Un Papa dell’ermeneutica della rottura

di Gederson Falcometa




È ormai chiaro che Francesco è un papa dell’ermeneutica della rottura. Le voci che sostenevano a difesa che il problema ermeneutico fosse l’unico o il principale nel postconcilio, adesso sono in silenzio. In effetti, non c’è più niente da dire quando una diagnosi si dimostra falsa attraverso i fatti.
Però, se costoro non hanno più niente da dire, noi abbiamo molto da riflettere su una diagnosi portata avanti da 50 anni [1] ed è ciò che faremo in questo articolo.

Nel tempo del dibattito sul problema ermeneutico del postconcilio la questione principale per me era la libertà che godeva questa ermeneutica detta della rottura; ed evidentemente nel parlare di questa libertà parlo del fatto che ne hanno goduto i suoi rappresentanti all’interno della Chiesa.
Questo per me era una ferita nell’unità dell’insegnamento della Chiesa, perché semplicemente non possono esistere due ermeneutiche per uno stesso Concilio Ecumenico.
Quando si parla di “eretico” la prima cosa che viene in mente è qualcuno che insegna una cosa che mai ha insegnato lo Spirito Santo, mentre si attribuisce a Lui un tale insegnamento. Ora, visto che è lo Spirito Santo a parlare nei Concili Ecumenici, desta stupore constatare che possa praticarsi una “un’ermeneutica della rottura”, dire ciò che non ha detto il Concilio, e rimanere ad insegnare nella Chiesa come se questo non costituisse alcun crimine. Mai è stata osservata una cosa così nei primi 20 Concili Ecumenici della Chiesa.

La questione della libertà degli ermeneuti della rottura porta alla considerazione del peccato che commette la persona che pratica questa ermeneutica. Di questo i Papi che hanno fatto la diagnosi ed anche quelli che l’hanno difesa, non hanno parlato. Tale che sarebbe qualcosa di normale, quasi fosse un peccato veniale, travisare ciò che insegna un Concilio Ecumenico. Forse è per questo che in 50 anni non si è fatto il nome di nessuno dei suoi rappresentanti; nonostante questo sarebbe di grande utilità per i fedeli della Chiesa, perché una volta che le pecore sapessero che un pastore è invece un lupo, non l’ascolterebbero.
Ma in tutto questo tempo, ufficialmente non s’è fatto alcun nome. La cosa peggiore che constatiamo è che avendo noi oggi un Papa dell’ermeneutica della rottura, solo adesso ci rendiamo chiaramente conto che i rappresentanti di tale ermeneutica sono diventati vescovi, cardinali e oggi Papa.

Dal che si comprende che quando si è parlato di ermeneutica della rottura, si è trattato solo di un espediente linguistico atto ad ammorbidire il crimine dei protagonisti per mantenergli nella Chiesa. In effetti, se il problema della Chiesa nel post-concilio fosse stato solo ermeneutico, sarebbe immaginabile, ad esempio, un San Pio X che consacra  vescovi e crea cardinali modernisti? Sebbene in questo caso è immaginabile, in questi 50 anni è quello che è avvenuto!

La conclusione che ne deriva è che il concilio Vaticano II e i Papi conciliari hanno collocato la libertà al posto della fede, come fosse un bene comune nella Chiesa. E questo spiega perché costoro, pur non avendo la stessa fede, hanno la stessa libertà. Cosa che si è resa molto visibile nell’ultimo Sinodo. Nella prima fase del Sinodo i capi della moderna posizione erano i vari cardinali Kasper alla sinistra, e alla “destra” del Papa, con gli avversari come Burke alla destra. Costoro non avevano e non hanno la stessa fede, ma avevano la stessa libertà… almeno fino a quando Papa Francesco decise di lasciare la destra conciliare senza capo, nella seconda fase del Sinodo, impedendo la partecipazione del cardinale Burke nominandolo Patrono dell’Ordine di Malta.
Ecco allora che il cardinale Kasper, esponente dell’ermeneuta della rottura, nemico teologico del Papa Benedetto XVI che ha difeso l’ermeneutica della riforma nella continuità contro quella della rottura, diventa il principale teologo del nuovo Papa [2] e il responsabile principale alla guida delle discussioni nel Sinodo.
In un primo momento è sembrato che nel Sinodo Papa Francesco propendesse per l’ermeneutica della riforma nella continuità, ma dopo il Sinodo si è visto che con l’Amoris Laetitiae ha fatto trionfare l’ermeneutica della rottura.

Adesso che l’elezione di un papa dell’ermeneutica della rottura, fatta dal Collegio dei Cardinali, è un fatto, si pensava che i difensori dell’ermeneutica della riforma nella continuità dovessero rompere il silenzio, per tentare di spiegare come mai prima l’unico o principale problema della Chiesa fosse quello ermeneutico, mentre adesso è diventato quello di un papa che pratica e promuove l’ermeneutica della rottura seduto sulla Cattedra di Pietro.

Il cambiamento è talmente evidente che adesso la discussione fra loro si svolge intorno alla continuità tra il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI da un lato, e il magistero della rottura di Francesco dall’altro. Un buon punto per cominciare [3] sarebbe spiegare come oggi il Papa possa promuovere la teologia del cardinale Kasper, che sarebbe una teologia in ginocchio, senza nemmeno considerare che il personaggio è l'antagonista storico del suo predecessore Benedetto XVI.

NOTE

1 - Raccomando la lettura dell’articolo di Don Curzio Nitoglia:
Paolo VI, Giovanni Paolo II e l’ermeneutica della continuità
2 - Bergoglio ha promosso la teologia del cardinale Kasper come fosse una “teologia in ginocchio”, ma questa teologia non è quella dell’ermeneutica della rottura? Una cosa è certa, Kasper è l’antagonista storico di Ratzinger in alcune questioni di fede. Qui raccomando la lettura dall’articolo:
Kasper contro Ratzinger, la disputa che non finisce mai, di Sandro Magister.
3 - Ci sarebbero tantissime cose da commentare sul pontificato di Papa Francesco, sull’ermeneutica della riforma nella continuità e su quella della rottura. Una delle ultime è l’annunciata riforma della liturgia che avrebbe come fine quello di far diventare realtà l’intercomunione con i luterani. E’ evidente che la “riforma della riforma” finalizzata a fare una sintesi tra il Rito di S. Pio V e quello di Paolo VI, è stata abbandonata. Sarà che anche Francesco è un’antagonista di Benedetto XVI? Lascio la questione aperta, ma certamente Francesco è un antagonista di Giovanni Paolo II, il Papa che lui ha canonizzato, ma di cui ha abbandonato gli insegnamenti.




febbraio 2017
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