Tra Scilla e Cariddi

di Elia
Pubblicato sul sito dell'Autore: La scure di Elia

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Un uomo solo, considerato capo della Chiesa Cattolica, affiancato da due tizi che millantano il titolo di vescovo in quanto responsabili di sedicenti “chiese” ormai prive di fedeli, ha deplorato con loro le conseguenze negative involontarie della cosiddetta “riforma” luterana e dichiarato superate le condanne tridentine del protestantesimo. A parte la contraddittorietà del chiedere perdono per atti ritenuti involontari, ci si domanda spontaneamente – per poco che si conosca la storia – in qual modo si possa attribuire tale carattere alla distruzione di innumerevoli chiese, conventi e monasteri, alla profanazione sistematica dei tabernacoli, all’assassinio diffuso di sacerdoti e religiosi, a guerre cruentissime e feroci, fenomeni protrattisi per più di un secolo… Se poi le definizioni dogmatiche e gli anatemi del Concilio di Trento non hanno più vigore, significa che non l’hanno mai avuto, né quelli né qualsiasi altro pronunciamento definitivo del Magistero: significa misconoscere il valore vincolante del munus docendi, specie se infallibile, e porsi quindi fuori della Chiesa.

Ma questo, a quanto pare, non costituisce certo una preoccupazione per chi si considera esponente dell’elemento più progredito del corpo sociale cui appartiene, quell’élite di tipo gnostico che cambia i nomi alle cose nell’intento di modificarne la percezione e, se mai possibile, anche l’essenza. È così che procedono i sistemi totalitari, che possono mantenersi solo elaborando una visione artificiale della realtà che sia funzionale ai loro scopi. La neolingua, creata a tavolino come la neoliturgia e la neodottrina, serve alla neochiesa a manipolare le menti, disponendole ad entrare nel nuovo mondo virtuale che cervelli perversi hanno costruito freddamente contro ogni evidenza del reale, contro i dettami della coscienza e contro le regole della retta ragione. Una nuova scienza, una nuova morale e una nuova consapevolezza rimpiazzano ormai tutto ciò che si è prodotto in passato, che deve essere inesorabilmente cassato come espressione di un’epoca superata e, per ciò stesso, esecrabile. L’uomo nuovo della gnosi massonica si libera così da quelle pastoie che gli impedivano di giungere al culmine della propria evoluzione e di farsi dio.

I massoni, d'altra parte, non hanno mai voluto uno di loro sul soglio pontificio: sarebbe diventato troppo potente e, oltretutto, avrebbe potuto ricattarli. C’è chi ha sostenuto che la lista Pecorelli fu pubblicata per bloccare l’ascesa del futuro cardinal Casaroli: appena eletto, il Papa del sorriso aveva chiesto – si dice – gli elenchi dei membri della Curia Romana iscritti alla massoneria; perciò i fratelli in grembiulino (che pensavano già, probabilmente, a una dose di veleno e a un altro conclave, dopo un omicidio rituale in piena regola al trentatreesimo giorno) ne fornirono spontaneamente una utile ai loro scopi. Il buon Agostino, ad ogni modo, fu poi candidato a un posto-chiave dal nuovo Papa riluttante, che, davanti a chi lo metteva in guardia – si dice ancora – circa l’affiliazione del Segretario di Stato in pectore, avrebbe sbattuto il pugno sul tavolo esclamando: «Lo so, ma non ho nessun altro da metterci!». Visto che il Pontefice era spesso assente, fu evidentemente lui a far da papa e re, dietro lo schermo della travolgente popolarità del vero.

Ora, dunque, secondo i loro progetti, i massoni hanno piazzato sul soglio di Pietro non un membro delle logge, ma un uomo che ha le loro stesse idee. Non c’è più bisogno di ricattare il Papa né di fare ostruzionismo come al successore: l’eletto ha superato le attese, perché è proprio convinto di ciò che fa e dice. Se negli ultimi due predecessori si poteva lamentare una certa influenza di correnti filosofico-teologiche franco-germaniche, qui raccogliamo i frutti più maturi – o meglio marci – del movimento modernista: è il non-pensiero e la non-dottrina che stanno trionfando, avvolti in un’aura di gnosi iniziatica e popolare al tempo stesso. Con il pieno sviluppo dei germi gettati nel ’68, una società giunta ad un avanzato stato di decomposizione è ormai disposta a inghiottire qualsiasi assurdità, salvo poi ringhiare rabbiosa perché l’esistenza è diventata invivibile… Niente paura: la bonaria figura del nuovo “profeta” sta finalmente ricreando la Chiesa come la vuole lui, una Chiesa “spirituale” in cui ognuno può sentirsi accolto senza condizioni perché non ci sono più né dogmi né barriere né condanne, ma solo ponti, abbracci, sorrisi e pacche sulle spalle. Poco importa che, nella realtà, le parrocchie in cui ancora va qualcuno siano spesso ambienti estremamente conflittuali e litigiosi: il peccato, i problemi, le divergenze non esistono più, è bastato cambiare le parole.

