Svelata da Bergoglio una delle cause
della sua sconsideratezza


di Belvecchio




In questi giorni sono comparse un po’ dovunque le ultime confidenze giornalistiche di papa Bergoglio, contenute in un’intervista rilasciata al sociologo Dominique Wolton, che sarà pubblicata in un libro in francese. Alcuni passi sono stati anticipati dal Figaro Magazine e ripresi, tra gli altri, da Andrea Tornielli su Vatican Insider. Qui si legge: “Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. … Era una persona molto buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni.”

Pare che questa esigenza sia nata in Bergoglio in seguito alle difficoltà da lui incontrate nello svolgere il suo compito di responsabile nelle istituzioni gesuitiche argentine. La cosa lascia alquanto perplessi, non tanto per il ricorso alla psico analisi, quanto per il fatto che un gesuita di 42 anni non riuscisse a trovare un soddisfacente equilibrio interiore nonostante la pratica degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Se ne deve dedurre che: o gli esercizi praticati allora a Buenos Aires non erano come avrebbero dovuto essere, o Bergoglio era già allora una personalità instabile e restia a seguire delle regole di comportamento.

Comunque stiano le cose, e tenuto conto che Bergoglio confessa che la psico analista “mi ha aiutato molto”, ci sembra logico chiedersi come mai egli non continui anche oggi a sottoporsi allo stesso trattamento, visto che i suoi comportamenti, le sue iniziative e i suoi discorsi attuali raccontano di un’evidente instabilità.
Certamente non si può escludere che, dopo il trattamento subito allora, Bergoglio abbia acquisito quella sicurezza necessaria per vivere anche certe instabilità in maniera per lui soddisfacente; è questo infatti uno degli effetti che spesso si verifica dopo aver praticato la psico analisi: scompostezza e sconsideratezza rimangono, ma il soggetto li vive ormai come fattori positivi della sua pur traballante esistenza.

Ora, noi non sappiamo se Bergoglio abbia raggiunto a suo tempo una sorta di appagamento interiore, ma da come lo abbiamo conosciuto in questi quattro anni di pontificato ci sembra di poter dire che la sicurezza di sé ce l’ha, anzi, fin troppa, visto che spesso sfocia nell’arroganza e nella prevaricazione, ma questa è accompagnata da un’evidente mancanza di equilibrio e coerenza che a volte stupiscono, se non si sapesse che questi sintomi sono anch’essi effetti della pratica della psico analisi.

Ma a questo punto ci sembra necessario spendere due parole su questa moderna disciplina per metà medica e per metà negromantica.

Quando ai primi del secolo scorso, su impulso dell’ebreo austriaco Sigismund Schlomo Freud, si incominciò a diffondere l’utilizzo della psicologia come mezzo terapeutico per certi disturbi del comportamento, pian piano si verificò che le indagini conoscitive condotte su soggetti instabili e spesso pesantemente turbati, indagini condotte in maniera improvvisata e intuitiva da ricercatori sprovvisti di ogni nozione preventiva su una materia che essi stessi provvidero a codificare ex novo, tali indagini si pensò bene potessero essere utilizzate anche nei confronti di soggetti normali, comunque affatto instabili o turbati.

Tale pratica di esplorazione del pensiero e delle impressioni dei soggetti interessati, venne detta “analisi” e fu proprio Freud che pretese di poter “analizzare” la psiche dei soggetti, operando una macroscopica confusione tra psicologia e impulsi psichici.
Indipendentemente dalle forzature e dalle storpiature operate dal suo iniziatore (come la mono maniacale convinzione che fosse il sesso la chiave di tutto), lo sviluppo della analisi della psiche produsse la necessità di esplorare i pensieri e gli impulsi dei soggetti attraverso una serie di domande rivolte al soggetto basate su presupposti già definiti nella mente dell’analista. Le domande, l’indagine conoscitiva, partendo da schemi teorici dati per accertati, mira ad ottenere un certo tipo di risposte.

Ora, ciò che si intende esplorare nell’analisi della psiche è la parte che si ritiene più nascosta della componente interiore del soggetto, quella che è stata definita “subconscio” o “inconscio”, per indicare dei componenti interiori che si collocherebbero sotto la soglia della chiara coscienza. Il lavoro dello psico analista consisterebbe nel cercare di fare affiorare al livello della coscienza tutti quei pensieri e quelle sensazioni che si collocherebbero sotto la soglia della coscienza e che si presuppone costituiscano le cause dei comportamenti coscienti.

Da questa succinta descrizione si comprende che il punto di partenza di tutta questa teoria è costituito dal convincimento che l’essere umano sia composto da una componente conscia e da una “subconscia”, cosa che detta in altri termini corrisponderebbe alla suddivisione tra corpo e psiche.
In realtà, le cose non stanno in questo modo così semplificato e schematico, poiché la divisione corpo-psiche non esaurisce la composizione dell’uomo: l'uomo non è composto solo da una componente materiale che sarebbe il corpo, e un'altra componente immateriale che corrisponderebbe alla psiche, componenti che, secondo la psico analisi interagirebbero tra loro per cui il corpo influenzerebbe la psiche e viceversa.
E' propria dell'uomo, invece, anche la componente spirituale, quella legata al suo essere stato creato “a immagine e somiglianza di Dio”, senza la quale l'uomo risulterebbe essere una sorta di agglomerato tra materia pesante, il corpo, e materia sottile, la psiche, quest'ultima, infatti, non ha alcuna valenza spirituale, essendo sempre legata alla mera esistenza terrena dell'uomo e perfino ai suoi elementi istintuali. Per dirla in altri termini, è evidente che la capacità razionale dell'uomo e la sua capacità di pensare non sono tutt'uno con la psiche, ma si differenziano da essa per la loro valenza per così dire “sovra umana” o, se si vuole, per la loro valenza non animale.

Per dare un’idea di questa riduzione possiamo considerare che è quanto meno singolare che si ammetta l’esistenza del “subconscio” – che sta sotto la coscienza – senza dir nulla del suo logico correlativo: il “superconscio” – che sta sopra la coscienza.
Tale terza componente viene trascurata o addirittura considerata inesistente in quanto ci si rifiuta di ammettere che nell’uomo ci sia qualcosa che sta al disopra del corpo e delle pulsioni ad esso legate. In questa ottica, lo stesso pensiero, che per sua natura sfugge ad ogni collocazione inferiore, lo si considera come legato al corpo, a suo modo omologo alla psiche, mentre invece esso sfugge ad ogni possibile interazione con la materia pesante e la materia sottile. Per dirla in maniera volgare, non è ammissibile che il pensiero venga prodotto dal cervello, dove semmai può prodursi una sorta di lavorio meccanico relativo alle sensazioni che derivano dal pensiero.

Ora, se si tiene conto di questa componente che sta sopra la coscienza, e che in qualche maniera informa la coscienza stessa fornendole una giustificazione “superiore”, è gioco forza riconoscere l’esistenza di una componente che sta sotto la coscienza, e che svolge una funzione inversa. Per dare l’idea possiamo dire che, posta la coscienza, essa è stimolata in senso “superiore” e perfino anagogico dal “superconscio”, e stimolata in senso “inferiore” e perfino catagogico dal “subconscio”. E questo è possibile perché il “superconscio” attiene alla componente spirituale dell’uomo, mentre il “subconscio” attiene alla componente materiale dell’uomo. Tali componenti sono strettamente connesse, la prima, all’ambito superiore - e potremmo dire al “Cielo” – e la seconda all’ambito inferiore – e potremmo dire alla “terra”.
Per usare una terminologia biblica, possiamo dire che il “superconscio” è attinente alle “acque superiori”, mentre il “subconscio alle “acque inferiori”, i due termini indicanti: il primo il livello spirituale simboleggiato dalle stelle poste nella profondità del cielo, il secondo il livello sub-naturale simboleggiato dalle forze poste nella profondità degli inferi.

La coscienza dell’uomo è come sottoposta all’influenza di queste due componenti, tale che l’influenza anagogica tende ad indurre l’uomo ad andare oltre se stesso, verso l’alto, sublimando la sua stessa natura umana; mentre l’influenza catagogica tende ad indurre l’uomo ad immergersi in se stesso, verso il basso, perdendosi nella sua natura umana.
Un esempio della prima influenza è dato dall’esperienza mistica, che si realizza attraverso la meditazione e la contemplazione; un esempio della seconda influenza è dato dalla possessione, che si realizza attraverso l’abbandono alle pulsioni incontrollate che sorgono dalle viscere, dall’istinto animale.

