Scimmioni che adorano la velocità

di Alessandro Gnocchi



Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  21 aprile 2017

Titolo, impaginazione e neretti sono nostri


Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


venerdì 21 aprile 2017


E’ pervenuta in redazione:

Gentilissimo dottor Alessandro Gnocchi

vorrei sottoporle una mia considerazione a proposito della follia di questo mondo che ritengo essere rappresentata dalla smania della velocità. Abbiamo tutti troppa fretta di fare tutto e così ci perdiamo ciò che davvero conta. Che cosa ne pensa?

La ringrazio per l’eventuale risposta

Armando Boselli




 

Caro Armando,

penso esattamente quello che pensa lei. Ne ho già parlato in altre occasioni e quindi ripeto cose già dette e che magari avrà già letto o sentito, ma torno volentieri su questo tema che rappresenta veramente la follia moderna nella quale siamo tutti immersi e da cui dobbiamo difenderci.

Il morbo della velocità e della fretta è sicuramente uno dei frutti maturi di questi tempi, ma cresce su una pianta che ha radici nella ferita del peccato. Ne parla il Vangelo là dove San Luca racconta l’episodio dei dieci lebbrosi che chiedono a Gesù di essere guariti. Il Signore li manda a presentarsi ai sacerdoti e, quando loro vi stanno andando, vengono risanati, ma solo uno torna sui suoi passi per ringraziare chi lo ha risanato, ed è un samaritano. Mentre gli altri nove si affrettano a far certificare dalle autorità la propria guarigione e la riammissione al consesso civile, il samaritano non recita secondo il copione, ma improvvisa.

Non è una virtù facile da esercitare, l’improvvisazione. La vita di tutti i giorni abilita alla velocità e alla sveltezza, che sono tutt’altra cosa rispetto alla prontezza e all’improvvisazione. Se la velocità è figlia dell’abitudine a svolgere un compito o un’azione, la prontezza nasce invece dalla costante attenzione allo scorrere della vita. Solo chi è pronto può fermarsi al momento giusto e agire al di fuori degli schemi abituali e delle convenzioni sociali.

Nel racconto di Luca, sono stati certamente molto svelti i nove che si sono precipitati dai sacerdoti a vidimare la loro guarigione. Il samaritano, invece, è stato pronto: è riuscito a cogliere la vita nel suo significato ultimo e si è sentito prossimo a Cristo. Ha fatto proprio il senso di riconoscenza prima che quello di appartenenza. Invece che correre verso la meta più scontata, si è fermato e si è diretto verso quella meno convenzionale per l’uomo segnato dal peccato: Dio.

Caro Armando, bisogna che ognuno di noi impari a guardarsi in faccia con più attenzione. Dobbiamo farlo quando si corre come forsennati al lavoro, al bar per il panino da mangiare in piedi, al supermercato per la spesa, ad accompagnare i figli a scuola, a basket, a calcio, a danza, al corso di informatica, alla lezione di musica, alla festa di compleanno del compagno di classe che non si sa neanche chi sia ma quello che conta è che il bambino impari a socializzare. E poi, ancora di corsa durante il lavoro in ufficio, in fila alla posta, a casa con la famiglia. Sempre di corsa e sempre pensando alla corsa successiva per fare cose di cui ci importa poco o nulla ma si deve farle perché le fanno tutti. E le cose che contano davvero rimandate sempre a domani perché oggi non c’è tempo: oggi si deve correre.

Non so se a lei sia mai capitato, ma io un po’ di tempo fa mi sono spaventato quando ho visto tante facce allucinate riflesse in una vetrina della città in cui lavoro: in mezzo c’era la mia, uguale alle altre. Facce da pazzi. Facce di gente imbruttita, senza gioia, senza speranza. Gente disposta a vendere l’anima in cambio del tempo. Scimmioni in giacca e cravatta o tailleur, ma pur sempre scimmioni. Che cosa sono, altrimenti, quelli che ti passano accanto senza neppure vederti? Che ti urtano senza chiederti scusa? Che saltano la fila senza curarsi degli altri? Che guidano come pazzi e parcheggiano in terza o quarta fila? Che ingollano lasagnette vegetariane precotte che puzzano di plastica mentre leggono il giornale e parlano al cellulare?  Scimmioni in giacca e cravatta e tailleur, anche se conoscono perfettamente l’inglese e tengono sotto braccio il “Financial Times”. Tutto perché questo mondo impone di correre senza pensare.

È la follia della civiltà moderna, caro Armando, e purtroppo penso che non ci sia mestiere più adatto del mio a rappresentarla. Giornali, telegiornali, web non fanno più a gara per dare le notizie complete e verificate, ma solo per arrivare prima degli altri, non importa se con una notizia vera o una falsa. L’importante è arrivare prima degli altri, anche se poi non si ha il coraggio di raccontare la verità. Ormai, per lasciare al palo la concorrenza, sui giornali e in tv gli anniversari si celebrano con anticipo sempre maggiore, tanto da creare un grottesco calendario slittato in avanti in cui non ci si ritrova più con le date. Persino i botti di Capodanno, ultima liturgia collettiva condivisa dall’intera famiglia umana, si comincia a spararli a mezzogiorno invece che a mezzanotte.

