La rapida attuazione dello spoil system in Vaticano
dopo l’elezione di papa Francesco


di Cesaremaria Glori



Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana





In questi ultimi tempi appare decisamente preoccupante l’accelerazione con la quale la Curia Vaticana sta portando avanti la campagna di aggregazione e di omologazione, più o meno forzata, delle frange disaggregate del tradizionalismo cattolico. Questa accelerazione attuale induce innanzitutto a riflettere sulla pronta attuazione del piano di spoil system iniziale seguito all’avvento di Papa Francesco.
L’immediata giubilazione del card. Burke permetteva al suo successore Braz de Aviz di iniziare prontamente il perentorio addomesticamento dell’Ordine dei Francescani dell’Immacolata, chiaro segnale per tutti quei gruppi inquadrati o meno in Ordini o Movimenti, a non porsi contro la nuova gestione che si apprestava a plasmare la nuova Chiesa secondo lo spirito modernista che rivendicava la piena e totale applicazione delle  aperture conciliari al mondo moderno.

Perché cominciare proprio dall’Ordine dei Francescani dell’Immacolata con quel brutale intervento che mirava a cancellare la Regola che era stata concordata dal fondatore con l’assenso e i suggerimenti di San Pio da Pietrelcina?
Ce lo siamo chiesti in tanti sino a quando la spiegazione ce l’ha data lo stesso papa Francesco con quella sconcertante e insolita confessione fatta nel corso di un incontro che avvenne fra il Pontefice e una piccola rappresentanza di frati dell’Ordine.
Ho presente la scena che ci è stata tramandata dal filmato di quell’incontro. Si vedeva Papa Francesco seduto che si intratteneva amabilmente con i frati, quando ad un certo punto emergeva la voce di uno di questi, sempre ripresi di spalle,  che chiedeva con voce accorata il perché della persecuzione nei loro confronti. Papa Francesco sembrò esitare per poi chinare il capo e, con voce timida ma nitida che sembrava salire dal fondo della coscienza, enunciare quella inimmaginabile confessione che la loro colpa era quella di amare troppo la Madonna, quella Madonna che dava tanto fastidio a quel  nemico che loro sapevano bene chi fosse.
Strabiliante fu quella confessione e mai abbastanza riflettuta, se non, forse, da quei frati che erano lì presenti. Quella voce del Papa mi sembrò quasi innaturale e la cinepresa non inquadrava bene il suo volto mentre parlava a capo chino, di modo che se ne vedeva soltanto il profilo. 
Fu ispirata o usciva quasi forzatamente dalle sue labbra?
In ogni caso quella confessione era inspiegabile perché, se corrispondeva al vero pensiero del papa, risultava incomprensibile tutta la vicenda che riguardava quei frati  da quando Braz de Aviz aveva dato corso alla drastica epurazione dell’Ordine. 

Quindi la Madonna costituiva la pietra di inciampo per la normalizzazione di quell’Ordine. La normalizzazione che si andava attuando doveva quindi servire ad annullare l’opera che quei frati e quelle monache stavano portando avanti per il trionfo di Maria con eccessivo fervore. Fervore che infastidiva e ostacolava il movimento ecumenico cattolico che guarda in modo palesemente strabico verso l’Occidente protestante e con una manifesta sufficienza il mondo Ortodosso del variegato Oriente.

Sufficienza che apparve chiara durante l’udienza che papa Francesco concesse al leader russo Putin. A Putin dovette sembrare che Papa Francesco avesse dato poco valore al dono dell’icona raffigurante la Madonna. Per far intendere al Papa quanto  valore egli riponesse in quell’icona si inchinò a baciarla sperando che Papa Francesco facesse lo stesso. A Putin, in quel momento, dovette sembrare se non irriverente quanto meno poco convinto l’atteggiamento del pontefice. Quel disinteresse stonava non poco se posto a confronto con la convinta riverenza verso la statua della Vergine posta a lato dell’altare della Confessione nella basilica di San Pietro, di fronte alla quale Papa Francesco ama sostare qualche attimo lasciando l’altare.

E’ ben vero che Papa Francesco mostra sempre una grande venerazione verso la  Madonna e che invita continuamente i fedeli a pregarla, raccomandandosi che la si preghi anche per lui stesso. Resta però il fatto che tutta la politica vaticana risulta manifestamente strabica verso l’Oriente, sia esso ortodosso o di altre confessioni. 
Se si dovesse paragonare  l’interesse della Santa Sede e di Papa Francesco in particolare, fra il mondo islamico e le martoriate chiese dell’Oriente non si può che concludere che c’è un manifesto sbilanciamento.

