Roma e i matrimoni della Fraternità: trucchi e inganni

di Christian Lassale
Pubblicato su Medias Presse Info








Questo 4 aprile è stata reso pubblica la lettera della Commissione Ecclesia Dei agli Ordinari delle Conferenze Episcopali, relativa al matrimonio dei fedeli della Fraternità San Pio X. Questa lettera, essendo stata approvata dal Sommo Pontefice che ne ha ordinato la pubblicazione, riveste un’autorità tutta particolare.

Essa prevede che:
«Nella misura del possibile, la delega dell’Ordinario per assistere al matrimonio [dei fedeli della FSSPX] sarà data ad un sacerdote della diocesi (o quanto meno ad un sacerdote pienamente regolare) perché egli riceva il consenso delle parti nel rito del Sacramento che, nella liturgia del Vetus Ordo, ha luogo all’inizio della Santa Messa; seguirà quindi la celebrazione della Santa Messa votiva da parte di un sacerdote della Fraternità

Essa dispone anche:
«In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti, l’Ordinario può concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità che celebrerà anche la Santa Messa, ricordandogli che ha il dovere di far pervenire al più presto alla Curia diocesana la documentazione che attesti la celebrazione del Sacramento.»

Il doppio contesto

Valutare la portata di questo documento esige prima di tutto di collocarlo in un doppio contesto. In senso lato, la Commissione Ecclesia Dei colloca la sua decisione nel quadro di «diversi tipi di incontri e di iniziative sono in corso da lungo tempo per ricondurre la Fraternità Sacerdotale San Pio X nella piena comunione
Agli occhi del grande pubblico, quindi, essa appare come una nuova maggior concessione di Roma nei confronti della FSSPX, che dovrebbe solo gioirne. Cosa che peraltro è quello che sembra fare la Casa Generalizia della Fraternità, quando nel suo comunicato stampa dello stesso giorno «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, come espressa attraverso la lettera della Commissione Ecclesia Dei».

E’ veramente così? E’ necessario attenersi alla realtà dei fatti.
Da molto tempo, e sempre più negli ultimi tempi, vi sono stati dei parroci che hanno delegato i sacerdoti della Fraternità a ricevere i consensi degli sposi nella loro chiesa. L’uno o l’altro di questi matrimoni è arrivato fino a Roma, che ne ha dichiarato la nullità, col pretesto del difetto di ministro: i sacerdoti della Fraternità, non essendo riconosciuti da Roma, sono ritenuti inadatti a ricevere la delega. Ed è questo preciso punto che la presente decisione, che si potrebbe chiamare pontifica, ha modificato. Pur negando al parroco il diritto di delegare un sacerdote della Fraternità per un matrimonio – nel qual caso per la Roma modernista il matrimonio sarebbe nullo – essa permette al vescovo del luogo di concedere tale delega, ma solo ed esclusivamente « In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».

La vera portata del testo romano

Ciò posto, siamo in condizione di valutare la vera portata del testo romano, le sue zone di ambiguità e di chiarezza, al pari della sua mancanza di novità canonica.

Ambigue, le condizioni sine qua non poste da Roma, lo sono a più non posso. Qual è la natura dell’impossibilità qui richiamata? Bisogna pensare ad un blocco psicologico dei preti diocesani che rifiutano un tale “compromesso”, o a quello che proverebbero i fedeli della Fraternità all’idea di essere sposati da un prete non tradizionale? Oppure bisogna invece pensare ad una impossibilità oggettiva?
Niente è detto su questo e rimane la più grande indeterminatezza. La quale peraltro non fa che aumentare con la seguente precisazione: « se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ». Bisogna forse attendere che una diocesi manchi a tal punto di preti da non poterne assicurare la presenza ad ogni scambio di consensi?

Comunque sia di queste ambiguità, una cosa è molto chiara nella decisione romana: ogni scambio di consensi ricevuto da un sacerdote della Fraternità senza la delega esplicita dell’Ordinario e alle suddette condizioni, agli occhi della Roma odierna resta invalido.
Papa Francesco, al pari dei suoi immediati predecessori, rifiuta di tenere conto dello stato di necessità esistente nella Chiesa: tutto andrebbe per il meglio e nel migliore dei modi, tanto più che ormai sembra essere accordata ai fedeli della Fraternità una nuova soluzione!

Ma si tratta veramente di una soluzione nuova?
La semplice lettura del Diritto Canonico, quello del 1917 (canone 1098) come quello del 1983 (canone 1116), dimostra che non è così. Da più di un secolo, il diritto della Chiesa prevede infatti che, nell’impossibilità di ricorrere ad un ministro ordinario del matrimonio (il sacerdote diocesano), i futuri sposi possono scambiarsi il loro consenso davanti ai soli testimoni laici, posto che tale impossibilità duri trenta giorni;essi devono tuttavia ricorrere, ove possibile, per la liceità dell’atto, a qualunque sacerdote o diacono, anche se questi non possiede la giurisdizione delegata. Nella logica della Roma moderna, anche un sacerdote della Fraternità.
Ora, dal momento che la Commissione Ecclesia Dei non ha precisato che cosa intenda per «impossibilità», non v’è alcunché di nuovo sotto il sole romano. Noi ci troviamo di fronte ad un non avvenimento, se non mediatico, a cui è data immensa portata tanto dalle Commissione Ecclesia Dei quanto dalla Casa Generalizia della Fraternità, nel suo comunicato.