Pensi alle luminarie natalizie che sfavillano nelle città fin da novembre accompagnate da panettoni e torroni che invadono i supermercati con due mesi anticipo. Lo stesso per la Pasqua, che arriva sugli scaffali, sui giornali e in televisione quando non è ancora iniziata la Quaresima. Tutto questo a cura di una società che non ci crede più. Meno si crede e più si anticipano le celebrazioni. E anche noi che ci crediamo, se non stiamo più che attenti, cadiamo nel tranello di questa liturgia atea che va a sostituire la vera liturgia ormai sottratta alle anime assetate di Dio. Il tempo degli uomini si è sostituito al tempo del Signore dentro le chiese, figuriamoci nelle piazze.

Se si vuole rimanere a galla nella cosiddetta civiltà moderna, bisogna arrivare prima degli altri. Bisogna arrivare prima dei concorrenti, prima dei colleghi, prima degli amici, prima dei familiari, prima di tutti. Prima anche di se stessi e, arrivati a questo punto, ci si è persi. Non si è più neanche soli perché, per essere soli, bisogna pur essere qualcuno: invece non si è proprio nulla. Eccolo il risultato dell’avarizia che porta a guadagnare tempo su tempo e della prodigalità nello scialare le cose dell’anima: poveri scimmioni che, avendo conservato la possibilità di ragionare, a un certo punto si rendono conto di essere disperati ma non riescono a capirne il perché.

Poveri scimmioni descritti dal genio di Dante nel VII canto dell’ “Inferno”, là dove narra le pene degli avari e dei prodighi:

Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa,
e d’una parte e d’altra, con grand’urli,
voltando pesi per forza di poppa.

Percotëansi ‘ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: “Perché tieni?” e “Perché burli?”.

Avari e prodighi dell’Inferno dantesco spingono in circolo delle gran pietre con il petto. Gli uni lungo un semicerchio e gli altri lungo quello opposto fino a scontrarsi. Allora si ingiuriano dicendosi reciprocamente “Perché tieni?”, “Perché burli?”, vale a dire “Perché sei avaro?”, “Perché sciali?”. Poi si voltano e rifanno il semicerchio nella direzione opposta fino a quando si scontreranno e si insulteranno di nuovo. Così per l’eternità.

Ci pensi caro Armando, c’è molta differenza con i dannati del giorno d’oggi, costretti a correre in cerchio come dei folli e capaci solo d’ingiuriare chiunque gli sia d’intralcio? Se siamo onesti, dobbiamo dire di no. Tranne che per i dannati moderni, che hanno scialato il nutrimento dell’anima per avidità di tempo, l’Inferno comincia su questa terra. Un inferno dove non si ha neppure la consolazione di essere qualcuno, di essere riconosciuti, di avere una possibilità di commiserazione, se non d’amore. Perché chi perde di vista la propria anima non è più nessuno. Diviene irriconoscibile, proprio come i condannati per avarizia e prodigalità di cui discorrono Dante e Virgilio:

E io: “Maestro, tra questi cotali
dovre’ io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali”.

Ed elli a me: “Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi,
ad ogne conoscenza or li fa bruni.

Bruni, oscuri, irriconoscibili anche i milioni di insetti di questo formicaio moderno che risparmiano tempo per gettarlo nei nuovi riti tribali degli aperitivi nei locali alla moda, degli happy hour, dei fast food, delle palestre, delle beauty farm. Gente che vive magari a Sesto San Giovanni o Torpignattara ed è convinta di essere vicina di casa di Woody Allen a Manhattan. Si avvelenano l’anima e il corpo e poi vanno dal guru del nutrizionismo per disintossicarsi. E quel furbacchione del guru gli dice che devono fare colazione a casa, portarsi in ufficio il minestrone fatto dalla moglie, evitare cibi confezionati e precotti, fare una cena leggera e andare a letto presto. Lo so perché ho voluto fare una prova e capire quanto si può essere deficienti e allora ho verificato di persona la notizia: 400 euro per farsi prescrivere quello che le nostre nonne ci dicevano gratis, aggiungendo quello che conta veramente: prima di andare a dormire dì almeno una decina del Rosario.

Bruni, oscuri, irriconoscibili scimmioni condannati a rispecchiarsi in figli cresciuti con il mito della velocità e dell’efficienza prima di tutto. E che figli. Ragazzotti che prendono la Bmw del padre e vanno a correre a 200 all’ora: perché adorano la velocità. Ragazzotti che sfidano i treni di passaggio attraversando di corsa i binari: perché adorano la velocità. Ragazzotti che si divertono a gettare i sassi dai ponti delle autostrade sulle auto in corsa: perché adorano la velocità. Ragazzotti che si compiacciono di essere piccoli criminali e riprendono le loro imprese con il cellulare per metterle su internet, così gli amici le possono vedere subito, più in fretta che nei telegiornali: perché adorano la velocità.

Cosa possono fare d’altro, se nessuno gli insegna che può essere bello anche stare fermi o camminare piano? Magari come fa il nonno che ha avuto un ictus o il compagno di classe che è su una sedia a rotelle da quando è nato.
Cosa possono fare d’altro, se nessuno gli insegna che, guardandoci attorno, non ci imbattiamo tanto nei nostri vicini quanto nel nostro prossimo: e che il nostro prossimo più prossimo è Dio?


Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo



aprile 2017
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