Verso il matrimonio dei sacerdoti?  



di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Pubblicato sul sito della Fraternità in Francia: La Porte Latine




Un nuovo dibattito in vista?


1. In un’intervista concessa recentemente al giornale tedesco Die Zeit (1), Papa Francesco ha dichiarato che, per rimediare alla mancanza di sacerdoti, non sarebbe impossibile ordinare al sacerdozio, nella Chiesa cattolica latina, degli uomini sposati, a condizione che si tratti di «viri probati» e cioè di uomini in età matura che hanno dato  buona prova nella vita cristiana. In questa eventualità, resterebbe da determinare quali sarebbero esattamente le funzioni assegnate a questa categoria di sacerdoti. Ma, in ogni caso, la Chiesa non rivedrebbe la legge sul celibato e quindi non lascerebbe ai seminaristi la libertà di sposarsi.

2. Si avrebbe in prospettiva una nuova breccia nella morale della Chiesa cattolica?
In effetti, nel giornale Le Figaro, Jean-Marie Guénois sottotitola: «La Chiesa potrebbe evolversi sul celibato sacerdotale».
Per vederci chiaro, sono necessarie alcune precisazioni.

Alcune distinzioni

3. Il celibato non è la continenza. E questa non è neanche la castità assoluta. Il celibato è la condizione di una persona che non è impegnata nei legami del matrimonio. Questa condizione può corrispondere, non solo ad uno stato di fatto, ma anche ad uno stato di vita, liberamente scelto, in cui si rinuncia al matrimonio, abbracciando dunque la castità assoluta e cioè l’astinenza totale e definitiva da ogni rapporto sessuale. Questa scelta è legittima se è compiuta in vista di un motivo superiore a quello del matrimonio, come la consacrazione religiosa o sacerdotale. Proprio perché giustamente questo stato di vita del celibato supera in eccellenza lo stato matrimoniale, come ricorda Pio XII:

«Questa dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio è stata solennemente definita, come un dogma di fede, al Concilio di Trento, e i Padri e i Dottori della Chiesa sono sempre stati unanimi nell’insegnarla. I nostri predecessori e Noi stessi, ogni volta che se ne è presentata l’occasione, non abbiamo smesso di esporla e di raccomandarla vivamente.» (2).

4. La continenza è il fatto di astenersi dall’usare il matrimonio. Questa astinenza è temporanea per quelli che non sono ancora sposati e pensano di esserlo; e può esserla anche per quelli che sono già sposati. Essa è definitiva ed assoluta per quelli che non contemplano il matrimonio e in particolare perché questi scelgono lo stato di vita del celibato consacrato.

5. Infine, ultima precisazione, vi è differenza tra la Tradizione e le leggi della Chiesa. La legge del celibato ecclesiastico è comparsa molto presto nella Chiesa latina, probabilmente all’epoca degli Apostoli: gli studi classici del cardinale Stickler (Il celibato ecclesiastico, Libreria Editrice Vaticana, 1994) e del Padre gesuita Christian Cochini (Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Lethielleux, 1981), lo hanno stabilito a sufficienza.
Il principio del celibato dei sacerdoti è stato formulato nei testi legislativi verso l’inizio del IV secolo (3), dal Concilio di Elvira, ma questo non significa che l’uso non avesse prevalso prima, e infatti, il Papa San Siricio nel 386 e il Concilio di Cartagine nel 390 si riferiscono ad una tradizione risalente fino agli Apostoli (4). A partire da allora, la Chiesa è sempre rimasta ferma nel suo insegnamento. Questo significa che il celibato sacerdotale non è solo oggetto di una legge e di una disciplina ecclesiastica, che sarebbero riformabili secondo la semplice volontà di un papa. La pratica del celibato sacerdotale rappresenta soprattutto una tradizione apostolica irreversibile, tradizione che attesta un dogma di fede divina: il dogma della superiorità dello stato del celibato consacrato sullo stato del matrimonio. Uno po’ come la disciplina del battesimo dei bambini non è solo una disciplina, ma rappresenta anche una tradizione che attesta il dogma del peccato originale.

6. La legge particolare della Chiesa d’Oriente è tardiva, poiché risale solo alla fine del VII secolo, col canone 13 del Concilio di Trullo (o Quinisesto) del 691. Questo canone autorizzava i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, che fossero già sposati prima della loro ordinazione, a mantenere le loro spose e ad usare del matrimonio, tranne durante il tempo in cui assicuravano il servizio all’altare. Il canone 26, vietava al celibe di sposarsi dopo essere stato ordinato sacerdote. Il canone 48 prevedeva che un vescovo già sposato prima della sua consacrazione, avrebbe dovuto separarsi dalla sua sposa e non usare più del matrimonio.
Come ha dimostrato il cardinale Stickler (5), prima del VII secolo la Chiesa d’Oriente manteneva in linea di principio, al pari della Chiesa latina, la legge del celibato sacerdotale, ereditato dagli Apostoli. La nuova legislazione sopraggiunta successivamente rappresenta una regressione. E comunque essa non arriva ad autorizzare il sacerdote a sposarsi; accorda solo la possibilità che si possa ordinare sacerdote un uomo già sposato, obbligandolo solo ad una continenza temporanea. Se, nella sua prudenza, Roma autorizza le Chiese locali d’Oriente a conservare il loro uso proprio, essa incoraggia anche quelle Chiese che desiderano ritornare alla pratica latina del celibato e della completa continenza (6).

