Su una intervista di Mons. Schneider

Mons. Athanasius Schneider:
«rendere giustizia, tardivamente, all’ingiusta soppressione della FSSPX nel 1975 da parte della Santa Sede»



di Xavier Celtillon


  Pubblicato sul sito francese Medias Presse Info





In un’intervista rilasciata al giornale Present, sabato 10 dicembre 2016, Mons. Athanasius Schneider ha pronunciato parole del tutto nuove nei confronti della Fraternità San Pio X fondata da Mons. Lefebvre.

Présent: Il Sommo Pontefice ha prorogato la possibilità di confessare per i sacerdoti della Fraternità San Pio X, oltre l’Anno della Misericordia. Le sembra una decisione importante?

Mons. Schneider: Sì, certo, e ne sono molto felice! Ecco un gesto molto pastorale, molto misericordioso, secondo me uno dei gesti più importanti del pontificato di Papa Francesco, che aiuta il processo d’integrazione canonica di questa realtà ecclesiale che esiste da cinquant’anni e che dà dei frutti spirituali evidenti. Molte delle giovani famiglie raggruppate intorno alla Fraternità San Pio X amano la Chiesa, pregano per il Papa, come facevano i loro antenati prima di loro. La Chiesa contiene diverse case, diverse spiritualità. Solo gli ecclesiastici ostili alla Fraternità le presentano delle esigenze esagerate. Giovanni XXIII e Paolo VI hanno sempre insistito sul carattere pastorale del Concilio. Il dogma non è cambiato. Noi abbiamo la stessa fede. Quindi non c’è problema per un’integrazione canonica della Fraternità San Pio X.

Présent: Lei è stato uno degli uomini di Chiesa inviati dal Vaticano per visitare dei seminari e dei priorati della Fraternità. Quale soluzione pensa sia possibile per questa situazione controversa?

Mons. Schneider: La prelatura personale è una soluzione molto adatta alla realtà della Fraternità San Pio X e alla sua missione. Io sono convinto che Mons. Lefebvre avrebbe accettato volentieri e con gratitudine questa struttura ecclesiale ufficiale, riconoscimento da parte della Chiesa dell’apostolato svolto. Si tratterebbe solo di rendere giustizia, tardivamente, all’ingiusta soppressione della Fraternità nel 1975 da parte della Santa Sede. Allora, Mons. Lefebvre presentò un ricorso. L’erezione di una prelatura personale significherebbe in qualche modo accettare il ricorso canonico di Mons. Lefebvre con un ritardo di 40 anni. D’altra parte, la Fraternità non deve esigere delle garanzie al 100%: non sarebbe realista, siamo sulla terra non in Cielo! Sarebbe un gesto che tradirebbe una certa mancanza di fiducia nella Provvidenza.

Da alcuni anni, Mons. Schneider appare sempre più come un OVNI [UFO – Oggetto Volante Non Identificato] nel mondo ecclesiale. Vescovo ausiliare di Astana in Kazakhstan, egli trascorre molto del suo tempo in Europa visitando le opere “tradizionali” in senso lato. Queste diverse visite europee sembrano fargli prendere a poco a poco coscienza della gravità della crisi nella Chiesa.

E’ così che è stato uno dei pochi vescovi ad essersi levato pubblicamente e con vigore contro l’ignobile Sinodo sulla Famiglia del 2014 e 2015, seguito dalla distruzione del matrimonio ad opera di Papa Francesco. E’ in questo contesto che egli opera per un riconoscimento canonico della FSSPX.
Ora, se l’intenzione di Mons. Schneider sembra essere delle migliori, vi sono degli elementi che ancora sembra gli sfuggano, come si evince da certe contraddizioni contenute nella sua intervista.

- La possibilità di confessare per i sacerdoti della Fraternità San Pio X non è affatto un «gesto molto pastorale e molto misericordioso», per due ragioni:
1 - le confessioni amministrate dai sacerdoti della Fraternità sono valide e lecite, visto lo stato di necessità esistente nell’attuale crisi nella Chiesa;
2 - non v’è misericordia da accordare a qualcuno per qualcosa che possiede già, soprattutto quando la nozione di misericordia di Papa Francesco in materia di confessioni sono sostanzialmente in contraddizione col dogma cattolico.

- Se la Fraternità è una “realtà ecclesiale che esiste da cinquant’anni e che dà dei frutti spirituali evidenti”, è logico che la sua azione si colloca nel quadro della Chiesa ed è benedetta dalla Provvidenza. Perché Roma continua dunque a dire che i matrimoni celebrati dai sacerdoti della Fraternità sono invalidi?

- Se la Fraternità ha delle difficoltà ad accettare certi documenti del Vaticano II, ed è necessario collocare la cosa nel contesto della finalità pastorale del Concilio, visto che «il dogma non è cambiato”, ecco che ci troviamo davanti al problema di fondo.
Innanzi tutto la problematica del Concilio non consiste nel sapere se è pastorale o no, ma nel sapere se ciò che dice è cattolico o no. Poiché il fatto che un concilio sia pastorale non giustifica affatto che vi si trovino degli elementi contrari alla Fede. Fare della pastorale in opposizione alla dottrina è cosa che porta all’apostasia. Mons. Athanasius Schneider afferma che “il dogma non è cambiato”: certo nessuna definizione dogmatica nuova è sopraggiunta a contraddire il dogma della Chiesa, tuttavia, tutta la dottrina presentata nella Chiesa a partire dal concilio Vaticano II è quella di una nuova religione che ha modificato sostanzialmente anche il corpus dottrinale dei cattolici, gerarchia compresa.

- “la Fraternità non deve esigere delle garanzie al 100%: non sarebbe realista, siamo sulla terra non in Cielo! Sarebbe un gesto che tradirebbe una certa mancanza di fiducia nella Provvidenza.” – Ma è proprio perché non siamo in Cielo che la Fraternità deve esigere delle garanzie al 100%! E tali garanzie non servono ad essa stessa, ma a coloro che vi hanno trovato rifugio dopo il tradimento delle autorità romane e della totalità della gerarchia. E questo non è una mancanza di fiducia nella Provvidenza, ma una giusta e necessaria diffidenza nei confronti di una gerarchia che dopo dopo giorno distrugge la Chiesa.

In realtà, la questione non sta nella Fraternità; considerare le cose da quest’angolo di visuale significa non vedere il problema vero: quello del concilio Vaticano II. I suoi frutti “miracolosi” sono ormai conosciuti, visibili a tutti: liturgia antropocentrica, Chiesa secolarizzata, relativismo, abbandono della pratica religiosa, seminari vuoti e vocazioni annientate, dogmi negati e dimenticati… A quando la rimessa in causa di questo Concilio per il vero bene della Chiesa? E d’altronde, se questo Concilio è solo pastorale come pretende Mons. Schneider, cos’è che ne impedisce la sua rimessa in causa? A meno che esso sia pastorale solo quando si tratta di ottenere un accordo suicida per la Fraternità.

La fiducia verso Mons. Schneider non può che essere prudente, anche se noi ci rallegriamo per la sua evoluzione e lo ringraziamo per le sue prese di posizione coraggiose, almeno fino a quando egli non attaccherà frontalmente il concilio Vaticano II, fonte dottrinale avvelenata, e non smetterà di celebrare la liturgia protestantizzata di Paolo VI.
Perché chi non risale alle cause non perverrà nemmeno alle conseguenze.





dicembre 2016
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