Il caso Charlie Gard:

il limite del diritto dei genitori al rispetto della vita del loro figlio


Articolo pubblicato sul sito del Centro Europeo per la legge e la giustizia

Il dottor Grégor Puppinck è direttore generale del Centro europeo per la legge e la giustizia (ECLJ): nonché membro del gruppo di esperti OSCE sulla libertà di religione o credenza. Partecipa al Comitato degli Esperti sulla Riforma della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.





Con una decisione del 27 giugno 2017, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato torto ad una coppia britannica che si batte perché il proprio figlio di 10 mesi, affetto da una malattia mortale, non venga “scollegato” dalle apparecchiature che lo tengono in vita e possa beneficiare di un trattamento sperimentale di “ultima possibilità” negli Stati Uniti.

La Corte di Strasburgo ha giudicato, a maggioranza, che le giurisdizioni britanniche potessero legittimamente ritenere, visti i rapporti di esperti in medicina, che non sarebbe nell’interesse del bambino continuare a vivere con la respirazione artificiale, né ricevere un nuovo trattamento sperimentale. Secondo i giudici britannici, tali cure non gli procurerebbero alcun beneficio e il bambino soffrirebbe considerevolmente.

Di conseguenza, l’ospedale britannico in cui Charlie è ricoverato ha il potere di trattenerlo contro la volontà dei genitori e di interrompere la respirazione artificiale, fino alla sua morte naturale.

L’identificazione dell’«interesse superiore del bambino» è il punto focale di questa questione.
Per l’ospedale e i giudici britannici, il suo interesse consiste nel morire per non soffrire; per i genitori, invece, nel tentare di tutto per vivere. Su questo punto, i giudici di Strasburgo ritengono “evidente” che l’interesse dei genitori si oppone a quello del loro bambino (§ 67). In altri termini, secondo la Corte, è con ragione che le autorità britanniche hanno ritenuto che i genitori darebbero prova di un’irragionevole ostinazione pregiudizievole per il loro figlio.

Un’altra questione sta nel sapere chi sia il miglior garante e giudice dell’interesse del bambino.
In linea di principio, sono i genitori. Ma per aggirare il loro rifiuto di arresto delle cure, le autorità britanniche hanno designato un tutore per rappresentare il bambino. In maniera surreale, la Corte ha immaginato che il piccolo abbia una propria «volontà», quella di morire, e che essa è espressa dal tutore. La Corte nota infatti con soddisfazione che «visto che (Charlie) non poteva esprimere le sue volontà, le giurisdizioni interne hanno vegliato a che queste volontà fossero espresse tramite il suo tutore, un professionista indipendente espressamente nominato allo scopo dalle giurisdizioni interne» (§92).
Questo costituirebbe una garanzia del rispetto dei diritti dei genitori e del bambino!

Trattandosi del diritto al rispetto della vita, la Corte si è nascosta ancora una volta dietro la constatazione dell’assenza in Europa del consenso in materia di fine vita o di eutanasia, per accordare al Regno Unito un largo margine di apprezzamento sulla protezione della vita delle persone malate, come nel caso: Lambert contro Francia del 5 maggio 2015.

Così, i genitori del piccolo Charlie, che l’accompagnano coraggiosamente in questa prova, hanno avuto la tristezza di vedere la Corte confermare che, in sostanza, sarebbero dei cattivi genitori e quindi devono decidersi a lasciar morire il loro figlio… nel suo stesso interesse.

Più generalmente la Corte sottolinea che questa questione è «eccezionale», e tuttavia essa pone un precedente che è grave, poiché accetta il principio che la morte di un bambino possa essere decisa, contro la volontà dei genitori, in ragione del suo stato di salute.
Questo principio potrebbe condurre all’accettazione dell’eutanasia dei neonati, già praticata e tollerata in certi paesi europei. Basterà applicarlo per altri bambini portatori di handicap gravi ma non mortali, che, come nel caso di Vincente Lambert, potranno essere abbandonati alla morte per disidratazione e sedazione.




luglio 2017
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