Quando la Casa Generalizia dubita della Fraternità San Pio X

Posta così l’analisi del documento romano, si può solo rimanere estremamente sorpresi di fronte al comunicato che la Casa Generalizia della Fraternità ha emesso sulla scia di questo intervento romano. Nelle sue poche righe vi è un concentrato di errori, tanto tattici quanto di principio.

Mentre il documento romano continua ad affermare l’invalidità dei consensi matrimoniali posti davanti ai sacerdoti della Fraternità, che non hanno una delega esplicita del vescovo diocesano, il comunicato conserva un silenzio clamoroso su ciò che è il suo diritto e il suo dovere in materia, dato lo stato di necessità sempre più patente per un cattolico desideroso di conservare la fede cattolica. Avrebbe dovuto essere difesa più che mai la validità assolutamente certa dei matrimoni celebrati nei Priorati o nelle chiese della Fraternità. Lungi dal farlo, questo comunicato, quando «ringrazia profondamente il Santo Padre per la sua sollecitudine pastorale, … allo scopo di rimuovere “i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio”», sembra far suoi i dubbi romani sulla validità dei nostri matrimoni come vengono celebrati attualmente.

Deviando l’oggettiva portata dell’intervento romano, il comunicato si rifugia ancora – tattica abituale della Casa Generalizia – in un’intenzione soggettiva gratuitamente prestata a Papa Francesco: «Il Papa Francesco vuole chiaramente che, come per le confessioni, tutti i fedeli che intendono sposarsi davanti ad un sacerdote della Fraternità San Pio X, possano farlo senza alcuna preoccupazione sulla validità del sacramento.»
Da notare che qui si insinua il dubbio sulla validità dei matrimoni della Fraternità.

Questo comunicato, infine, lascia tutti i sacerdoti della Fraternità nella più grande indeterminatezza. La Casa Generalizia ritiene che ormai i suoi sacerdoti debbano piegarsi a questi dettami della Roma moderna? Così sembrerebbe, poiché questo comunicato non porta alcuna restrizione: esso, dopo aver profondamente ringraziato il Santo Padre, auspica anche che «tutti i vescovi condividano la stessa sollecitudine pastorale».
Al tempo stesso, questo comunicato sfocia nella più totale indeterminatezza su questo punto. Se vi si dice che i sacerdoti della Fraternità continueranno a «ricevere i consensi nel rito tradizionale della Santa Chiesa», niente è detto della giurisdizione che dovranno usare per farlo: quella che riconosce loro il diritto della Chiesa e che è loro imposta dalla situazione attuale, e cioè la giurisdizione di supplenza derivante dallo stato di necessità in cui si trova la Chiesa, oppure la giurisdizione delegata dal vescovo del luogo «In caso di impossibilità, o se non esiste un sacerdote della diocesi che possa ricevere il consenso delle parti ».
Niente è detto su questo: rimane la più totale indeterminatezza.

Trucchi e inganni

Si comprende la collera sempre meno silenziosa che invade numerosi sacerdoti della Fraternità davanti a questi rimedi da azzeccagarbugli attuati a spese dei veri problemi che distruggono la Chiesa giorno dopo giorno, e cioè i rinnegamenti dottrinali ogni giorno più numerosi della Roma moderna.

Del pari, si manifesta l’isolamento sempre più profondo nel quale si pone la Casa Generalizia della Fraternità, quando si constata che essa non comunica più con i suoi sacerdoti, ma solo con la stampa. E’ tramite e solo da quest’ultima che i membri della Fraternità hanno avuto modo di conoscere sia l’intervento romano sia il comunicato risposta della Fraternità; così come è solo grazie alla stampa che hanno saputo dell’incontro di Mons. Pozzo con Mons. Fellay, del gennaio scorso, in cui peraltro, oltre ad altre questioni, si è parlato dei matrimoni  della Fraternità… ecc. ecc.

Questo nuovo episodio delle relazioni fra Roma e la Fraternità non è altro che un epifenomeno in più che mostra tutta l’ambiguità di tali relazioni, vero giuoco di prestigio in cui i gran perdenti sono la fede cattolica e tutti i fedeli, sacerdoti e laici che ad essa sono legati.
Da parte della Casa Generalizia, una tale politica equivale ad un vero suicidio, a meno che, dubitando perfino di se stessi, i suoi occupanti abbiano perduto lo spirito della battaglia per la fede, che è stata la forza di questa congregazione religiosa.




aprile 2017
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