La meritocrazia nasce con la Chiesa

di Ettore Gotti Tedeschi

Pubblicato sul quotidiano La Verità del 31 maggio 2017, p. 15





Le disuguaglianze condannate dal Santo Padre non dipendono dall’economia malata, bensì dalla miseria morale. Solo la fede espressa con atti concreti può salvare l’uomo.

Ho letto l’intervista con Giordano Riello («L’industriale al Papa: “Sulla meritocrazia sbaglia”») apparsa ieri su La Verità. Per Riello, correttamente, la meritocrazia, come di seguito cercherò di spiegare, non legittima affatto eticamente la disuguaglianza. Una certa meritocrazia è invece altamente educativa.

Meritocrazia è, nel linguaggio comune un po’ rozzo, il contrario di nepotismo. E l’espressione nepotismo, curiosamente, nasce proprio in casa della Chiesa. Nel Medioevo i Papi che non praticavano la necessaria castità facevano chiamare i figli nipoti, e subito i privilegi loro concessi si definirono nepotismo, contrario appunto di merito.
Meritocrazia, nel senso usato da Riello, direi che significa impegno responsabile per il bene comune, il contrario di mediocrità e nepotismo. Suona anche essere un invito alla giustizia morale ed economica di chi opera contro la disuguaglianza con i fatti, non con le parole. Perciò, bravo Riello.

In questi giorni è uscito un mio libro, Dio è meritocratico, proprio per tentare di essere provocatorio e lievemente polemico verso chi sostiene che la grazia è scontata, concessa a tutti in qualsiasi condizione, solo per i meriti di Cristo, non per i propri. E per questi «diseducatori» è persino peccato di orgoglio presumere di voler cercare meriti propri. Questa illusione diseducativa, non mi piace. Il cattolico deve cercare di acquisire, vivere, praticare le virtù con meriti propri. La fede vuole opere, altrimenti come si vede che c’è? Dove si vede che il cattolico si sforza di imitare Cristo? Nel Vangelo Gesù spiega che «nella casa di mio Padre ci sono tante dimore».  Sant’Agostino spiega questa frase con i vari gradi di beatitudine previsti per i vari gradi di santità acquisiti con vari gradi di merito per le azioni virtuose. Questo è educativo.

Se invece Dio fosse «meritocratico», nel senso attribuito a tale espressione dalla cultura liberista, significherebbe che Dio valuterebbe le sue creature basandosi esclusivamente sui loro meriti o sul quoziente intellettuale ben esercitato. E ciò non può essere, i meriti che Dio apprezza, mi piace credere, sono soprattutto i meriti cercati e acquisiti imparando a vivere in questo mondo cercando di santificarlo e perciò santificando se stessi nel proprio lavoro quotidiano (come insegnava San Escrivà). Meritocrazia significa saper lottare contro il peccato e sapersi pentire. Altrimenti l’Amleto di William Shakespeare sarebbe più generoso del Creatore. Infatti Shakespeare, nell’Amleto appunto, immagina una conversazione tra tal Polonio e il protagonista, riferita a come trattare alcuni servi. Polonio dice: «Li tratterò secondo del loro merito». Risponde Amleto: «Se si trattasse ognuno a seconda del suo merito, chi potrebbe evitare la frusta?»

E’ la miseria morale il peccato che permette l’egoismo, l’avidità, l’indifferenza al prossimo. Non è l’inequità (interpretata secondo qualche formula di teologia della liberazione) l’origine degli errori che comportano diseguaglianza e miseria materiale. Certamente non è l’economia a uccidere, è l’uomo mal formato che la usa male, che crea le condizioni di disagio economico.

E’ chi è responsabile della formazione morale dell’uomo, se non la Chiesa? Se l’uomo perde il senso delle sue azioni e il senso soprannaturale della vita, non è forse responsabilità di chi doveva insegnargliele? Cioè dei sacerdoti? Se gli strumenti economici hanno preso (peraltro come quelli scientifici) autonomia morale e hanno creato disastri, la corresponsabilità di chi è, se non di chi con il magistero, la preghiera, i sacramenti non ha saputo ispirare il cuore dell’uomo? E si è invece occupato, «dal pulpito», di disquisire di economia, di politica, di sociologia, magari senza neppure conoscerle? La Chiesa è esperta di anime, di morale, non di impresa o di economia. Benedetto XVI lo ha ben insegnato in Caritas in veritate, caro Riello.
 




maggio 2017
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