Pericolo di scisma?


di Don Raphaël d’Abbadie, FSSPX


Pubblicato su Le petit eudiste, foglio del Priorato francese della Fraternità:  Saint-Jean Etudes, n. 203, giugno 2017





Sfortunatamente, non è raro sentire nei nostri ambienti che una troppo lunga separazione dalle autorità conciliari finirà col farci rompere l’unità, adottando un spirito scismatico.
Qualche richiamo alla dottrina cristiana su questo argomento non è dunque superfluo, così che il nostro giudizio non scaturisca dal sentimento, ma piuttosto dalla fede che illumina la ragione.

Se apriamo il Catechismo di San Pio X, constatiamo che la definizione di Chiesa attiene all’unione dei battezzati in una stessa fede, una stessa santificazione (i sacramenti), una stessa gerarchia (governo). Quest’ordine: fede, santificazione, gerarchia) non è casuale: è cruciale; poiché, se la Chiesa è una società (che come ogni società comporta un governo), essa tuttavia appartiene all’ordine soprannaturale: questo governo che assicura l’unità dei membri non può esercitarsi al di fuori della professione della stessa fede: «che è il legame radicale e assolutamente primario dell’unità sociale della Chiesa» (1).
Il principio di unità della Chiesa è dunque la fede, insegnata dal Magistero. In questo modo, la gerarchia ha la funzione di mantenere i membri nell’obbedienza a questa stessa fede (indispensabile per la salvezza). Essa dunque non può andare contro la fede, in quanto la sua funzione vi è subordinata.

Qual è questa fede?
E’ l’adesione della nostra intelligenza alle verità che Dio ci chiede di credere, e questo perché è Lui che ci impegna con tutta la Sua autorità: noi crediamo sull’autorità di Dio, che «non può sbagliarsi, né ingannarci». Queste verità ci sono trasmesse dal Magistero della Chiesa, divinamente assistita nel suo ruolo di insegnamento: «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché facciano conoscere sotto la sua ispirazione una nuova dottrina, ma perché, con la sua assistenza, conservino santamente ed espongano fedelmente la Rivelazione trasmessa degli apostoli, cioè il deposito della fede» (2).

La fede, rivelata da Dio che impegna tutta la Sua autorità, trasmessa dal Magistero assistito da Dio, non dev’essere confusa con l’opinione, che ha per autorità solo la nostra intelligenza o la nostra discrezione arbitraria, che sono molto fragili! Non possiamo mettere i due sullo stesso piano.

Se noi abbiamo rifiutato il concilio Vaticano II è perché giustamente esso si allontana dalla dottrina di sempre, fino a contraddirla, col pretesto di «rivisitarla» per aggiornarla. La nostra opposizione deriva dal nostro attaccamento alla fede.
Ora. La Roma attuale vorrebbe ridurre questo attaccamento ad una semplice opinione, che noi possiamo difendere, certo, ma in quanto opinione: si tratterebbe di «questioni aperte» - mentre invece il Magistero di sempre si è già pronunciato su queste questioni-.
Ci si trova al cospetto della tattica rivoluzionaria, denunciata da Jean Ousset (3), che consiste nell’attaccare la verità (che esclude l’errore), prima di concederle a poco a poco diritto di cittadinanza, ma a condizione che si tenga al rango di una semplice opinione che non esclude l’opinione contraria: la verità messa sullo stesso piano dell’errore.

Relativizzare così la fede significa distruggerla, e per ciò stesso distruggere lo stesso fondamento dell’unità della Chiesa e del suo governo: «un’unità di governo senza l’unità della fede, sarebbe quindi un’unità puramente legale e legalista, contraria alla natura stessa della Chiesa. Un’unità più apparente che reale. Tale è l’unità ecumenica sognata da Paolo VI, Giovanni Paolo II e dai loro successori. E tale sarà anche l’unità della «piena comunione» che la Santa Sede fa balenare da lungo tempo agli eredi di Mons. Lefebvre.» (4).

La nostra vera unione con la Chiesa richiede dunque la professione intatta della fede, anche se essa è contraddetta dalle autorità attuali e provoca la nostra esclusione: «questa unità [di fede], che è l’unità stessa della Chiesa, deve conservare il primato su tutti gli accomodamenti pseudo canonici.» (5).
E’ relativizzando la fede che si finirà col perdere la vera unità (ed è questo che si chiama “scisma”), e col compromettere la propria salvezza.

Questi princípi hanno permesso al fondatore della Fraternità di conservare, in mezzo alla tempesta conciliare, una linea chiaramente cattolica, che egli esprimeva così alla vigilia delle consacrazioni: «Il legame ufficiale con la Roma modernista non è nulla a confronto della preservazione della fede!» (6).

NOTE

1Unité ou legalité?, di Don Gleize, Courrier de Rome n. 599, maggio 2017, p. 4.
2 – Vaticano I, IV sessione, 18 luglio 1870: prima costituzione dogmatica Pastor aeternus (DS 3070).
3 – Jean Ousset, Pour qu’il regne, p. 93 e ss.
4 Courrier de Rome, p. 4.
5Ibid.
6 – Mons. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre, una vita, 2005, Ed. Tabula Fati, Chieti, p. 632.



giugno 2017
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