Virgo prius ac postérius

Quando i neopreti della neochiesa negano
le verità di Fede


di Giovanni Servodio






Alma Redemptóris Máter,
Qeæ pérvia cœli porta manes,
Et Stella maris,
Succúrre cadénti,
Súrgere qui cúrat, pópulo:
Tu quæ genuísti,
Natura miránte,
Tuum sanctum Genitórem.
Virgo prius, ac postérius,
Gabriélis ab ore,
Súmens illud Ave,
Peccatórum miserére.



Su segnalazione del vaticanista Marco Tosatti, che si rivela essere una interessantissima fonte di informazioni, siamo andati a leggere un articolo scritto da un gesuita, tale Juan Masiá Clavel, che con aria saputa ha preteso di spiegare che la Verginità di Maria Santissima sarebbe una sciocchezza da antiquati medievali e che il concetto di verginità sarebbe costituito dalla reciproca dazione d’amore che si conclude con la co-creazione di una nuova vita. Amare e procreare sarebbe l’essenza stessa della verginità.

Si comprende subito che si ha che fare con un tizio il cui cervello ha dei grossi problemi di funzionamento, almeno secondo i canoni naturali comuni a tutte le persone normali, non solo odierne, ma da quando si ha memoria storica.

Il succo di questa dissertazione supposta dotta – il tizio è professore – è che pensare che la Vergine Maria sia rimasta tale “prima, durante e dopo” la gestazione e il parto, sarebbe una cosa infondata, un mito inventato, senza giustificazione.
Insomma, costui, tuttora prete sia pure moderno, semplicemente bestemmia.
Come qualità personale non c’è male, ma non è tanto questo che colpisce, perché la bestemmia e la blasfemia li diamo per scontati nei preti moderni: senza questi presupposti non sarebbero tali.
Quello che invece ci colpisce è la crassa irrecuperabile ignoranza che contraddistingue i tipi come lui; soprattutto riguardo ai concetti stessi di sacro, di religioso, di soprannaturale; una ignoranza che dovrebbe far pensare tutto tranne che un tipo così abbia potuto essere ordinato e quindi inviato ad insegnare ad altri aspiranti preti.
Ma tant’è: dobbiamo arrenderci di fronte ai fatti. Ed è un fatto che il tizio si esercita in una elucubrazione affatto razionale, in grado di essere seguita e magari intesa a condizione che il lettore metta per una mezz’ora da parte intelligenza e buonsenso.

Abbiamo voluto riprodurre l’intero articolo perché i lettori possano rendersi conto da soli di quanto affermiamo in questa nota. E soprattutto l’abbiamo fatto perché i cattolici in generale prendano coscienza dello stato demopatologico in cui versano ormai tanti chierici a cui viene irresponsabilmente affidata la cura delle anime dei fedeli.

Questo articolo rivela appieno il grado di degenerazione a cui è giunta la neo-chiesa cattolica, che ormai non è più provocatorio definire “contro-chiesa” al servizio dell’Anticristo. Tralasciamo il fatto che questo supposto prete nega spudoratamente le verità di Fede e facciamo notare che è lui stesso, alla fine dell’articolo, che si premura di chiarire lo scopo del suo scritto: promuovere la distruzione della fede, della dottrina e della morale, offrendo una più che fumosa argomentazione per sostenere la bontà e la “verginità” di ogni tipo di rapporto a due: dal concubinaggio, all’omosessualità, al connubio comunque coperto con la sigla – ormai comune in ambito cattolico – di LGBT.

Abbiamo riportato, dopo l’articolo, qualche notizia sul tizio in questione, sia per completezza d’informazione, sia per segnalare che costui continua a fare il prete e l’insegnante in quella che un tempo era la Compagnia di Gesù fondata da Sant’Ignazio di Loyola per combattere l’eterodossia ed edificare nell’ortodossia. Oggi questi scopi appaiono decisamente invertiti, così che molti gesuiti, come il tizio in questione, sembrano chiaramente dediti a combattere l’ortodossia e ad edificare nell’eterodossia.

Chi si facesse venire in mente lo scrupolo che anche l’attuale Papa è un gesuita, farebbe bene a riflettere allora su tante dichiarazioni ed azioni di Bergoglio, reperibili facilmente su questo sito, le quali sembrano fatte apposta per confermare l’inversione suddetta.

Per ultimo teniamo a segnalare che, a proposito di ignoranza, non esiste alcun contesto sapienziale al mondo, antico e attuale, che non conosca il principio della concezione verginale del divino che si incarna per portare luce al mondo e perfino per dar vita al mondo stesso. Una concezione che non ha mai avuto nulla di “mitico”, nel senso moderno di inventato, ma che ha sempre considerato questa attuata possibilità come una realtà tangibile, verificabile e verificata, una realtà che attiene certo al soprannaturale, ma che non ha niente a che vedere con l’immaginario, poiché il soprannaturale è la più alta e la più sublime delle realtà: la base e il fondamento stesso della realtà sensibile.