È evidente che il trionfante neomodernismo attuale abbia inquinato tutto e gettato un’ombra di sospetto perfino sul linguaggio tradizionale dell’amicizia con Dio, ma questo non ci obbliga affatto a rinchiuderci, per difesa, in una torre d’avorio intellettuale e morale, finendo così col difenderci pure, paradossalmente, da Dio stesso e dal Suo amore. Se in queste ultime settimane si è verificato, da parte di chi scrive, un cambiamento di tono, non è di certo perché ci sia stato un intervento autoritario: magari qualcuno ci interpellasse dall’alto! Almeno potremmo guardarlo in faccia e discutere da uomo a uomo. In realtà è perché l’esperienza diretta di un ambiente tradizionalista, conosciuto dall’interno, gliene ha rivelato limiti e rischi. A parte questo, ciò che nella discussione rischia di restare ignorato è l’inderogabile necessità della santificazione personale, processo che è innescato solo da un incontro personale con Cristo. È in una reale relazione con Lui che dottrina e morale si congiungono per diventare vita nell’esercizio della carità verso Dio e verso il prossimo, senza calcificarsi in un teorema astratto o in un codice esterno da riscrivere sulla tabula rasa di menti azzerate e di coscienze totalmente passive.

Il tempo non si è fermato nel ’58 né, al più tardi, nel ’62; lo Spirito Santo si è forse ritirato dalla Chiesa, dopo una certa data? La trappola più insidiosa dell’epoca odierna consiste nel sostituire il proprio giudizio personale a quello dell’autorità ecclesiastica e, in definitiva, a quello di Dio stesso. È innegabile che in questo momento i successori degli Apostoli, in buona parte, ci confondano e disorientino, ma non esiste un’altra gerarchia, né alcuno è stato autorizzato a crearne una parallela. La croce che il Signore ci ha messo sulle spalle è proprio quella di dover sopportare l’abominio pregando e offrendo per la conversione dei Pastori, camminando in pari tempo faticosamente su un sentiero distrutto con la sola luce della fede di sempre. È una luce nitida e forte, certo, ma per mancanza di guide rischiamo continuamente di deviare verso estremi opposti e di irrigidirci in comode semplificazioni della verità, che in sé è semplice e chiara, ma il cui accertamento è complesso nello stato di natura decaduta – e ancor più nell’odierna confusione.

Non permettiamo agli avversari di deformarci in senso contrario per reazione ai loro errori. Questo succede, per esempio, se per opporsi a Lutero nel suo rifiuto della Tradizione in nome della sola Scriptura si ignora deliberatamente la Bibbia, considerando protestante l’abitudine di leggerla. Per impedirne una privata interpretazione, piuttosto che proibirvi o scoraggiarvi l’accesso, bisogna guidare ad una sua retta e saporosa conoscenza nel solco della Tradizione e del Magistero. Se, per evitare un estremo, ci buttiamo verso quello opposto, cadiamo comunque in errore. Se, nel marasma del generale naufragio, abbiamo trovato un’àncora di salvezza cui aggrapparci, non ci è lecito fare di quell’àncora un idolo. Se, a vantaggio di una tranquilla sicurezza, rinunciamo all’equilibrio del giudizio e alla libertà interiore, rischiamo di rinchiuderci in una gabbia spirituale. È pur dottrina cattolica che la conoscenza di fede rimane comunque in parte oscura: Dio non ci ha rivelato tutto, ma solo quanto è necessario alla salvezza. Pretendere di trarre, a forza di sillogismi, conclusioni certe su qualsiasi questione non definita può tradursi in un attentato alla trascendenza divina.

Si può discutere all’infinito se è possibile che il Papa cada in eresia, se in caso affermativo decade automaticamente dall’ufficio e se c’è un’autorità che lo possa dichiarare; si può eventualmente spaccare il capello in quattro per trovare l’escamotage che consenta di considerarlo ancora in carica nonostante mostri evidenti segni di convinzioni eretiche; si può esibire pubblicamente un rispetto formale per lui e deriderlo orgogliosamente in privato. Ma a noi non interessano gli escamotages, bensì la verità, per quanto ardua o spinosa; non ci interessano posizioni da mantenere o difendere, bensì il vero bene della Chiesa e delle anime; non ci interessa barricarci in una riserva indiana a nostro esclusivo beneficio, bensì farci ascoltare da chi di dovere, anche se fa orecchie da mercante, perché il popolo cristiano è allo sbando e chi ne ha ricevuto la cura dovrà risponderne a Dio.
Nel frattempo, siamo costretti a navigare a vista per evitare nel vortice opposti scogli, attenti a riconoscere ed evitare tanto gli sbracamenti quanto le ingessature. È faticoso, certo, ma qualcuno conosce forse un’altra via legittima?




novembre 2016
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