Cronistoria di un massacro

di Léon Bertoletti


Pubblicato su Riscossa Cristiana





Dunque è così. Perso nel tempo ogni riguardo per l’Autorità, per lo Ius divino, per la Regola, per la “Salus animarum”, abolita implicitamente ogni “Grundnorm”, ora si è smarrito anche il rispetto per il testo sacro. Lo si dileggia, sminuisce, aggiorna, emenda, stravolge. Gli si fa dire quello che piace, quello che conviene.
A Messa, dopo la proclamazione del Vangelo, si arriverà forse a proclamare “Parola del Signore (ma non c’era il registratore)” con la conseguente modifica del Lezionario e dell’Evangeliario. Magari qualche prete creativo l’ha già fatto e a noi la notizia sfugge. Al punto in cui siamo, del resto, l’impossibile è possibile.
S’ignora o si vuole ignorare che gli scritti evangelici si attengono strettamente – sì, strettamente – alla predicazione e ai gesti del Maestro, pur non essendo libri di storia né biografie e neppure verbali stenografici o libri dottrinari sistematici. Avevano utilità pratica, fatto che spiega lacune e discrepanze.
Il campanile del pensiero cattolico conservava, una volta, due campane: quella che rintoccava per Tomaso (e Aristotele), quella che suonava per Agostino (e Platone). Devono averle sostituite con una che intona Derrida (e il Decostruzionismo: dove il segno, orale o scritto, non significa mai la cosa ma rinvia a un altro segno che rinvia a un altro segno che rinvia a un altro segno… processo interminabile) e l’altra il pensiero debole (Vattimo) divenuto nel frattempo debolissimo.

Secondo il Catechismo vigente, il Nuovo Testamento consegna la verità definitiva della Rivelazione divina. Ma la cronistoria del massacro evangelico porta altrove e lontano.
Il tour può cominciare dagli anni Venti del secolo scorso e dall’università di Marburgo, in Germania. È allora, è lì che un docente protestante con i baffi e i capelli radi, un teologo in camicia bianca e cravatta scura avvia l’opera di demolizione. Si chiama Rudolf Bultmann, il professore. Batte sui Vangeli – lo sostiene un suo allievo famoso, Käsemann – come un martello. Smonta, scardina, scassa le parole, i racconti, le certezze dogmatiche, la figura del Gesù storico. La sua corrente, la sua scuola prende il nome di “Formgeschichte”: indicando quindi la storia delle “forme”, le unità microletterarie che tessono i Vangeli, alienata dalla storia della “formazione” di quei testi, creati – secondo Bultmann – da compilatori di miti popolari e in un contesto fertile di immaginazione e leggende.
Il 30 settembre 1943, Pio XII pubblica l’enciclica “Divino afflante Spiritu”, testo fondamentale e meritorio realizzato con l’aiuto del padre gesuita Agostino Bea, rettore dell’Istituto Biblico di Roma e poi cardinale. Il documento apre anche al biblista cattolico le strade delle scienze (linguistica, archeologia, critica letteraria e testuale) orientando a lungo la fase nuova della ricerca biblica. Ammette i “generi letterari”, per far emergere il senso autentico dalle parole. Indica come orizzonte esegetico, come principio ermeneutico in grado di tenere la Parola divina, eterna, normativa, al passo con l’incarnazione storica in ogni tempo, la santa “paradosis”: la Tradizione nutrita dallo Spirito presente nella Chiesa.

Altra tappa: novembre 1962. Durante la prima sessione del Vaticano II, i padri conciliari bocciano clamorosamente lo schema “De fontibus Revelationis” preparato da una commissione presieduta dal cardinale Alfredo Ottaviani.
Nel 1964, la Pontificia Commissione Biblica fa uscire il documento “Sancta Mater Ecclesia” che strizza l’occhio, per così dire, ai tedeschi, scrutandone le idee. Dichiara che i Vangeli sono come una formazione geologica a tre strati: sopra c’è quello redazionale dei singoli evangelisti; sotto, quello della predicazione orale apostolica; ancora più sotto, quello del Gesù storico. Ne risulta che non siamo in presenza di annali, copie servili, registrazioni, verbali giudiziari, trattati teologici o catechetici ma di memoriali storico-teologici, insomma di interpretazioni “pasquali” degli ammaestramenti, delle azioni, della storia di Gesù.
In questo clima, il 16 novembre 1965, viene approvata dal Concilio la Costituzione “Dei Verbum” che puntualizza il rapporto Scrittura-Tradizione, sostituisce il concetto di “verità” a quello di “inerranza” (la Bibbia non può sbagliare), attizza l’ispirazione e la ricerca passionale e libera nei campi dell’esegesi, della teologia biblica, della critica storica e letteraria. “Raffinata architettura teologica” la definisce Karl Rahner. Mentre il teologo René Latourelle annota: “Dopo aver incontrato molte resistenze e subìto parecchie tempeste, essere sfuggito addirittura al naufragio, e dopo una storia redazionale particolarmente tormentata (cinque schemi) questo testo, uno dei più brevi dei sedici documenti del Concilio, è tuttavia uno dei più importanti, insieme alla ‘Lumen gentium’. Si può addirittura affermare che, nella sistematizzazione conciliare, esso svolga una funzione ermeneutica fondamentale che ne fa il documento base”.
Da allora, proprio l’ermeneutica ha guadagnato un ruolo preponderante tra le discipline della ricerca metodologica biblica, lo “statuto epistemologico” ha cercato le attualizzazioni del messaggio evangelico, ci sono state avventurose letture psicanalitiche e socio-politiche, applicazioni strutturaliste (Roland Barthes e Starobinski), esegesi filologiche, nuove traduzioni “in lingua corrente” e addirittura in latino (la revisione della Vulgata di San Gerolamo voluta dal Concilio e promulgata da Giovanni Paolo II il 25 aprile 1979).

La “Formgeschichte” è stata superata con la “Redaktiongeschichte”, per studiare in che modo Matteo, Marco, Luca, Giovanni o altri al posto loro hanno sfruttato il materiale originario, elaborato le voci, riportato le informazioni ricevute. E tutto questo per cosa? Perché ognuno possa vedere, considerare, leggere nei Vangeli quello che gli pare, interpretarli a suo capriccio, insinuare che dicono balle?

Gran risultato, indubbiamente.



febbraio 2017
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