Quando la psico analisi stimola l’affiorare allo stato di coscienza delle componenti del “subconscio”, inevitabilmente muove nella stessa direzione le influenze catagogiche, suscitando l’invasione della coscienza da parte delle forze infere, le quali finiscono con l’essere condizionanti e quasi sempre in grado di imprimere alla coscienza un segno indelebile: è la condizione dell’uomo posseduto. Una persona che si sottopone alla cosiddetta psico analisi o esplorazione del subconscio, non ha difese sufficienti per impedire di subire l’influenza delle forze infere che con la stessa analisi vengono stimolate ad invadere la sua coscienza.
Questo non significa che da quel momento il soggetto diventi un “demonio”, per così dire, ma è certo che tali influenze segnano fortemente i suoi pensieri e i suoi comportamenti, anche se da un punto di vista dell’equilibrio interiore il soggetto appare più controllato, meno instabile: egli in definitiva è come se avesse raggiunto una sorta di equilibrio inferiore, lasciandosi guidare dalle sue componenti istintuali senza più contrastarle.
In lui non c’è più la lotta tra i fattori che lo traggono verso il subumano e i fattori che lo traggono verso il sovraumano, perché convive pacificamente con le influenze catagogiche e se ne compiace, anche se “inconsciamente”.

E’ questo il risultato della psico analisi.

Tornando allora a Bergoglio, ecco come possono spiegarsi certi suoi comportamenti e soprattutto certi suoi convincimenti che pretendono di ridurre l’insegnamento anagogico della religione cattolica a meri fattori materiali. Si piegano quindi meglio le sue trovate sul capovolgimento del significato dei passi del Vangelo e il suo voler a tutti i costi ridurre la religione cattolica ad una sorta di servizio sociale in difesa dei bisogni materiali dell’uomo e in difesa della mera natura terrena.
Bergoglio è un cultore della materia e un dispregiatore dello spirito, così non può che rigettare ogni istanza superiore per perseguire l’affermazione delle istanze inferiori; per dirla con una battuta: per lui è meglio un peccatore impenitente, che comunque è umanamente una brava persona, che un devoto fedele di Cristo, che ai suoi occhi è un cieco che non vuol vedere la realtà.

Ora, tutto questo, in Bergoglio, è colpa dei sei mesi di psico analisi condotta in Argentina con la dottoressa ebrea? Evidentemente no, perché quella psico analisi è stata condotta su un soggetto di per sé indotto a muoversi in maniera prevalentemente materiale, e tuttavia, quella stessa psico analisi ha inevitabilmente esasperato le innate tendenze scomposte di Bergoglio, aiutandolo a trovare con esse una sorta di equilibrio, che lo ha portato ad acquisire quella sicurezza che egli dimostra nel perseguire i suoi scomposti obiettivi e nel combattere tutti coloro che lo contrastano.

Ovviamente, se si parla di questo con uno psico analista si troverà che egli sconfessa questa nostra breve analisi, ed è logico che sia così, perché bisogna tenere presente che per praticare la psico analisi come pratica “medica”, i psico analisti devono preventivamente sottoporsi essi stessi all’analisi, trattandosi di fatto di una sorta di “iniziazione” all’arte, fatta dagli adepti ai neofiti. Un circolo chiuso che è più che una specie di consorteria umana: è una cerchia di esseri conviventi con le forze infere con cui lavorano. E questo lo si comprende meglio se si pensa che tale pratica pseudo-iniziatica, divenuta obbligatoria a posteriori, non ha avuto iniziatori umani: chi ha “iniziato” o psico analizzato i primi psico analisti?

Domanda a cui c’è una sola risposta: si è trattato di uomini che si sono abbandonati completamente alle influenze infere che sono sempre incombenti nella vita dell’uomo, e sono state tali influenze infere che, per così dire, hanno iniziato, e cioè posseduto, i tipi come Freud e i suoi sodali.



settembre 2017
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