Miracolo a Firenze



Pubblichiamo questa bella testimonianza segnalata dal
Centro Studi Federici di Rimini
e pubblicata sul
Bollettino Salesiano di Roma






Sono passati oltre 50 anni, ma ricordo tutto con una precisione sbalorditiva: potrei fare il ritratto dei miei compagni di viaggio, non perché li incontrassi spesso quando mi recavo all’Università, ma perché la mia memoria si è come fermata a quel 20 maggio 1944. 

Avevamo passato da poco la stazione di “Campo di Marte”, penultima stazione prima di Firenze S.M.N. della Roma-Firenze, ad appena 8 km da questa, ed avevo notato i segni del bombardamento.

Intorno a me giovani studenti delle superiori facevano la solita baldoria, ma quella volta non mi fecero ridere per le loro birichinate innocenti: ero preoccupato: temevo che anche “Porta a Prato”, all’estremità Nord di Firenze, fosse stata colpita dalle bombe e mi riservavo di vedere di persona i disastrosi effetti di una guerra che volgeva al termine e si faceva più aspra e più sanguinosa. 


Senza rispetto umano


Chi ti ispirò, caro fratino, di affacciarti al mio scompartimento, non lo so e non voglio gridare al miracolo. Era solo solo, giovane giovane ed offriva un’immagine in cambio di un’elemosina per il suo convento.
Rimase male quando dal gruppo dei giovani studenti uscì la frase volgare e ingiuriosa: «È un frate pistun!» e ciò per distinguerlo da quelli che dicono Messa. Era cioè un fratello laico. Rimase male e avrebbe certamente fatto dietro front se non l’avessi invitato ad entrare: «Venga padrino e mi dia un’immagine!».

Il frate entrò e i giovani tacquero. Era un’immagine di Maria Ausiliatrice che io, senza ostentazione ma anche senza vergogna, baciai devotamente, e feci la mia offerta.
Tutti i presenti mi imitarono. 
Il frate mi ringraziò con un sorriso: per lui ero un amico e tale sono rimasto, gloriandomi dell’educazione appresa dai salesiani di via Fra Angelico.

Era finita


Eravamo già arrivati in stazione e i giovani, come un nugolo di rondini, si sparpagliarono cinguettando allegramente prendendo l’uscita. 

Fu una cosa improvvisa e imprevista: tedeschi col soggolo e col mitra spianato ci spinsero tutti fuori stazione e ci misero al muro. Gridavano come ossessi, avevano una faccia feroce e ci davano colpi allo stomaco con la canna del mitra gridando: “Caput!”. Il motivo? Chi lo sa!? Neppure ora dopo tanti anni son venuto a conoscerlo. Ho sempre pensato che ci fosse stato qualche atto di sabotaggio. 

Non mi resi subito conto del pericolo, ma quando vidi a poca distanza da noi piazzare le mitragliatrici, capii che era finita: chi piangeva, chi implorava, chi si diceva innocente, chi imprecava, chi, cosa strana in simili frangenti, trovava il fiato per scherzare, come un giovane alla mia destra che diceva: “Oh, questa è bella! Finirà bene?... ci credo poco!”.
Ricordo che avevo ancora in mano l’immagine di Maria Ausiliatrice e che dalla paura (il viso non me lo vedevo ma doveva essere quello di un cadavere) lasciai cadere la valigia e l’immagine sacra. In quei brevi attimi, che sono frazioni di secondo, pensai a tante cose e alla mia prossima fine. 


«Salvami! Salvami!»

L’immagine mi era caduta ai piedi. La guardai e dal cuore mi salì alle labbra l’invocazione: «Maria Santissima Ausiliatrice, salvami, salvami!».
Ferma a due metri dinanzi a me, nell’uniforme militare del Reich, c’era una figura femminile. Vide il mio spavento, vide l’immagine cadere, notò forse la preghiera che stavo formulando. Si avvicinò fissandomi e nel più schietto italiano mi chiese: «È caduta a te questa immagine?».

Non ricordo il timbro della mia voce, ma deve essere stata un filo se tu, bionda Rosefrieda, ridendo soggiungesti: «Non aver paura, non ti faranno niente: raccogli l’immagine e vieni».
Così dicendo mi condusse fuori dalla fila. Ingaggiò un serrato dialogo con gli altri due ufficiali: non li capivo, ma litigavano di certo: erano parole taglienti e rapide, poche, ma sortirono l’effetto, perché i due subalterni la salutarono di scatto, ed io, tenuto per mano come un bambino, mi allontanai con le gambe che mi tremavano. 


«Credi in Dio?»


«Dove vai?» mi chiese. 
«Dai miei zii in via S. Reparata». 

Mi fece salire su di una vetturetta che guidava abilmente. La osservai meglio: aveva i gradi di maggiore dell’esercito tedesco. Capii subito che faceva parte del controspionaggio germanico. 
Dopo alcuni istanti udii il crepitio delle armi automatiche. Anche Firenze pagava il suo tributo di sangue. 

«L’hai scampata bella davvero!» mi disse. 
E io: «Ringrazio la Madonna e lei».

Non rispose subito. Si fermò a pensare. 
Dopo un po', mi chiese: «Credi in Dio?». 
«Io sì, e lei?». 
«No. Io credo in Hitler, nella razza tedesca, nella vittoria del Reich: in questo credo e mi basta». 

Azzardai: «Ma perché mi ha salvato la vita?». 
«Così. Mi hai fatto pietà! e poi ho sentito un forte impulso, un qualcuno che mi diceva insistentemente: “Salvalo, salvalo, è innocente!”» 
Tacque di nuovo.
Dopo un po’ volle sapere chi ero, che cosa facevo, dove avevo studiato. Fu a questo punto che mi disse che era austriaca e che anche suo fratello aveva studiato dai salesiani a Vienna. 

Eravamo arrivati. La invitai a salire ma non accettò: aveva fretta. Ma promise che sarebbe tornata a trovarmi a casa mia, al mio paese. La ringraziai con effusione e si commosse. Nel partire mi salutò con la mano e mi sorrise. 


Una chiamata notturna


Tornò quando meno me l’aspettavo. Quando non speravo più di rivederla. Tornò quando per lei e per i suoi commilitoni era finita davvero, e doveva far presto. 

Venne di notte a bussare alla mia porta ed io temetti che fosse la visita dei partigiani. Ci facemmo tanta festa. Era triste e non voleva apparire ed io sentivo un’immensa pena per lei. La supplicai di rimanere. Le dissi che l’avrei nascosta, che l’avrei salvata. Le dissi di non tornare a casa sua in quel momento e la esortai ad attendere qui gli eventi: fu irremovibile.

Ma quando entrò nel mio studiolo e vide appesa al muro l’immagine di Maria Ausiliatrice che mi aveva salvato, le uscì dal cuore un “Oh!” grande e gioioso.
Rimase alcuni istanti muta.

Quando se ne andò, ed avevamo entrambi la certezza di non rivederci più, non pensava più alla vittoria del Reich: aveva subito anche lei un crollo pauroso delle sue convinzioni e, dandomi la destra, mi disse: «Tu credi in qualcosa. Ti invidio. Prega per me la Madonna, chi sa!?».
Non l’ho più rivista e sento un desiderio sconfinato di saperla viva. Non può essere morta. Quando ancor oggi il mio sguardo si posa sul quadro di Maria Ausiliatrice, penso che la Vergine, almeno per quel suo atto di bontà, non solo le avrà conservato la vita ma le avrà dato quel che le mancava: la fede.






dicembre 2016
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