La plateale e scenografica manifestazione di Lampedusa con quei tre stentorei VERGOGNA, VERGOGNA, VERGOGNA rivolti non si sa a chi, resta scolpita nella memoria. Quella sceneggiata di Papa Bergoglio  suonò come un invito ad invadere l’Europa, una chiamata ufficiale fatta da colui che con quel proclama si poneva quale leader della sinistra mondiale e campione del terzomondismo. 
Al confronto i richiami fatti dalla finestra dei palazzi vaticani a pro dei cristiani perseguitati dal fanatismo islamico appaiono delle flebili implorazioni a non infierire. La tenerezza mostrata verso le singole persone mussulmane non l’abbiamo notata verso i pur numerosi cristiani orientali che si sono recati in visita in Vaticano speranzosi di un’accoglienza quanto meno simile a quella offerta agli esponenti di quella fede che li perseguita. Figliastri, insomma, come se Gesù Cristo fosse un dio minore rispetto ad Allah.

Lo sbilanciamento risulta inoltre dalla diversa attenzione che la Santa Sede presta al mondo occidentale rispetto a quello orientale. La Santa Sede ha sinora guardato con affabilità e quasi con ossequio agli Stati Uniti di Obama. La visita fatta al premio Nobel per la pace Obama è stata tutto uno scambio di concordanze e di complimenti. Mai un papa cattolico aveva ricevuto una così affabile accoglienza negli Stati Uniti.
La rivista Times lo aveva sin dai primi tempi del suo pontificato definito l’Uomo dell’anno e ne faceva risaltare la netta differenza col suo predecessore fatto spesso bersaglio di velenose critiche.
Papa Francesco, inoltre, ha manifestato vicinanza, si direbbe quasi una compiacenza, verso le chiese latino-americane, il che è anche comprensibile vista la sua origine e provenienza, lasciando però che si diffondessero certe derive dottrinali che sono ormai divenute pressoché istituzionali.

Al contrario abbiamo assistito sinora ad una manifesta disattenzione verso il mondo ortodosso e russo in particolare.  Alla improvvisa e straordinaria visita del Patriarca di tutte le Russie, avvenuta durante il viaggio papale a Cuba e che aveva suscitato tante speranze, non è stato dato alcun seguito. Da parte vaticana non si è dato alcun risalto particolare a quell’incontro. Non ci fu dato di notare un particolare calore da parte del seguito papale a quell’incontro che sembrava dover rompere i ghiacci di quasi un millennio. Questo gelo sembra ancora spesso e duro da rompere.
Probabilmente la diplomazia vaticana continuerà pure a svolgere con prudenza le relazioni col mondo ortodosso ma il differente atteggiamento continuamente esibito verso il mondo protestante d’Occidente  manifesta, con evidenza, una predilezione che sembra voler alludere ad una più stretta condivisione di programmi e di idee per il futuro.

La guerra in Siria ove la Russia aveva cominciato ad assumere un ruolo di primaria importanza veniva visto dalla emittente televisiva vaticana e dalla stampa  cattolica romana come un’indebita intrusione in un’area ove gli USA continuavano ad agire dietro le quinte armando i contendenti avversari del presidente siriano Assad.  L’atteggiamento della Santa Sede  lasciava trasparire un palese fastidio per l’intervento russo, nonostante che esso appoggiasse manifestamente la minoranza cristiana siriana. Il progressivo sganciamento statunitense da quel teatro di guerra stava orientando lo stesso Erdogan a rivedere la sua politica ostile contro Mosca. Ankara aveva compreso che gli USA si erano andati a cacciare in una trappola dalla quale non  sapevano più come uscirne ed erano, tutto sommato, ben lieti che Mosca intervenisse a bilanciare l’eccessiva  ingerenza dei Paesi del Golfo.
L’appoggio russo ad Assad era stato sottovalutato e la tenacia e l’asprezza della resistenza all’attacco dei ribelli aveva finito per portare lo sconcerto nell’establishment militare e politico statunitense  L’incertezza politica e strategica militare statunitense aveva convinto anche i cristiani palestinesi che non si poteva fare alcun affidamento sulla Casa Bianca, come aveva compreso il patriarca latino di Gerusalemme, il giordano Twal, ora sostituito dall’amministratore apostolico Pizzaballa.

La gestione vaticana del Medio Oriente è apparsa incerta e ondivaga al pari di quella statunitense lasciando le minoranze cristiane di quegli sfortunati Stati in una condizione di penosa insicurezza sul proprio futuro.

Si percepiva chiaramente che la Santa Sede, dall’avvento di Bergoglio in poi, nutriva una scarsa simpatia per il leader russo, forse anche a causa dello scontro in atto fra Mosca e l’Ucraina parzialmente cattolica. Invece di porsi come pacificatore fra le due confessioni cristiane e intensificare i rapporti con la Chiesa Ortodossa accogliendo il primo e volenteroso passo fatto dal patriarca Kirill, la Santa Sede sembrava voler sposare in pieno la linea dell’Europa di Bruxelles di manifesto sostegno alle aspirazioni più che indipendentiste di Kiev, sostenute e finanziate con compromettente larghezza  dagli USA e da certe ben note fonti finanziarie sempre pronte a speculare e a creare torbidi.

In sintesi la politica estera della Santa Sede è risultata sempre sbilanciata verso Occidente, vuoi per una opzione per il mondo protestante, la cui lacerante separazione  non era mai stata accettata come ineluttabile e definitiva, vuoi per una diffidenza atavica verso l’Oriente Cristiano nonostante la quasi omogeneità dottrinale che accomuna l’Ortodossia e il Cattolicesimo. Un ecumenismo strabico che guardava prevalentemente verso l’atlantico voltando le spalle al dottrinalmente più vicino Oriente cristiano.

A questo punto ci si deve chiedere il perché di questo strabismo marcatamente filooccidentale che, dal 2013 in poi, sembra accentuarsi con la manifesta condiscendenza verso le rivoluzionarie scelte antropologiche frutto di un programma elitario che ha nella Massoneria e in un preciso ed elitario ambiente giudaico la sua fonte di ispirazione e di sostegno.

Riflettendoci, non appare azzardato sospettare che il progetto di quanto sta accadendo nella Chiesa di Roma  lo si debba dedurre dai fatti che hanno preceduto le dimissioni di Papa Benedetto XVI e l’avvento del nuovo corso.
Il passaggio è avvenuto così rapidamente e in modo talmente liscio e oleato che non si può non pensare che tutto fosse stato già predisposto con cura e precisione.  Il blocco della finanza vaticana attuato dal Sistema Interbancario Swift nel febbraio 2013 costrinse Benedetto XVI a rassegnare le dimissioni. Quel blocco condannava la Santa Sede a non poter muovere più un quattrino, una specie di embargo monetario che condannava la Chiesa di Roma alla completa paralisi finanziaria. Embargo abrogato a poche ore di distanza dalla notizia delle dimissioni di Papa Benedetto. Per quale motivo si voleva l’allontanamento di Benedetto XVI? Quale mutamento ci si attendeva dal prossimo conclave?

La risposta sta nei fatti che si sono succeduti. Non è una teoria complottista quella che si delinea  in queste righe. Si tratta di fatti avvenuti cui occorre dare una spiegazione. Il blocco c’è stato e le dimissioni pure e i due eventi sono strettamente collegati fra loro come l’effetto è legato alla causa. Non è un mistero che Papa Benedetto fosse indigesto al piccolo ma potente mondo finanziario globale che governa questo mondo. Era osteggiato e schernito, spiato e tollerato all’interno delle stesse mura vaticane. I suoi anni di pontificato debbono essere stati penosi. Un giorno si verrà a sapere quel che ha patito questo papa, remissivo nella forma ma irremovibile nella sostanza. Un  papa tanto tenace da costringere i padroni del mondo a bloccare la finanza vaticana con un atto di imperio e di assoluta prevaricazione che dovrebbe far riflettere sulla  realtà in cui viviamo.

Ma torniamo a quel che avvenne dopo l’elezione di Papa Francesco.

Quell’agghiacciante” Buonasera” fu il saluto che inaugurava la notte che stava per giungere. In quattro e quattr’otto fu riorganizzata la Curia secondo il volere di Papa Francesco. I fedeli collaboratori di Papa Benedetto furono estromessi uno alla volta e sostituiti da persone allineate con Papa Francesco. Era tutto già pronto e preordinato. Si trattava di attuare un programma col suo organigramma. I vescovi prossimi al raggiungimento del settantacinquesimo anno furono, in certi casi, invitati ad anticipare l’abbandono della diocesi mentre in quelle più importanti furono attuati strategici spostamenti. I nuovi vescovi  erano già noti a chi aveva steso il programma e tutto procedeva come da copione.
Oscuri e queruli monsignori furono affiancati a maturi prelati e le varie conferenze episcopali si ritrovarono tutte governate da elementi in perfetta sintonia con la sede petrina. Sintonia che non era di fresca data ma che doveva avere avuto la convalida da frequentazioni e contatti  precedenti.  Tutto così in fretta e così ben studiato che non si può non pensare che fosse stato concordato da tempo. L’unico ostacolo era quel Papa Benedetto che non aveva voluto mollare e si fu costretti ad usare le maniere forti per convincerlo ad uscire di scena.

Tutto sembrava aver preso il corso che si voleva attuare. Il mondo sembrava avviato verso la normalizzazione voluta da quelli che hanno escogitato la globalizzazione, quando, più o meno inaspettatamente, accadono degli eventi imprevisti: la Brexit, Putin che si pone a guardia del vecchio e apparentemente malandato impero russo e si lancia a difesa di quel che resta del vecchio movimento rinnovatore arabo, inducendo il più strategico dei vecchi alleati dell’Occidente, la Turchia, ad abbandonare gli Usa e a rifugiarsi sotto il più affidabile ombrello russo per non tornare ad essere quel gendarme a guardia del Mediterraneo orientale a servizio dell’Occidente.
Come se non bastasse, a capo della nuova Cartagine sale un imprevisto ed imprevedibile guastafeste, un uomo apparentemente sprovveduto ma che ha quel fiuto e quell’astuzia tipica degli imprenditori e degli uomini d’affari.  Donald Trump non ha molte e grandi idee ma quelle poche che ha sono semplici e comprensibili dalle masse e, presto o tardi, finiranno per far breccia anche nelle menti di quella classe media che è più restia ad abbandonare le convinzioni maturate in tanti anni di indottrinamento rivoluzionario.
Questo ravvedimento potrebbe essere favorito dalla  ripresa economica generale a seguito degli incentivi diretti e indiretti della politica del nuovo presidente. La crisi economica della parte più sviluppata dell’Occidente, secondo molti studiosi di economia, non è stata altro che l’inevitabile esito del globalismo economico e culturale. I grandi gruppi multinazionali spostavano le produzioni laddove più favorevole risultava il costo del lavoro, senza pagare dazi al ritorno delle merci. Era inevitabile che a soffrirne fossero i lavoratori delle aree più sviluppate del mondo occidentale.  Nei periodi di crisi si torna quasi sempre al passato, trovando in esso i sentieri per tornare a sperare nel futuro.

Trump potrebbe costituire per il mondo quella piccola palla di neve che smuoverà la valanga destinata a spazzare via l’eccesso di pesi e di regole che opprimono il mondo.

Appare ancora incredibile ai nostri occhi il constatare che quel numeroso complesso di maitres à penser che hanno sinora guidato l’Occidente non avessero previsto quanto sta accadendo in questi ultimi tempi. I loro giudizi continuavano a sostenere perentoriamente che non si poteva e  non si doveva tornare indietro e che il progresso tecnologico era tutt’uno con quello antropologico.
Questi maitres à penser appaiono frastornati e, sinora, hanno reagito con dispetto e malcelato disprezzo. Non tarderanno a reagire ma è troppo tardi. Il mondo è decisamente mutato e ha già pronte le sue difese per non soccombere di nuovo alla prepotenza. La Russia di Putin, la Cina, l’India sono vive e pronte a difendere le posizioni raggiunte. Il mondo che sembrava aver accettato  la fine della storia di Fukuiama non è affatto mutato. Il mondo muta sempre secondo parametri  (incognite) che si avviluppano e si intersecano l’uno con l’altro e si modificano continuamente in una tale complessità che nessun matematico, per quanto coadiuvato da avanzatissime tecnologie, è in grado di calcolare risolvendo impossibili equazioni.
La Divina Provvidenza governa il mondo e tiene saldo il timone dell’Umanità, a dispetto di ogni tentativo di sabotaggio dell’Uomo e del suo atavico Nemico.

L’avvento di Trump fa però comprendere che gli USA non sono i padroni del mondo come non lo sono i grandi gruppi finanziari e industriali del Globo. Trump è andato al potere perché una gran parte del popolo americano sta soffrendo un impoverimento che non è compatibile con il peso e il potere che lo Stato americano pensava di avere nel mondo. E’ sufficiente l’avvento inopinato di un guastafeste come Trump per dimostrare che nulla a questo mondo è destinato a durare. Nemmeno l’oppressione del Globalismo senza volto e senza nome e nemmeno i sogni da Unica Superpotenza mondiale di uno Stato pur immenso come gli USA.





febbraio 2017
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO