“non cercare la verità” è l’essenza
della neochiesa bergogliana


di Alessandro Gnocchi




Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  11 novembre 2016


Titolo, seconda immagine, impaginazione e neretti sono nostri


Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


venerdì 11 novembre 2016

È pervenuta in redazione:

Caro Alessandro Gnocchi,

la mia domanda è molto semplice: visto che lei ci è già passato, anzi ha inaugurato la triste serie degli espulsi da Radio Maria, che cosa significa il fatto che l’elenco si allunghi sempre di più e che ora sia toccato a padre Cavalcoli? Che cosa sta accadendo nella Chiesa?

Grazie per la cortese attenzione e buon lavoro.

Franco Dusi






Caro Dusi,

per quando riguarda l’episodio in sé, non mi pare che ci sia niente di nuovo rispetto a quanto accade da quando l’uomo fórnica con il potere e, quindi, con il servilismo. Più roncalliano di Roncalli, più montiniano di Montini, più wojtyliano di Wojtyla, più ratzingeriano di Ratzinger, penso che padre Livio Fanzaga abbia persino trovato il tempo di essere più lucianiano di Luciani nei 33 giorni di uno tra i più brevi pontificati della storia. Si figuri se ora non si sente in dovere di essere più bergogliano di Bergoglio. Se domani dovesse diventare papa lei, caro Dusi, padre Fanzaga sarebbe senza alcun dubbio più dusiano di Dusi. Da buon papolatra, il direttore di Radio Maria ha il suo idolo in un uomo che cambia a ogni morte, o dimissione, di papa. Ogni testa tagliata è un granello d’incenso bruciato ai piedi del potente di turno.

Ma questa, per quanto possa muovere a orrore e ribrezzo, è solo la coda di un mostro così enorme che si fatica persino a vederlo, è la parte finale del potere mondano che ha occupato Roma senza che nessuno lo chiami con il suo nome. Se ne contano le vittime, se ne riscontra la brama di conformismo, se ne osservano i meccanismi, ma raramente se ne coglie la natura anticristica.

Se me lo permette, caro Dusi, vorrei cercare di spiegarglielo partendo da un fatto personale, che non riguarda la mia espulsione da Radio Maria. Voglio dirle come il parroco del paese in cui abito, in nome e per conto del vescovo di Bergamo, giustificò la negazione del rito antico al funerale di mio padre. E tenga presente che sul soglio di Pietro sedeva ancora Benedetto XVI. Se la mia famiglia, mi fu spiegato in un breve colloquio nell’ufficio parrocchiale, fosse stata protestante, anglicana, di una “religione del Libro” o di qualsiasi altra credenza, in obbedienza all’ecumenismo e alla libertà religiosa avrebbe ottenuto ciò che chiedeva. Ma, essendo malauguratamente cattolici, noi non avevamo il diritto di dare scandalo provocando strappi allo “stile liturgico della comunità” e, naturalmente, della diocesi tutta. Dunque, niente funerale in rito antico e niente appello.

Ha capito bene, caro Dusi: in quanto cattolici, non abbiamo avuto ciò che la legge della Chiesa cattolica stabilisce come diritto dei suoi fedeli. Concessione che avremmo invece avuto se della Chiesa cattolica ci fossimo fatte beffe.

Se non le basta, le racconto un altro brevissimo episodio. Quello del vescovo che ha cacciato dalla parrocchia un sacerdote per eccesso di cattolicità spiegandogli, giustamente, che “la nuova Chiesa” non ha bisogno di preti come lui. Ma non è questo il punto. Il bello è venuto quando monsignor vescovo ha presenziato all’insediamento del nuovo parroco, più conciliare e conciliante del suo predecessore. Per timore che i fedeli, per nulla felici dell’avvicendamento, potessero esternare in modo vivace il loro dissenso, monsignore ha chiesto al sindaco di sinistra del paese che gli fornisse una squadra della protezione civile per scortarlo dal piazzale alla chiesa. Riassumo: il pastore chiede al capo dei lupi una squadra di lupacchiotti per essere difeso dalle pecore del suo gregge.

È dunque chiaro, caro Dusi, ciò che muove l’azione di questa infernale macchina di potere guidata e sorretta da incandescenti e sulfurei tizzoni d’inferno: l’odio per il proprio popolo. Lo stesso odio che ha mosso tutte le rivoluzioni e si è manifestato con sistematica sete di sangue nei Paesi comunisti. Aleksàndr Solženicyn ne parla in Arcipelago gulag comparando le persecuzioni del regime sovietico a quello nazista: “Ancor più naturale il paragone veniva a chi, come Aleksej Ivanovič Divnič, emigrante e predicatore ortodosso, fosse passato tanto attraverso la Gestapo che al MGB. (…) Le conclusioni di Divnič non erano a favore della MGB: qui e là torturavano, ma la Gestapo cercava di appurare la verità e, quando l’accusa cadde, Divnič fu rilasciato. La MGB invece non cercava la verità e non intendeva far scappare chi le era capitato tra le unghie”.

