La riparazione è una questione fatta per cristiani seri



Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  31 maggio 2017


Il titolo, l'impaginazione, i neretti e la prima immagine sono nostre


Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


mercoledì 31 maggio 2017

E’ pervenuta in redazione:

Egregio dottor Gnocchi,

noto che sia lei che Riscossa Cristiana state sostenendo la processione in programma a Reggio Emilia in riparazione del Gay Pride. Ricordo che a suo tempo lei fu molto critico con il Family Day, al quale io ho partecipato. Che cosa fa, ha cambiato idea? A Reggio Emilia avranno l’onore della sua presenza?

Cordiali saluti

Massimiliano Croci






Caro Croci,

in redazione sono giunte altre due o tre lettere dello stesso tenore, ma ho scelto la sua perché è di una stupidità così cristallina da evidenziare senza volerlo alcuni concetti che meritano di essere approfonditi. E anche, devo riconoscerlo, da suscitare una certa simpatia.

Ma partiamo da una questione di metodo, caro Croci. Così come, prima di parlare, si dovrebbe collegare la bocca al cervello, si dovrebbe fare altrettanto con la tastiera prima di scrivere. O, non avendo il cervello, la si dovrebbe connettere almeno alla memoria, o all’archivio, oppure, in tempi ipertecnologici al database. Visto che non lo ha fatto lei, ci penso io.

Dunque, il 31 ottobre dello scorso anno, rispondendo al signor Graziano Agazzi a proposito della discutibilissima “Marcia per la Pace” di Assisi, dicevo tra l’altro: “sarei tentato di farla brevissima dicendole che le marce non mi piacciono: tutte, perché alla fine sono tutte uguali”. E concludevo così: “Ma se, per una volta, invece di una marcia si facesse una processione? È pur vero che bisogna crederci…”.

Sempre lo scorso anno, il 16 febbraio, circa il “Family Day” rispondevo al signor Filippo Nobili: “Pensi se ogni singolo componente dei due milioni del Circo Massimo, invece che starsene al calduccio del grembo materno della piazza, avesse fatto celebrare al freddo di una chiesa vuota una Messa per chiedere al Signore di porre fine allo schifo che tanto giustamente suscita il suo orrore. Ci pensi: due milioni di Messe contro la Cirinnà, due milioni di volte la celebrazione del Sacrificio di Cristo per riparare la gloria di Dio oltraggiata da uomini che calpestano le leggi divine e di conseguenza calpestano altri uomini”.

Il fatto è, caro il mio Croci, che una processione non è una marcia e neppure una sfilata. E una Santa Messa non è un comizio. Capisce perché le processioni e le Sante Messe mi vanno bene, mentre le sfilate, le marce, i raduni e comizi mi fanno venire l’orticaria? Ma evidentemente, per i tradizionalisti di lotta e di governo del suo stampo una cosa vale l’altra perché sono tutte manifestazioni pubbliche. E invece no, caro il mio Croci. Perché le sfilate, le marce, i raduni e i comizi intendono semplicemente aggiungere la propria voce nell’arena affollata di ciarlatani che spargono veleno. Un urlo e uno slogan in più che vanno a far media in piazza, con il presupposto teorico e la conseguenza pratica di attribuire lo stesso valore all’errore e alla verità. Si tratta solo di avere la voce più grossa per portare a casa, almeno quel giorno, qualche titolo sui giornali. Alla fine, non conta avere ragione, ma farsi sentire nel libero mercato delle opinioni. Insomma, come si dice sbrigativamente in Lombardia: “Chi vusa püssé la vaca l’è sua”.

Un atto della religione cattolica, invece, è sempre e solo affermazione della Verità e condanna dell’errore. Tanto più quando è un atto di riparazione, che non rimane al livello rasoterra della piazza, ma sale più in alto, fino al Cielo per chiedere il perdono di Dio a nome di tutti.

Quanto alla possibilità che io onori Reggio Emilia con la mia presenza alla processione, le spiego senza reticenze come vanno le cose. Lei dovrebbe sapere, sicuramente lo sa, che un certo milieu intellettuale, chiamiamolo generosamente così, del tradizionalismo di lotta e di governo mi dipinge come eretico e persino scismatico. Mi importa poco, anzi nulla. L’unica certificazione che ho ottenuto fino ad ora non è quella di essere eretico o scismatico, ma reumatico. Spesso fatico a camminare e qualche volta ho dei problemi anche nello scrivere. Non sempre, come vede, perché ora le sto rispondendo speditamente, ma con una frequenza fastidiosa. Dunque, se sabato mattina starò bene, salirò in macchina e andrò a Reggio Emilia, onorato io di essere presente all’iniziativa di un gruppo di bei cattolici, dai quali lei avrebbe molto da imparare. Se non ce la farò, avrò comunque di che partecipare anche stando a casa.

Perché la riparazione, caro il mio ometto, è una questione fatta per cristiani seri, non per mammolette che scambiano una processione per una marcetta.
Se vuole farsene un’idea, si legga questa pagina di don Divo Barsotti, tratta da un libro che, non a caso, si intitola, La mistica della riparazione.





Partecipazione alla morte di Cristo


La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.

Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l’altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull’altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo.

Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell’apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell’esercizio delle professioni, ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: « Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa ». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: « Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite voi stessi a Dio ». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.

Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le bestie riservate al macello: così la consacrazione ci risèrva: siamo separati dall’umanità, ma lo siamo per l’umanità; siamo messi da parte per essere immolati per il bene degli uomini. Chi compirà il nostro sacrificio? Colui che operò il sacrificio di Gesù. Per lo Spirito Santo egli si offrì al Padre: lo immolò soltanto il suo amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione alla Morte di Cristo, se saranno la prova che in noi vive l’amore.

La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra sofferenza, le nostre lacrime, la nostra povertà, ciò che ci umilia, tutta la nostra vita …

O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il nostro amore per Te! Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il nostro sangue, tutto, e vogliamo che il nostro dono sia salvezza per tutti.

Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo uniamo all’offerta del Cristo. Noi siamo sull’altare proprio per questo: perché la nostra offerta non sia separata da quella del tuo Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un’immagine più vera di quello che è l’uomo che ha ricevuto la mattina la S. Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? Non fa presente Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la fede cristiana, l’unione intima con Gesù Salvatore, ci debba dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri, se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non é come gli altri, ma come Gesù.

La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione stessa del Cristo: non la sofferenza che è dovuta per i nostri peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l’umanità, perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé. Nella misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo, per esserne a tua volta schiacciato.

L’uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.

Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l’uomo, giunto all’unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S. Giovanni della Croce nelle sue opere non ci dà nemmeno la prova di quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della Croce, una volta giunto all’unione trasformante, conobbe la gioia. Egli giunse all’unione trasformante nel carcere di Toledo; ma dopo il carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande di sofferenza: l’abbandono da parte dei suoi fratelli, il tentativo di cacciarlo dall’Ordine, la morte. La sofferenza di S. Giovanni della Croce non terminò con l’unione trasformante: è con l’unione trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un modo più intimo e vero alla Passione stessa di Gesù, che è Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli meritò di essere il padre dell’Ordine: tutto l’Ordine vivrà nella sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa, così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive ogni famiglia religiosa.

Così S. Teresa di Gesù Bambino. Sembra che ella sia giunta all’unione trasformante nel tempo in cui si offrì all’Amore misericordioso; se leggiamo la sua vita vedremo che è proprio da allora che la investe il massimo della sofferenza e delle tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio allora ella ottiene di divenire la più grande santa dei tempi moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come schiacciata, spezzata. L’Umanità di Gesù non sopportò il peso del dolore umano ed egli è morto sulla Croce: come potrebbe l’uomo, nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?

La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in un’estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma nell’agonia pura e semplice, nella desolazione dello spirito, nel sentimento dell’abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e così deve morire chi a lui più si avvicina.

Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la dolcezza dell’estasi: Gesù si comunica all’uomo per imprimere in lui il suo Volto divino, affinché egli divenga la vera « icona » del Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma misteriosamente nascosto nell’Eucarestia, Egli vuole rivelarsi in noi, vuoi farsi presente e visibile agli uomini nella nostra medesima vita, nel nostro medesimo corpo.

Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero, dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così che anche il corpo divenga veramente una immagine di Gesù. La vera immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano dell’uomo, ma dallo Spirito Santo.

La mistica cristiana non è una mistica dell’Uno, un puro affondare dell’anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell’uomo nella luce infinita: è un’assimilazione a Cristo. La nostra unione, la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con tutta quanta l’umanità sofferente e peccatrice, nella nostra trasformazione in Cristo.

Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto nell’Eucarestia, nel santo diviene palese; quello che nell’Eucarestia è nascosto deve vivere in te.

Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già tutta nel mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico, l’atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene la vita di ogni uomo, la vita anche del mondo.

Se è arrivato fino fondo, caro signor Croci, penso che abbia inteso che cosa sia un atto di religione e che cosa significhi parteciparvi. Tutto il resto è robetta.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo




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