HOMO SMARTPHONICUS
ovvero:
la glaciazione cibernetica delle coscienze


Articolo di L. P.





Le cronache giornalistiche, quelle televisive, e il villaggio globale della rete hanno diffuso il racconto e le immagini  del clandestino gambiano morto, pare suicida, nelle fredde acque veneziane del Canal Grande, ieri mercoledì 25 gennaio scorso in séguito, pare, a un terminale senso di disperazione per un permesso di soggiorno negato.
  
In tempi in cui “a ciascun giorno basta la sua pena” (Mt. 6, 34) col carico cruento di guerre, di eccidî, di attentati, di infanticidî, di tragedie familiari e di catastrofi naturali, la notizia che Pateh Sabally, giovane di 22 anni si era gettato nelle acque del canale più famoso del mondo, sarebbe stata data senza il corredo di commenti e di  considerazioni - una delle tante che si registrano per assuefazione - se non fosse che, dalla vicenda, emerge un aspetto terrificante e agghiacciante per come è stata vista, vissuta e valutata da quanti erano presenti.
  
Il gesto insano del giovane, col fatale epilogo mortale,  si compie davanti a una cornice di folla, quella che quotidianamente assalta e assiepa ponti, piazze e calli di Venezia. Non si comprende se il gambiano sappia o no nuotare, voglia o no salvarsi sicché, in questa altalena di supposizioni, qualcuno lancia in acqua un salvagente che il giovane non cura di afferrare. Vuole morire. “Pochi minuti prima aveva appoggiato il suo zainetto sul ponte a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Non un biglietto, non una parola. Solo un tuffo verso il nulla” (Nino Materi – Il Giornale 26 gennaio 2017).
  
Suicida o no, ci si aspetterebbe che qualcuno gli presti soccorso, che si getti in acqua per salvarlo; ci si aspetterebbe un momento di forte emozione e di collettivo slancio di solidarietà. Macché! Quel poveraccio, quell’uomo che sta per colare a fondo nelle acque fecali veneziane, diventa spettacolo da riprendere con webcam, cellulari, smartphone. È l’orgia satanica della corrida fatta di flash e di urli, di risate,di  motteggi, di riprese le cui immagini, immesse in rete, diventano, come si dice, “virali”. E mai aggettivo si rivela più consentaneo al tipo di gestione della notizia che mira soltanto a innescare la gara a chi riesca a catturare e ad immettere nel web immagini e suoni i più arditi, i più insoliti, i più orrendi, i più crudeli.
  
È la mutazione dell’uomo che, dal tipo sapiens/socialis/pius, vira verso un modello faustiano, egotico e quindi privo di solidarietà, robotizzato, glaciale, schiavo della tecnologìa e drogato a massicce dosi di Internet. “Homo smartphonicus”.
Sicché, davanti alla scena del suicida, non scatta imperioso il moto genetico della fraternità che anima, o dovrebbe animare, ogni componente il consorzio umano, ma prevale la volontà di potenza, la voglia di sentirsi ed essere sceneggiatori e registi di un evento pietoso trasformandolo in sadico godimento  da diffondere sul globo. Perché? Perché “fa notizia” e appaga il diritto di autore. E allora, è pollice verso come nelle antiche arene. È l’involuzione che porta a quell’ übermensch  - superuomo – nicciano che lo Zaratusthra proclama, ed invoca, quale compimento della grandezza. “O fratelli, sono dunque crudele? Ma io vi dico: chi sta per cadere va aiutato con una buona spinta” (Così parlò Zarathustra – III, 20).
Niente superba grandezza, ma solo il precipitar nell’abisso glaciale dell’inferno. Perciò, nella vicenda liquida del Canal Grande, la folla ha dato una spinta.


  
L’uso amorale ed immorale dei massmedia ha portato, in questi ultimi anni, a rendere la sventura, la sofferenza e le lagrime elemento estetico di una necrofilìa fatta spettacolo in cui è necessario che venga immolata al moloch dell’ascolto – o audience che dir  si voglia – la vittima e quanto le ruota attorno.
  
Ed ecco, allora – tanto per fare un esempio emblematico e rappresentativo di molti altri - comparire sullo schermo televisivo o sul computer, una madre il cui figliolo le è stato ucciso da un folle pirata della strada.  Ella, a corpo ancora caldo della piccola vittima, risponde alle domande del giornalista, ad occhi asciutti, spesso abbozzando un moto che sa di riso stolido, come se  la sventura non fosse sua ma di altri. La telecamera, intanto, indugia zumando sul cespo erboso bagnato di sangue, inquadrando e interrogando, a turno, i tanti testimonî e i curiosi che si offrono a dir la loro ornando il racconto di granguignolesche aggiunte. Potenza del mezzo audiovisivo! Non c’è lagrima, non ci sono singhiozzi ma soltanto l’euforìa di trovarsi - almeno per una volta, e non importa se in occasione, purtroppo, d’una tragedia – al centro del mondo massmediatico.
   
Nostra madre (mia), per la morte del figlioletto, nostro (mio) fratellino vittima della strada, rimase in stato catalettico per oltre un mese. Le madri e i padri d’oggidì, subito dopo la tragedia, si abbandonano, con una freddezza stranita ed ebete, all’influsso ipnotico e al fascino della telecamera che, alla persona normale, dèsta orrore, sdegno e compassione. È la vittoria dell’immagine sulla realtà concreta, è la mutazione genetica del sentimento e della cultura nell’affermazione dell’effimero che cristallizza il dolore nella momentanea sensazione di essere protagonisti globali.
 
Il caso dell’immigrato gambiano è la cartina al tornasole di questa mutazione culturale che non è ancora giunta al culmine della bassezza di cui Satana sposta sempre l’asticella in avanti.
  
La verità? Semplice: Zarathustra ha detto che Dio è morto e l’uomo, dalla ragione illuminata, ha sancito questa bestemmia imponendola con la legge.
Dio era presente negli ospedali, nei tribunali, nelle scuole, negli angoli delle strade, rimosso dallo  Stato laicista e democratico; era presente nelle chiese e anche da lì sfrattato per dar luogo a Lutero e agli idoli delle confessioni pagane perché non esiste un “Dio cattolico”.
Morto Dio, è nato l’uomo faustiano e libero, che istituisce il divorzio, l’aborto, l’eutanasìa, la sodomia, la droga di Stato. Come meravigliarci, allora, se la folla assiste a quella “morte a Venezia” come a uno spettacolo di antichi misteri pagani?

Noi, in tutti gli interventi con cui abbiam trattato dell’immigrazione clandestina, abbiamo sempre espresso la convinzione che la più che ventennale onda migratoria altro non sia che un disegno, predisposto dai centri di potere mondialista, con si cui configura e attua una vera e propria invasione di marca islamica che abbia, quale unico scopo, l’oscuramento della civiltà occidentale e del Cattolicesimo soprattutto, altrettanto convinti che l’unica risposta è lo sbarramento dei flussi e il rimpatrio dell’irregolare.
Pertanto, qualsiasi ipotesi che ci attribuisca sentimenti di indignazione per essere, la vittima, un clandestino, è del tutto errata perché, in quel momento estremo, in quella circostanza mortale, davanti alla quale la folla non solo restava indifferente ma ostentava arroganza e ridanciana euforìa, noi abbiamo visto e pianto un “uomo” creatura di Dio fatta a sua immagine e somiglianza morire nell’indifferenza generale.



gennaio 2017
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