Quel “non cercare la verità” è l’essenza della neochiesa bergogliana che si fa dottrina e permea di sé ogni azione chiamando “pastorale misericordiosa” un metodo inquisitorio fondato sull’arbitrio. In nome di una misericordia abbandonata nelle fauci di uomini dimentichi della verità, quindi selettiva, capricciosa e vendicativa, si sovvertono le regole più elementari della legalità.
Nessuno può essere così libero nella propria cattiveria come chi ritiene ideologicamente di essere buono.


In questa chiave, ogni rapporto con quelli che il più grande sociologo dell’ultimo secolo, Massimo Introvigne, chiama “dissidenti”, diventa un processo alle intenzioni. Non sta più all’accusatore provare l’accusa e neppure sta all’accusato di provare la sua innocenza: tutto si risolve nel fatto che l’inquisito deve dimostrare di non essere ostile al potere. Che cosa era, se non questo, il senso di ciò che il kommissario chiedeva ai Frati Francescani dell’Immacolata accusandoli di “non sentire” con la neochiesa bergogliana? Ai frati inquisiti non veniva ingiunto di mostrare chi fossero e cosa facessero, ma di provare di non essere ostili al nuovo “sentire cum Ecclesia. Per nulla interessata alla realtà poiché è irresistibilmente attratta dal nulla, anche nella procedura inquisitoria la neochiesa non cerca ciò che è, ma solo ciò che non è. Il suo occhio maligno, come quello di Mordor, cerca vendicativamente e vede solo chi ancora non riconosce il suo potere.

Di nuovo, per comprendere questo passaggio, è utile rileggere Arcipelago gulag: “Gli Organi erano esentati del tutto dalla fatica di cercare le prove. Il coniglio acciuffato, tremante e pallido, privato del diritto di scrivere, telefonare, portare qualcosa con sé, privato del sonno, del cibo, della carta, d’una matita e perfino dei bottoni, seduto sullo sgabello nell’angolo di un ufficio doveva mostrare DA SÉ ed esporre all’ozioso giudice istruttore le prove di NON avere avuto intenzioni ostili. E se non le trovava (come avrebbe potuto procurarsele?) offriva all’istruttoria prove approssimative della propria colpevolezza!”.



Tutto questo, caro Dusi, potrebbe persino essere ritenuto comprensibile in un sistema di potere solo umano. Da che esiste il peccato, uomini che inquisiscono, condannano, umiliano e dannano programmaticamente altri uomini non sono una novità nella storia del mondo. Ciò che qui inquieta è lo spettacolo di uomini che inquisiscono, condannano, umiliano e dannano Dio, o si illudono di poterlo fare. Fra le tante esibizioni bergogliane ascrivibili a questo filone, la più ripugnante è quella andata in scena nelle grotte vaticane il 2 novembre del 2013. Quel giorno, il vescovo venuto dalla fine del mondo si mostrò fortemente infastidito da un chierichetto che, al suo passaggio, teneva le mani giunte. Dunque si fermò e violò il gesto liturgico di quel bambino separandogli i palmi e chiedendogli se glieli avessero incollati.

Non si rifletterà mai abbastanza su questo episodio e, soprattutto, non lo si comprenderà nella sua essenza se ci si ferma a considerare l’ingiustizia dalla parte del bambino. Per quanto sia scandalosa l’umiliazione di un fanciullo orante, non lo sarà mai come lo sfregio portato a Dio, causa e termine di ogni segno di devozione. Per quanto sia odioso il sopruso perpetrato su un bimbetto inerme, non lo sarà mai come la negazione di un segno di adorazione a Cristo indifeso sulla croce. Sta qui la radice della tremenda misericordia bergogliana.

L’umiliazione dell’uomo è sempre frutto dell’umiliazione di Dio, il cui sintomo è il rancore che, nella Scala del Paradiso, San Giovanni Climaco definisce così:
“Custode dei peccati, odio della giustizia, rovina della virtù, veleno dell’anima, verme della mente, vergogna dell’orazione, interruzione della preghiera, avversione all’amore, chiodo conficcato nell’anima, sensazione priva di dolore, amata per la dolcezza della sua amarezza, peccato continuo, trasgressione incessante, vizio di tutte le ore”.

Forse, caro Dusi, bastavano queste poche righe per spiegare che cosa sta accadendo dentro la povera Chiesa di Roma.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo






novembre 2016
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO