La riforma della Curia?
Una Curia parallela

di Marco Tosatti







Lo stile di governo del Pontefice regnante è, a dir poco, personale. Però in quello che può apparire a prima vista un disinteresse marcato per le regole, le procedure e la “macchina” del sistema si può intravedere una strategia. Elaborata forse non dal Pontefice stesso, ma da qualche consigliere e regista, che propendiamo a credere abbia un’esperienza e di Curia e di diplomazia.

D’altronde non è un mistero che, a differenza del suo predecessore, papa Bergoglio ha un debole per i diplomatici in talare, la vera casta della Santa Sede. E al contrario non sembra avere lo stesso amore per i protagonisti, grandi e piccoli, della macchina centrale. Un residuo di amaro per quando era arcivescovo di Buenos Aires, e Roma gli bocciava alcune promozioni, come quella del rettore della Cattolica della capitale argentina? Forse. 



Comunque il Papa che più volte ha affermato di seguire i consigli e i suggerimenti emersi dalle sessioni cardinalizie del pre-conclave, in almeno due punti le ha disattese. Una delle richieste presentate da più voci era una riforma della Segreteria di Stato, giudicata troppo potente. Non è avvenuto, anzi, come vediamo nel caso dell’Ordine di Malta, il potere è aumentato. Il delegato papale è il no. 2 della gerarchia, il Sostituto Angelo Becciu. Il secondo punto-suggerimento-richiesta, anch’esso completamente disatteso, era il ripristino delle “udienze di cartello”. Cioè l’appuntamento col Papa dei responsabili delle Congregazioni, per tenerlo informato e avere indicazioni; e uno scambio di idee. Sappiamo di Prefetti che non vengono ricevuti mai o quasi, e di altri, anche importanti, che devono aspettare mesi per l’udienza. Già questa è una circostanza, e un sistema, che crea disagio, come è facilmente comprensibile.

Un’osservazione della strategia usata per gestire la Curia ci porta a fare qualche considerazione.

In alcuni punti, che evidentemente egli stesso o chi l’ha guidato considera gangli vitali, c’è stata una sostituzione brutale e immediata. E’ stato il caso della Congregazione per il Clero, dove al card. Piacenza, mandato alla Penitenzieria, è succeduto il diplomatico, e uomo di fiducia del Pontefice, l’attuale cardinale Beniamino Stella. E alla Segnatura Apostolica, la Suprema Corte del Vaticano, centrale perché cause e ricorsi giungono tutti in quel porto. Il canonista ed esperto di legge Burke è stato sostituito da un altro diplomatico, mons. Mamberti. Il caso recente delle Francescane dell’Immacolata, ri-commissariate con decreto pontificio inappellabile proprio perché il loro ricorso contro il commissariamento aveva probabilità di successo in Segnatura spiega quanto sia considerato importante quel tribunale.

Il Papa è Re, però neanche lui può tutto, sempre, nello stesso momento. Ci sono teste che cadendo farebbero troppo rumore. In quel caso bisogna trovare nuove strategie, che tendono comunque tutte a depotenziare il vertice, e a indebolire l’unitarietà di indirizzo e di tensione della Congregazione dall’interno. Che, comunque, è un obiettivo praticato anche in quelle, come il Clero, conquistate subito. Il cardinale Mauro Piacenza, un ratzingeriano dichiarato, viene mandato a dirigere la Penitenzieria. Il segretario, lo spagnolo Celso Morga Iruzubieta, un'esperienza di decenni alla Congregazione, vicino all’Opus Dei, dopo tre mesi (necessari a trovare una diocesi libera in Spagna) viene inviato a Merida-Badajoz. Silenziosamente, ma in numero notevole, ufficiali e impiegati vengono dimessi o spinti a rinunciare, “volontariamente”.

Insieme alla Congregazione per il Clero, ganglio centrale, che si occupa anche dei seminari, un altro punto nodale dell’amministrazione e della politica del Pontefice è la Congregazione per i Vescovi. Il prefetto è il cardinale Marc Ouellet, un uomo indipendente e dalle idee chiare. Il Papa – lo si vede dalle nomine – desidera che siano scelti vescovi progressisti. I casi contrari sono numerabili sulle dita di una mano. Quando mi stupivo chiacchierando con un esperto della nomina in Asia di un presule di stile ecclesiale diverso, mi è stato risposto che probabilmente non c’era proprio nessun altro. 



Il problema è stato risolto in maniera duplice. Primo: i membri della Plenaria giudicati conservatori sono stati rimpiazzati da fedeli della linea vincente (come il cardinale Baldisseri, Segretario del Sinodo). Secondo: mons. Jesus Montanari, l’amico del cuore del segretario personale del Pontefice, mons. Pedacchio (che comunque lavora alla Congregazione per i vescovi, e che è stato per anni l’orecchio e gli occhi del cardinale Bergoglio a Roma) è stato elevato con un balzo straordinario da un ruolo umile nella Congregazione a quello di Segretario. Il lavoro è completato con la sostituzione dei membri della Congregazione, in cui vengono immessi, in sostituzione dei filo-ratzingeriani, personaggi del nuovo corso, come Stella e Baldisseri. 



Così se in assemblea plenaria il candidato voluto non riesce a passare, nonostante gli sforzi, si può stare certi (è accaduto in più di un’occasione) che il giorno seguente il segretario arrivi dicendo: il Papa ha scelto questo. E la causa è chiusa, anche se magari il numero uno della terna era davvero buono, nell’opinione di tutti, nunzio compreso, e quello prescelto invece no. E’ evidente che il ruolo del Prefetto è ridotto sostanzialmente a un guscio formale.

Al Culto Divino il Pontefice ha posto come prefetto è il card. Sarah, ratzingeriano. Una mossa obbligata, dicono, dal fatto che non c’era nessun altro posto disponibile, dopo la scomparsa di Cor Unum assorbito in un nuovo organismo dopo la riforma. Sarah prende il posto di Antonio Canizares, legato alla tradizione, subito rimandato in Spagna, soprannominato il “piccolo Ratzinger”. Il cardinale guineano Sarah è favorevole alla “Riforma della riforma”, cioè a un ritorno ad alcune delle modalità liturgiche trascurate dalle innovazioni post-conciliari. Non è qualcosa che il Pontefice sembra vedere con particolare favore. Come svuotare il suo ruolo? Una sua dichiarazione in favore della riforma della riforma viene smentita ufficialmente (anche se Sarah dirà: ma il Papa mi aveva dato l’assenso…). 



All’interno però il gioco è reso facile (secondo un modello collaudato) dal fatto che dal 2012 è segretario della Congregazione l’arcivescovo Arthur Roche, sicuramente non tradizionalista, molto vicino al cardinale britannico Murphy O’Connor, uno dei grandi consiglieri discreti e ispiratori del Pontefice. E infatti a lui viene affidato, come Presidente, e non al card. Sarah, come forse sarebbe stato ipotizzabile, il compito di presiedere una commissione per rivedere le traduzioni della liturgia, modificando l’Istruzione  Liturgiam authenticam (De usu linguarum popularium in libris liturgiae Romanae edendis) del 2001. Sarah – a quanto mi dicono – era completamente all’oscuro di questa decisione…

L’altro grande nodo è costituito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. La situazione qui è più complessa. Credo che il Pontefice abbia pensato seriamente di liberarsi di Müller in passato, ma si sia reso conto che una decapitazione del genere, e senza potergli affidare un posto adeguato avrebbe creato un grande scandalo.  Il quinquennio di Müller scadrà nel luglio prossimo. Sarà confermato? Comunque, si pone il problema di come limitare il suo ruolo.  Allora, oltre a non fare mai riferimento a lui quando parla di teologia, preferendo Kasper e Schönborn, si sta attuando la stessa politica usata con i Vescovi e il Culto. E cioè lo svuotamento dell’interno dell’apparato legato al Prefetto. In questo senso si devono leggere sia i licenziamenti di teologi e ufficiali, senza un motivo, e la nomina di un nuovo sottosegretario, molto vicino al Prefetto del Clero, mons. Giacomo Morandi. Mons. Morandi è molto legato al Prefetto del Clero, il cardinale Beniamino Stella, che per alcuni è il vero master mind della conquista pontificia della Curia. Nel frattempo la Congregazione è praticamente in stallo, c’è carenza di personale, e la scelta dei nuovi assunti non passa per i vertici della Congregazione stessa. Nel caso dell’Amoris Laetitia le centinaia di osservazioni puntuali fatte al testo sono state ignorate. Senza una risposta. Anche qui si assiste al modello di svuotamento dall’interno, lasciando intatto il guscio.

E’ la stessa strategia utilizzata per la Conferenza Episcopale italiana. Dal momento che il presidente, il card. Bagnasco, aveva chiaramente espresso il suo desiderio di restare in carica fino alla fine del mandato, e di non farsi cortesemente da parte, il Pontefice ha nominato mons. Galantino, usandolo come referente e “investendolo” di pieni poteri, in particolare di gestire i mezzi di comunicazione dei vescovi, TV2000 e Avvenire. Le nomine dei vescovi italiani non sono più decise tramite il nunzio in Italia, l’arcivescovo Bernardini, nunzio in Argentina dal 2003 al 2011, che si dice non amato da Bergoglio. I nuovi vescovi vengono decisi da quella che potremmo chiamare una “commissione ombra” che fa capo al Segretario della Cei, che riferisce al Pontefice.

Per altri punti, di minore importanza, il lavoro è stato più facile e diretto. Così alla Pontificia Accademia per la Vita Ignacio Carrasco de Paula vescovo spagnolo, appartenente alla Prelatura dell'Opus Dei il 15 agosto 2016 è stato sostituito dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, già vescovo a Terni, dove la diocesi ha avuto un disastro finanziario. Paglia, legato da sempre alla Comunità di Sant’Egidio, è stato nominato presidente dell’Accademia, e Gran Cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II. Nello stesso tempo mons. Livio Melina di CL, è stato sostituito dal teologo, scrittore e musicista Pierangelo Sequeri come preside, certamente di una sensibilità molto diversa da quella del predecessore. Al momento attuale l’Accademia non ha membri: tutti quelli che vi appartenevano sono stati cancellati. Comprese personalità di grande livello ed esperienza, legate alle linee guida ispirate da Giovanni Paolo II…






febbraio 2017
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