità, la
volontà, la libertà, la misericordia, la pastorale –
dà luogo alla crisi più grave che una società
possa darsi, tanto più se la società è la Chiesa,
perché la verità può governare la carità,
ma la carità non può nulla sulla verità: la
verità infatti distingue ciò che è carità e
ciò che no, ma la carità non può dir niente della
verità. Lo stesso vale per tutte le altre qualità.
Infatti, come sovvertire il detto di Gesù: «Beati coloro che hanno fame e sete della
giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6)? Fame e sete di
misericordia le hanno tutti, e non sempre per la purezza che dovrebbe
distinguere la loro fame o sete, ma semplicemente per la miserabile
condizione in cui tutti si trovano. Fame e sete di giustizia, invece,
le hanno solo i giusti, coloro che ignazianamente si peritano di
discernere il bene dal male, e ciò fanno per convogliare dove
è giusto la loro misericordia. Dunque la giustizia è da
più e da prima della misericordia, ne è l’altissima
misura, e solo chi, come sant’Ignazio di Loyola, si premunisce di
giustizia, saprà poi come e quanto riempire di misericordia i
bisognosi di misericordia. Tale la meraviglia della giustizia. Questa
della dislocazione Monotriadica è certo l’intuizione più
meritevole di Amerio. Non ascoltato, anzi messo ai margini della e
dalla cultura cattolica, ne ho raccolto il testimone, illustrando in
tutti i miei libri tale cataclismatico, pericoloso sovvertimento, la
cui gravità è data dal depauperamento di amore che ne
segue, in tutti i suoi aspetti: dottrinali, spirituali, culturali,
artistici, sociali, liturgici, morali eccetera. Ma appunto: Dio non sta
a guardare indifferente, e forse – parlo anche della Chiesa e dei suoi
Pastori – sarebbe bene aspettarsi dalla sua bontà una qualche
paterna reazione, naturalmente infinitamente amorevole, provvidenziale
e misericordiosa, ma di certo anche di natura giustiziale e correttiva:
che si erri contro la Caritas o la Veritas, il Signore corregge
l’errante perché ne sappia ricavare una maggiore sapienza del
cuore, una più profonda consapevolezza, e specialmente un
ritorno all’aurea e pura via di salvezza».
Nel suo recente STREET THEOLOGY parla di scristianizzazione e grande fuga dalla realtà della Chiesa post-moderna. Quali sono i dati e cosa intende per chiesa post-moderna? «Non sono probabilmente
né il primo né l’unico a preoccuparsi della
scristianizzazione galoppante della nostra civiltà. Però
parrebbe sia il solo a individuarne le cause nel soggetto che meno ci
si aspetta. Dunque potrei sbagliarmi. D’altronde, se non si applicano
le categorie metafisiche quali i concetti di forma e di atto primo, di
cui si avvale la materia di cui sono conoscitore – la gnoseologia che
per convenzione chiamiamo ‘estetica’ –, non è facile individuare
gli elementi differenzianti e quelli invece similari che spostano la
Chiesa dal suo asse santificatorio e vivificante – o invece ve lo
mantengono –. Come sappiamo, l’asse della Chiesa, naturalmente, non
è il Papa, ma Cristo, è il Dogma nella sua
vitalità, è la Parola divina nella sua dimensione non
solo logica, ma anche viva e incarnata, ma non mai però come la
concepì don Giussani – anch’egli sempre però con le
più lodevoli intenzioni –, tramutandola in “incontro”, vera e
propria mutazione, questa, su cui mi soffermo in specie in La Chiesa
ribaltata, dove cerco di mettere il più in luce possibile
l’opposizione tra “la teologia della Parola” insegnata dal Cristo e cui
rimase fedele la Chiesa per duemila anni e la “teologia dell’Incontro”,
o “della Persona”, insegnata prima in CL, poi in tutta la Chiesa, vedi
l’enciclica Lumen Fidei: lì, a mio avviso, si concretizza quella
«dislocazione della divina Monotriade» di cui si diceva e
lì si origina il soggettivismo che pare percorrere il magistero
odierno e che dà luogo alla Chiesa post moderna, una Chiesa
disallineata dai suoi fondamenti, dalla sua responsabilità di
garantire i fedeli della sempre perfetta e continua adesione dei propri
insegnamenti alla Verità, e quindi, di fatto, dalla
realtà. Posso sbagliarmi, ma nessuno, almeno finora, ha ritenuto
necessario impugnare, per la santa fede, gli argomenti che propongo in
quelle pagine. Con ciò non voglio però dire altro che, se
mi sbaglio, sarei il primo a felicitarmi nel riconoscere la piena
salute della Chiesa, la sua siderale distanza dal modernismo, la sua
persistente e comprovata anche attuale purezza dottrinale. Parlavo di
«fuga dalla realtà»? Mi sbagliavo: la Chiesa non ha
mai goduto tanta salute come in questi cinquant’anni post conciliari.
Tutti noi infatti – criticoni o criticati che siamo – in realtà
non abbiamo a cuore altro che il bene vero e la vita della
Chiesa».
Cosa intende con curare “con i sassi e con le pietre” la Chiesa per farla “rifiorire”? «Quella cui si riferisce
è un’espressione che utilizzo in La Chiesa ribaltata (p. 292)
«Se il Papa curerà la Chiesa “con pietre e sassi”, ossia
cingendola di alti ripari dalle bufere e dai lupi e fortificando il
terreno franoso e fangoso, … essa rifiorirà e darà poi i
più rigogliosi frutti, i più succosi grappoli, le uve
più pregiate, perché questo dev’essere chiaro a tutti:
che la misericordia e la tenerezza del Signore, il suo amore forte per
noi, possono dispiegarsi solo al riparo della protezione dei più
solidi muri di recinzione della Sua vigna e del Suo frutteto… Al
dunque: se la Chiesa (il Papa) accontenterà il mondo, Dio la
castigherà dimezzando la sua progenie in tutti i modi. Ma se la
Chiesa (il Papa) accontenterà Dio, Dio la premierà
moltiplicando la sua progenie a dismisura». La misericordia di
Dio fiorisce solo all’ombra della giustizia, l’amore per Lui è
rigoglioso solo nell’osservanza dei suoi comandamenti, come cantano i
sempre attuali leggiadrissimi Salmi: nel 118, p. es., il più
lungo del Salterio, la gioia che circonda i mille riferimenti alla
legge, ai comandamenti, alla giustizia, ai precetti, dovrebbe far
riflettere: perché la Chiesa si preoccupa di farlo cantare ai
propri sacerdoti ogni giorno, nella Liturgia delle Ore, distribuendolo
su tutto il corso dell’anno? Non è che per caso di questa gioia
nessuno se ne accorge più per via di quella tal
«dislocazione» che si diceva? E in Street Theology è adombrata
la domanda: non sarebbe stato ben più intriso di vera
Misericordia un Giubileo indetto sotto il segno della Giustizia,
prostrandosi così alla somma Misericordia di Cristo giusto
Giudice (v. 2 Ti 4,8) e
correggendo finalmente quello che ad alcuni parrebbe grave errore
metodologico, se non sostanziale – siamo sempre alla ameriana
«dislocazione» –: portare sul proscenio la Misericordia di
Dio, “dimenticandone” l’origine, la sua Giustizia?».
Quali sono i suoi “stupori” di fronte alla realtà cattolica italiana? «Il mio grande stupore, davanti alla situazione che ho illustrato a riguardo della Chiesa e del mondo, è che negli Anni Cinquanta, in Italia, il 99% dei cattolici, dal Papa all’ultimo dei fedeli, pensavano la religione come l’ho esposta ora qui, e ora invece questo 99%, sempre dal Papa all’ultimo dei fedeli, pensa la religione nella prospettiva ribaltata, ossia appunto quella data dalla « dislocazione della divina Monotriade». Ne deriva un secondo stupore: detto questo, come mai nessuno, ma proprio nessuno di quei miei fratelli in Cristo che pur avrebbero abbracciato la prospettiva che enfatizza malamente la misericordia, quindi il cosiddetto dialogo, non si è reso mai, ma proprio mai disponibile a un confronto, a un convegno sul tema, a una discussione della cosa? Il fatto è che, queste le mie conclusioni, ci sia o non ci sia, un giorno, un qualche incontro tra neomodernisti e tradizionisti – sereno, rigoroso, compiuto nel segno di un vicendevole riconoscimento di ideologica sincerità –, la Chiesa comunque si riprenderà, abbandonerà l’errore modernista, rimetterà il Logos sul trono che Gli spetta, tornerà a vedere le cose sub specie æternitatis e non in prospettive sempre in varia misura colluse in qualche modo col mondo, abbandonerà la Street Theology e ogni altra strada che non sia quella del Verbum, del Dogma, dell’Annuncio, della «legge dello Spirito che dà vita» (Rm 8,2), in quel santo e assolutamente non ribaltabile ordine così luminosamente segnalato dal grande sant’Ignazio d’Antiochia: “la fede [la verità, la legge, la giustizia, la verità, i precetti] è il principio; l’amore [la carità, la libertà, la volontà, la carità, la misericordia] è il fine”». (torna
su)
novembre 2016 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |