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Chi nega l’inferno? Nega l’inferno chi non crede più in Cristo di
Francesco Lamendola
Articolo pubblicato il 7
settembre
2017 sul sito Accademia Nuova Italia
Presentazione, impaginazione e neretti sono nostri
Sì, lo sappiamo, l’argomento non va di moda: è obsoleto; e, per giunta, non è politicamente corretto, specie nella neochiesa odierna, gnostica, sincretista e semi-panteista. Moltissimi preti, per non parlare dei vescovi, praticamente non ne parlano più; i teologi, poi, hanno ben altre cose delle quali occuparsi. E così, l’inferno non è stato proprio abolito de iure, ma de facto, è come se lo fosse stato: in pratica, nessuno vuole ricordarne l’esistenza, nessuno vuole sporcarsi le mani a parlarne, nessuno desidera rendersi impopolare, o sgradito alle masse, o essere considerato un guastafeste. Nella neochiesa trionfante dei nostri giorni non devono esserci altro che amore, letizia, gaudio e misericordia. Che bello. Non c’è più posto per il male, o solo per un male secondario, rimediabile, dalle conseguenze non troppo gravi; ma niente diavoli e assolutamente niente castigo eterno. Questo è fuori discussione. Solo che non si può dirlo, e per una ragione abbastanza seria: sarebbe eretico. Che l’inferno esista, è una verità di fede. Il sacro Magistero lo ha sempre insegnato; le Scritture ne sono piene, dal primo all’ultimo libro della Bibbia: dalla Genesi all’Apocalisse, se ne parla eccome, e senza mezzi termini. Soprattutto ne ha parlato Gesù, e molto spesso; così come ha parlato del diavolo. E non solo ha parlato del diavolo, ma lo ha anche affrontato, e parecchie volte: sia esorcizzando gli indemoniati, sia quando è stato sottoposto alla tentazione Egli stesso, nei due momenti cruciali della sua missione fra gli uomini: alla vigilia della vita pubblica, quando si era ritirato nel deserto per pregare e digiunare, e alla vigilia della Passione, quando si era ritirato nell’orto degli olivi, di notte, per pregare e chiedere al Padre il suo conforto, in vista della prova suprema che lo attendeva. Gesù ha parlato anche del giudizio universale e dell’inferno, della sua paurosa realtà, come quando ha detto, preannunciando le parole che Dio stesso rivolgerà ai peccatori (Mt., 25, 41): Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Più chiaro di così… Poi, l’inferno è stato visto, sì, proprio visto, da una quantità di santi, che ne hanno riportato un’impressione terribile. Dunque, i teologi modernisti e i preti progressisti devono andarci coi piedi di piombo, anche se muoiono dalla voglia di abolire, con un tratto di penna, sia l’inferno, che il diavolo e le sue schiere: non possono farlo, almeno per ora; ma si sentono forti, perché dalla loro parte stanno sia il Progresso, sia, ciò che è di gran conforto, i voti della stragrande maggioranza dei fedeli, Abituati al clima assembleare del Concilio e del post-concilio, molti preti e molti fedeli vorrebbero riunirsi e votare a maggioranza, o magari indire un referendum su internet: sono certi del risultato, la stragrande maggiorana voterebbe per l’abolizione, e così il problema sarebbe risolto una volta per tutte. Finalmente avrebbero fra le mani la religione che hanno sempre desiderato: docile, duttile, pieghevole, rilassante, rasserenante, dolce e zuccherosa come piace a loro; una religione che non chiede sacrifici, che non impone alcuna rinuncia, che approva tutto, benedice tutto, concede tutto, anche il peccato, solo cambiandogli nome, definendolo, cioè, la giusta realizzazione dei propri desideri, dei propri sogni, della propria voglia di amare. Che cosa c’è di più bello dell’amore? Dio è amore: Dio vuole che noi amiamo; e come si potrebbe negare una verità così evidente? In tal modo, essi non si fanno scrupolo di bestemmiare nella maniera più atroce, attribuendo a Dio l’approvazione del peccato e santificando, per il loro uso e consumo, le passioni più disordinate, in nome di una “misericordia” che è, in realtà, il lasciapassare per qualunque licenza, per qualunque vizio. Non abbiamo forse visto un gesuita, e piuttosto autorevole, James Martin, scrivere libri nei quali auspica che venga riconosciuto al più presto il cosiddetto matrimonio omosessuale anche da parte della Chiesa (profanando il Sacramento del Matrimonio), e dichiarare che l’unico, vero peccato, non è il peccato impuro contro natura, ma la cosiddetta omofobia, ossia il rifiuto di riconoscere come legittimo e buono in se steso, proprio quel peccato? Ora il generale dei gesuiti, Sosa Abascal, ha fatto il primo passo decisivo, forse per tastare il terreno: ha detto, non dal pulpito, ma - come oggi usa nella neochiesa – nel corso di una intervista, e lo ha detto con la tipica, scandalosa nonchalance cui siamo ormai abituati, che il diavolo è solo una invenzione simbolica per rappresentare il male (con la minuscola, evidentemente).. Ora, lo scopo cui tende il diavolo, secondo la teologia cattolica – non quella di padre Sosa, ma quella di Gesù Cristo, di san Paolo, di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino – è di allontanare eternamente gli uomini da Dio, cioè di far sì che vadano all’inferno. Dire perciò che il diavolo non esiste, è come dire che non esiste neppure l’inferno: infatti, se non c’è il diavolo, chi andrà all’inferno? L’uomo, da solo, non è capace di concepire e attuare un male così grande, da meritare il castigo eterno: le due cose, il diavolo e l’inferno, vanno insieme e sono inseparabili. Padre Sosa, così, ha voluto mettere in discussione l’esistenza dell’inferno. Prima di lui, negli anni del cosiddetto post-Concilio, un altro teologo, eminente questa volta, e rispettabile, Hans Urs von Balthasar, aveva provato a concepire una sorta di compromesso: sì, l’inferno certamente esiste; ma non è detto che ci sia dentro qualcuno. Forse la misericordia di Dio è talmente grande, che, in pratica, non condanna nessuno all’inferno. Insomma: una prigione vuota, senza sbarre né guardiani, e dei condannati graziati in massa, un indulto generale che risolve il problema alla radice, e sia pure non ufficialmente, ma sul piano puramente pratico (in realtà, a onor del vero, von Balthasar non aveva detto proprio così, ma qualcosa di simile, e il suo pensiero era stato immediatamente semplificato dalla stampa in questi termini, e tale è rimasto nell’immaginario collettivo). Ora, non sarà male ricapitolare la vera dottrina cattolica a proposito della realtà dell’inferno, come pena eterna ed eterna separazione da Dio, così come la esponeva, con semplicità e chiarezza, padre Carlo Mola, dell’ordine dell’Oratorio di San Filippo Neri, in un suo celebre compendio catechistico, Lezioni di religione (Napoli, Tip. Reale delle Scienze, 1891, pp. 172-175; ci siamo permessi di modificare lievemente solo qualche forma ortografica ormai desueta, per rendere più scorrevole la lettura): 1. La colpa deve esser punita. E Dio punisce
i malvagi; e a quelli che furono tali e impenitenti sino alla morte,
dà nell’altra vita l’inferno. Terribile verità, che a
solo pronunziarla, l’animo resta come smarrito! Di esso si parla nella
Scrittura; dal Genesi all’ultimo Libro dell’antico Testamento, trovansi
testimonianze che lo affermano. Ed ancora dagli Evangeli
all’Apocalisse, ad ogni pagina, si annuncia che gli empi saranno
condannati all’inferno.
2 - L’esistenza dell’inferno deriva dall’odio
sommo ed infinito che Iddio, santità e giustizia per essenza,
porta al peccato, che è vero male. È esso male morale,
è disordine, è rivolgimento di quella legge suprema che
Iddio impone a noi sue creature. Nello imporcela questa legge egli, il
Signore, vuole altresì essere da noi amato, scegliendo a sua
dimora e a suo trono il nostro cuore. Egli vi vuol regnare con l’amore;
e vi regna, quando appunto è amato, quando a lui è reso
un fedele omaggio di obbedienza alla sua legge. Ma allorché
l’uomo si sottomette volontariamente all’impero tirannico delle
passioni, allorché si abbandona interamente alla
schiavitù dei sensi e alle voglie malvagie, insomma al peccato,
allora, pel suo disamore, è quasi, direi, annientato nel suo
cuore Iddio; allora, in luogo di Dio, nel cuore dell’uomo vi è
l’IO, quell’orgoglioso IO, vi è la creatura; invece della luce,
vi sono le tenebre, vi è Satana. Questo disordine è
certamente immenso; ed altresì immenso ed incomparabile è
il male del peccato. Qualunque idea si possa concepire dell’inferno,
essa non oltrepassa mai la grandezza di questo male, che è il
peccato.
III. E però può dirsi, che
l’inferno è il peccato, ed il peccato è l’inferno;
perché l’uno e l’altro esprimono la perdita del sommo Bene.
L’esser lontano da Dio per sempre, quando Iddio è tutto per la
creatura: l’esser privi per sempre della infinita dolcezza, della
infinita bellezza e della infinita verità che è Iddio,
quando niente è soave, è bello, è vero fuori di
lui, è pena, è dolore gravissimo; anzi questa è la
sostanza dell’inferno, questo è il dolore massimo.
1. Ma, oltre a questa terribilissima pena,
che è detta DEL DANNO, vi è nell’inferno ancora l’altra,
detta DEL SENSO, per la quale i reprobi nell’inferno vanno soggetti ad
ogni sorta di tormenti derivanti principalmente dall’ardore del fuoco.
Non ci è bisogno d’indagare troppo addentro la natura di questo
misteriosissimo fuoco, o in qual parte del mondo sia, o in qual modo
bruci. Né vale ciò che assai leggermente vien detto da
alcuni, che, cioè, un fuoco corporeo non potrà mai
addolorare un’anima spirituale; perché anche in terra il nostro
spirito non è esso rinchiuso in membri corporei, rallegrato e
crucciato dal corpo? Così parimente gli spiriti umani possono
ben essere nell’inferno uniti a fuochi corporei, non già per
animarli e vivificarli, ma soltanto per ricevere una certa forma di
dolore, la quale sia il contrapposto di quella forma di piaceri, che
essi, durante la vita, sregolatamente cercarono in tutto ciò che
è corporeo.
2. Nell’inferno ogni male è eterno;
né per variar di natura e per volgere di secoli terminerà
mai. ANDATE MALEDETTI AL FUOCO ETERNO, dirà Cristo giudice ai
reprobi (Mt, 25, 41). Questo dogma della eternità della condanna
sembra sfuggire sotto certi rapporti alle facoltà limitate della
nostra mente. Ma è un articolo di fede anch’esso, definito dalla
Chiesa. Chi riflette però seriamente, trova che acciò
potessero una volta finire quelle infernali pene, converrebbe supporre:
o che venisse tempo nel quale Iddio non odiasse più il peccato,
cui pur sempre ostinatamente aderisce la volontà del dannato; il
che è impossibile; oppure che questi per la penitenza
cancellasse le sue colpe. La qual cosa è fuori d’ogni speranza;
perché cosiffatta penitenza non oltrepassa i confini del
presente vivere. L’uomo dopo morte cade come l’albero sotto i colpi
della scure; dove cade, resta. Quando egli tuttora viveva, a lui non
mancarono i mezzi di salute; ed egli non volle usarne; impenitente non
volle riparare al suo peccato, quando il Signore gli concedeva spazio
di tempo. Non lo volle nemmeno all’estremo momento della morte; ed ora
non lo può più nell’inferno. NELL’INFERNO NON VI È
REDENZIONE. Nell’inferno l’anima è stabilita nello stato di
termine, nello stato d’immutabile eternità.