Dire quindi che Maria Santissima è rimasta Vergine “prima, durante e dopo” la gestazione e il parto, equivale con l’affermare sia una realtà soprannaturale sia una realtà naturale che dalla prima discende.
Che un prete non sappia queste cose, non solo non è scusabile, ma è colpevole: è diabolicamente colpevole.


L'articolo

Natale, Porta della Vita
di
Juan Masiá Clavel, S. J.

Pubblicato sul blog dell'Autore: Vivere e pensare sulla frontiera

19 dicembre 2016

Concepire e dare alla luce, il compimento della verginità

Nell’uso corrente del linguaggio, quando si parla di “essere o non essere vergine” si suole alludere alla prima relazione sessuale, penetrazione vaginale, rottura dell’imene, sanguinamento, ecc. e simili connotazioni fisiologiche; o anche agli effetti che comporta, psicologici, sociali o morali, la cosiddetta “perdita della verginità”.

Altre volte si può trattare della possibilità offerta dalla chirurgia plastica o dalla ginecologia estetica con un’operazione della ricostruzione dell’imene.  Se si tratta di copione per un telefilm comico di ambientazione medievale, si scherzerà con la cintura di castità e la perdita della chiave del lucchetto. Più seriamente l’antropologia sociale e culturale si dedicherà a spiegarci il significato della verginità come fattore sociale e dei tabù conseguenti.

Ma quando ci troviamo davanti al tema della verginità nelle narrazioni mito-poetiche dei vangeli secondo Matteo e Luca, il tema non è fisiologico né bioculturale. L’annunciazione a Maria e l’annunciazione a Giuseppe, come abbiamo visto nel post della scorsa settimana, sono inquadrati entrambi in un sogno e non sono né una categoria biologica, né sessuologica, né una cronaca storica di un matrimonio eccezionale o almeno di una nascita soprannaturale. Queste narrazioni sono poesia e teologia o per meglio dire simboliche e di fede. Difficile immaginare come il miglior poeta o il miglior teologo potessero esprimerle meglio di come hanno fatto Matteo e Luca nella loro interpretazione della Buona Novella dell’Emmanuel, colui che salva e libera…

Capite in tutta la sua profondità il senso umano e divino, poetico e di fede, che comporta l’attraversamento di questa porta dell’imene, da cui entra  o esce l’enigma della vita, il concepire o il dare alla luce? Perché di questo si tratta effettivamente di una Porta della Vita.

Per questa Porta della Vita entra ciò che prepara l’inizio di una nuova vita e da essa esce la nuova vita che nasce. E al tempo stesso entra ed esce lo Spirito della Vita, lo Spirito Santo, perché si realizzi la co-creazione di una nuova vita, co-creata dai genitori e dal Creatore.

Il che è cosa diversa dall’idea duale che immagina uno Spirito Santo che in volo dall’alto viene a infondere un’anima in un corpo presunto “inanimato”.

No, lo Spirito opera da dentro: da dentro l’evoluzione, da dentro l’ovulo e da dentro lo sperma; da dentro il seno materno che accoglie il pre-embrione perché si realizzi e si compia la concezione alla fine dell’impianto nel suo seno; da dentro il cuore dei genitori che hanno desiderato questa nuova vita e l’hanno sperata dapprima che avesse inizio la gravidanza; da dentro la decisione di condurre questa gestazione fino alla nascita, invece di rifiutarla abortendola dopo averla accettata biologicamente e umanamente al consumarsi della concezione; da dentro la concorde decisione di dare un nome alla creatura, come gratitudine per la sua vita, come promessa di crearla ed educarla nella vita e nella fede (cosa che si fa quando si capisce bene il battesimo infantile e non secondo gli schemi agostiniani della supposta colpa originale…) e come supplica di benedizione per la sua nascita; il che significa che è da dentro questi processi biologici e umani che agisce lo Spirito perché si compia la co-creazione di questa nuova vita e la sua personalizzazione individuale irripetibile.

(E’ chiaro che questo è detto in linguaggio non duale; diversamente da quel linguaggio che parla di un “istante della concezione” o traccia una linea limite per determinare il presunto momento in cui si infonde un’anima dal di fuori).

Gli antichi catechismi dicevano in modo inappropriato “vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto”. Pensavano che prima del parto la penetrazione sessuale rompesse la verginità; pensavano anche che la creatura che nasce, nel rompere e ferire questa porta, macchiasse la madre, che doveva purificarsi; pensavano anche che se Maria e Giuseppe avessero generato altri figli e figlie, fratelli e sorelle di Gesù, Maria smettesse di essere vergine. Ma va detto che né l’unione per amore macchia, né il sangue contamina, né il dare alla luce produce impurità.