7. L’autentico spirito della Chiesa, dunque, vuole che i sacerdoti rinuncino allo stato matrimoniale e all’uso del matrimonio. La legge del celibato sacerdotale è al tempo stesso una legge di castità assoluta. Questa esigenza si spiega in ragione della superiorità dello stato di vita del sacerdote e del carattere sacro delle sue funzioni. L’uso particolare delle Chiesa locali d’Oriente rappresenta una distorsione storica, contraria a questo spirito della Chiesa, che Roma è stata obbligata ad ammettere, ma alla quale non si è mai del tutto rassegnata.

Degli uomini provati?

8. A cosa può mirare dunque il progetto di Francesco? Ad una pura e semplice regressione, contraria allo spirito della Chiesa. L’eccellenza del sacerdozio reclama uno stato di vita proporzionato, secondo l’esempio di Cristo e degli Apostoli. Con il suo celibato e la sua castità assoluta, il sacerdote è un esempio e un segno. Esempio della rinuncia e della virtù perfetta alle quali devono tendere i fedeli. Segno dell’eccellenza della vita dello spirito, che è la vita stessa di Dio, sulla vita terrena e semplicemente corporale. Segno anche dell’eccellenza della contemplazione delle realtà eterne, in rapporto alle concupiscenze della carne e alla vita agitata di quaggiù.
Questa eccellenza è tale che la penuria di sacerdoti non potrebbe diventare un pretesto per metterla in discussione. La Chiesa ha sempre preferito la qualità alla quantità. E il mezzo migliore per ottenere più vocazioni non è quello di ricorrere alla preghiera e alla penitenza per meritare intanto dei santi sacerdoti e poi molti santi sacerdoti?
Sono questi i mezzi proporzionati, poiché sono di ordine soprannaturale, come la vocazione che essi ci meritano.

9. Peggio ancora, il progetto di Francesco apre la via ad un’evoluzione che probabilmente non si fermerà a metà strada. Dopo aver ammesso per principio e diffuso nella pratica l’ordinazione degli uomini sposati, sarà ben difficile fermarsi davanti al matrimonio dei sacerdoti. E certo non mancheranno dei dotti che spiegheranno al buon popolo di Dio il carattere ineluttabilmente positivo dell’evoluzione: dopo tutto, che il matrimonio abbia luogo prima o dopo l’ordinazione non cambia granché. L’essenziale è aver ammesso la compatibilità tra le due cose.

10. Questo genere di manovra, se funzionerà, ha avuto il suo primo banco di prova con l’Amoris laetitia. Mentre riafferma il principio dell’indissolubilità del matrimonio, in essa il Papa autorizza di fatto una pratica contraria a questo principio, ammettendo che le coppie di concubini o divorziati risposati beneficino nella Chiesa dello stesso trattamento pastorale delle coppie sposate legittimamente. Del pari, mentre si riafferma la legge del celibato, sarà possibile, nella pratica, agire alla rovescia di questa legge e cioè ordinare sacerdoti degli uomini sposati, per poi arrivare a far sposare i sacerdoti. E attenzione, questo «in certi casi», in ragione della mancanza di sacerdoti.
Non siamo di fronte a quello che si deve designare, in termini proprii, come «morale di situazione»?

NOTE

1 – Intervista pubblicata nel giornale Die Zeit di giovedì 9 marzo 2017, la cui sostanza è stata ripresa da Le Figaro e da La Croix. [Intervista condotta a fine febbraio e pubblicata il 9 marzo 2017, di di cui ha dato un resoconto Avvenire.
2 – Pio XII, Discorso del 15 settembre 1952 ai Superiori Generali delle Congregazioni di Diritto Pontificio, in Acta apostolicae sedis, 1952, n. 16, p. 823, citato da Léon Cristiani, in L’Ami du clergé, n. 49 del 3 dicembre 1959, p. 739.
3 – E non nell’XI secolo, come scrive Jean-Marie Guénois in Le Figaro. Ciò che viene riproposto nel XII secolo, in occasione del Concilio del Laterano del 1139, sono solo gli anatemi contro i sacerdoti che non rispettavano il loro celibato.
4 – Cfr. la Lettera pasquale di Sua Eccellenza Mons. Luigi Carli, vescovo di Segni, del 12 marzo 1970, p. 19.
5 – Cfr. il cap. III: «La pratica della Chiesa d’Oriente», nel libro già citato. L’autore prova (p. 74 e ss.) che quest’uso particolare non ha potuto vantare alcuna tradizione ecclesiastica anteriore, se non falsificando i testi.
6 – Il cardinale Stickler sottolinea: «Fino ad oggi, il riconoscimento di questa diversa disciplina è stata oggetto, da parte delle autorità romane, di una considerazione benevola, la quale tuttavia non può essere minimamente considerata come un’approvazione ufficiale della modifica apportata all’antica disciplina della continenza» (p. 82 - dell'edizione francese).





marzo 2017
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