Questo è quanto. Ed è perfettamente in linea con la Bibbia, il Vangelo e il Magistero perenne della Chiesa. Chi non è in linea, chi è fuori dalla dottrina cattolica, è padre Sosa, e con lui, tutti i preti e i teologi modernisti, i quali vorrebbero modificare, stravolgere e rovesciare come un guanto la dottrina. Ma che fare, con un papa che (si veda l’omelia da Santa Marta del 19 maggio scorso) nega la necessità di una dottrina, sostenendo che essa è utile solo se unisce, non se divide, e affermando che la dottrina è una cosa ideologica, da lasciare alle persone rigide? Ecco, siamo arrivati al punto: i nodi sono giunti al pettine. Ora bisognerà fare chiarezza. Chi nega l’esistenza del diavolo, nega anche la realtà dell’inferno; e chi nega l’inferno, nega, di fatto, il peccato, perché se l’inferno non c’è, tutti i peccati vengono automaticamente condonati, anche i più gravi, anche quelli del peccatore assolutamente impenitente: il che è la stessa cosa che dire che il peccato non esiste. È la stessa cosa che dire che non c’è alcuna differenza tra il peccato e la grazia, tra l’azione buona e quella malvagia, tra il fare la volontà di Dio e fare quella del diavolo (che non esiste, e quindi fare la volontà dell’uomo, abbandonata a se stessa). Ora bisogna che ciascuno metta le sue carte in tavola, e dica senza ulteriori ambiguità che cosa pensa, e in chi o in che cosa crede. Credono ancora in Dio, nel Dio predicato da Gesù Cristo, e che era Egli stesso Dio, tutti costoro? Secondo noi, no: e la confusione, il turbamento, l’angoscia che stanno seminando, a piene mani, tra i fedeli, sono la prova del fatto che lo sanno. Altrimenti, sarebbero almeno sfiorati dal dubbio; incomincerebbero a parlare e a scrivere con più prudenza; cercherebbero di spiegarsi meglio. Ma no: essi se ne vanno dritti e sicuri per la loro strada: vogliono cambiare la Chiesa, e lo stanno facendo; vogliono cambiare anche la dottrina, cioè cambiare la fede. Se le loro manovre avessero buon esito, un miliardo e mezzo di anime passerebbero, quasi senza rendersene conto, dal cattolicesimo a un modernismo naturalista e gnostico, a un sincretismo fortemente venato di panteismo, dove Gesù sarebbe uno dei profeti, uno fra i tanti, ma dove, in ultima analisi, non c’è alcun Dio trascendente, ma solo l’Uomo, desideroso d’incoronarsi da se stesso re dell’universo. Non sarebbe più il cattolicesimo, ma una sua orribile contraffazione. E le anime, traviate da questi falsi pastori e da queste blasfeme dottrine, sarebbero votate a una sicura rovina. Qualcuno penserà che tutto questo è eccessivo, che stiamo esagerando. Benissimo; si rilegga, allora, quanto dice l’enciclica Amoris laetitia (n. 303): la coscienza delle coppie adultere … può riconoscere non solo che una
situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del
Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e
onestà ciò che per il momento è la risposta
generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa
sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta
richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti,
benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.
Domandiamo: definire il peccato grave la risposta generosa che si può offrire a Dio, ed aggiungere, per buona misura, che ciò porta a scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo, è ancora proclamare la dottrina cattolica? Secondo noi, no, perché equivale a dire che Dio permette il peccato grave, anzi, lo richiede: equivale a dire che Dio chiede all’uomo di peccare gravemente. Non solo siamo fuori dalla dottrina cattolica; non solo siamo ai suoi antipodi; ma qui si stanno pronunciando delle vere e proprie bestemmie contro Dio. Nel Padre nostro, la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato, i cattolici recitano: E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Qui, invece, si chiama Dio a testimonio, anzi, a promotore del male che noi scegliamo di fare. Ciò è mostruoso. Ma per averlo detto, naturalmente in modo meno esplicito e formalmente rispettoso, il professor Josef Seifert, uno dei più grandi teologi e filosofi cattolici viventi, è stato sospeso dall’insegnamento dall’arcivescovo di Granada, monsignor Javier Martinez Fernandez, e inoltre cacciato dall’Accademia Internazionale di Filosofia, della quale è uno dei fondatori. E allora domandiamo: chi è ancora nella vera dottrina cattolica, Josef Seifert o l’arcivescovo di Granada? Ma l’enciclica Amoris laetitia, inutile girarci attorno, è stata scritta da papa Francesco, e non dall’arcivescovo di Granada. Dunque, domandiamo ancora, rispettosamente, ma fermamente: è ancora cattolico, papa Francesco? Se non lo è, se non ha voglia di esserlo, se il cattolicesimo gli dà fastidio, per favore, lo dica. Stiamo parlando di una cosa estremamente seria, e non di una astratta disputa accademica che riguarda pochi professori di teologia: stiamo parlando della salute di milioni e milioni di anime, quando già il bene di una sola è un valore incommensurabile… (torna
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