Oggi non pensiamo così. Chi insistesse nell’usare immagini medievali, potrà dire che bisogna proteggere questa porta del castello. Tale che essa si aprirà e chiuderà a seconda che si voglia entrare o uscire. Se viene il nemico ad uccidere, la porta si chiuderà. Se viene l’amico a dare la vita e a cui noi la diamo mutualmente e con cui co-creiamo una nuova vita, allora la porta si aprirà e si abbasserà il ponte levatoio.

Facciamo un po’ di etimologia. Imene è, dal greco hymen, una membrana. Imeneo era il dio greco delle nozze. Si supponeva che nella notte delle nozze si rompesse l’imene, cosa che può essere dolorosa e gioiosa al tempo stesso. Secondo altri dizionari si può accostare con l’etimologia di hymnos. In questo caso il senso è di canto di allegria.

Pertanto, la verginità non si perde o si conserva con la sola rottura o chiusura della porta. Se violentano una donna e forzano questa porta, la ferita sarà doppia, fisica e psicologica. Però non si potrà dire che quel giorno ha perso la verginità. La sua porta sarà sempre la porta della vita. La prossima volta, quando verrà qualcuno che non sia un violentatore, ma una persona amata che viene perché entrambi si diano mutualmente la vita per co-creare una nuova vita e per dare insieme la vita, allora si deve dire che la verginità di quella donna non si è persa, essa è sempre lì come capacità di accogliere la vita, come fiducia nell’atto di dare la vita congiuntamente con lo Spirito di Vita; come capacità di gratitudine per la vita e come capacità di dare la vita in mille modi tutt’attorno a sé. Lo stesso può dirsi della decisione di accettare e accogliere la nuova vita (col che si completa il processo – non l’istante del concepimento – di compimento della concezione; già l’embrione prende il nome di feto…)

Per questo il titolo del post si leggerà così: Concepire e dare alla luce è il compimento della verginità.
Non si perde, si realizza. Il fatto che Giuseppe entri con amore in questa porta, non rompe la verginità di Maria, né la macchia, ma si realizza. La nascita di Gesù che ferisce fisicamente e causa dolore in questa porta di Maria, non la rende impura, né la macchia. La paternità e la maternità carnale, biologica e umana di Giuseppe e Maria non  sono incompatibili col fatto che entrambi siano vergini che realizzano e compiono la loro verginità nel generare Gesù con il soffio dello Spirito di Vita che agisce da dentro Giuseppe e Maria.

Il meditare questo a Natale ci porta ad una gratitudine immensa verso i nostri genitori che hanno generato con amore grazie allo Spirito di Vita che ci ha fatto nascere per opera e grazia dello Spirito Santo. E sentiamo anche la responsabilità di proteggere e curare ogni vita e di vivere tutti e tutte (uomini e donne, celibi e sposati, fertili o sterili, di sessualità maggioritaria o minoritaria, senza nessuna discriminazione né esclusione) per darci mutualmente la vita e per dar vita al mondo.

Mi si permetta di ripetere quello che ho detto nel post della settimana scorsa:

Il Natale rende manifesto il senso profondo di ogni nascita umana – diceva Giovanni Paolo II (Evangelium vitae, 1995, n. 1). Ogni creatura nasce per opera dello Spirito Santo. Ogni padre e madre possono chiamarsi propriamente co-creatori della nuova vita, nascita di maschio o femmina con la benedizione dello Spirito di Vita e accolta da coloro che le danno il nome (come promessa di creazione continua durante la crescita), tanto se questa vita è nata in questo modo col processo abituale, quanto se è nata per mezzo della procreazione assistita o se fu realizzata con altre circostante (per un’altra coppia, per una maternità surrogata, per una adozione da parte di una coppia LGBT, ecc…)



Notizia



Juan Masiá Clavel S. J. (Murcia, 1941) è un gesuita spagnolo che ha trascorso molti anni in Giappone e che è stato direttore della cattedra di bioetica della Pontificia Università Comillas di Madrid. Da qui venne allontanato dai superiori su richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede e del suo rappresentante a Madrid, per i suoi insegnamenti sulla morale sessuale e per le sue prese di posizione a favore del preservativo. Ciò nonostante continuò a far parte della Commissione sulla bioetica della Conferenza episcopale giapponese, incaricato di interessarsi di questioni di etica della vita. Coadiutore nella parrocchia dei gesuiti a Kobe, Giappone, fa il professore di bioetica nell’Università Cattolica San Tommaso della diocesi di Osaka. A Tokio collabora anche con la Commissione cattolica Giustizia e Pace, nonché con la sezione giapponese della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace.
E’ stato uno dei firmatari del manifesto Ante la crisis eclesial (Di fronte alla crisi ecclesiale) (2009), nel quale, insieme ad altri 300 studiosi cattolici, sostiene che la crisi attuale della Chiesa è dovuta alla mancata applicazione delle direttive del Vaticano II.





dicembre 2016
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