ISABELLA LA CATTOLICA


di Elena Risco


Articolo pubblicato sul sito della Comunione Tradizionalista - Spagna

L'articolo è presentato i quattro parti:
PRIMA - SECONDA - TERZA - QUARTA







Tra i draghi della nostra vita
si nasconde una principessa che chiede aiuto

R. M. Rilke


Lo scopo di questo breve articolo è quello di salvare Isabella la Cattolica: salvarla dall’oblio, dalla leggenda nera, dalle ingiustizie che si sono commesse contro di lei. Ma la parte migliore del compito di salvare la Regina Isabella non consiste semplicemente nell’appello più o meno sentimentale a favore di un personaggio storico. Il salvarla implica anche salvare il progetto cattolico delle Spagne.

Sembra che oggi nessuno sia disposto a difendere l’Inquisizione, la Conquista delle Indie, l’espulsione dei Giudei o il progetto imperiale. E tuttavia, è mia opinione che far proprio il cattolicesimo comporta, in un certo modo, far proprio il suo passato.
A volte può sembrare che alcuni ecclesiastici provino ad ingraziarsi le ideologie moderne e liberali caricando sulla Spagna e sulle persone come la Regina Isabella quei supposti fastidiosi errori che non corrispondono bene alla nuova immagine che deve essere presentata, ragion per cui si reinterpretano e si limano certi principi fino a farli coincidere con il discorso politicamente corretto.
E allora, ecco che su di noi cadrà la colpa – felice e benedetta colpa – di ricordare che fu proprio in quel tempo che si cercò di realizzare il progetto più autentico di politica cattolica. Di fatto, c’e chi sostiene che le Spagne sono state per molto tempo più cattoliche della stessa Roma. Il che non significa che vogliano assimilarle totalmente alla Chiesa e alla volontà del Papa.
Isabella la Cattolica e molti dei suoi discendenti seppero camminare sulla sottile linea della necessaria distinzione, che non è separazione, fra la Chiesa e lo Stato, senza cadere nell’assurdo e fanatico laicismo attuale, né nel clericalismo beato tanto di moda in questi momenti.

Come segnalava il Professor Gambra in una recente conferenza: «La Chiesa può ricordare quali sono i princípi classici della politica cattolica, ma non è compito suo la loro applicazione prudenziale

La prova di quanto sopra la sia ha nella sospensione, nel 1991, del processo di beatificazione di Isabella la Cattolica. E così, la leggenda nera continua a macchiare solo le Spagne, solo la memoria di Isabella la Cattolica.
Sembra che sia stata la Chiesa la prima a voltare le spalle alla principessa che chiede aiuto perché minacciata dai draghi della modernità. E tale attitudine costituisce una manifesta totale mancanza… quanto meno di cavalleria.

La mia intenzione è di presentare alcuni dati che aiutino a mettere in discussione la leggenda nera che è stata fatta propria per essere insegnata nelle nostre scuole e che domina interamente l’immaginario collettivo. Per questo, esporrò separatamente quelli che abitualmente sono gli aspetti più polemici relativi al regno di Isabella: la sua legittimità, la conquista del regno di Granada, l’espulsione dei Giudei e l’Inquisizione.




Segovia - Incoronazione di Isabella I di Castiglia


LEGITTIMITÀ


Talvolta si è messa in dubbio la legittimità di Isabella, arrivando a qualificarla come usurpatrice del trono di Giovanna la Beltraneja [di Beltran] – e credo proprio che Beltraneja sia il soprannome più adatto per Giovanna, perché colpisce il fatto che un re, il cui primo matrimonio fu dichiarato nullo dopo dodici anni per non essere stato consumato, nel suo secondo matrimonio riesca ad avere una figlia dopo sette anni sposato con la sua seconda moglie, evento che coincide con una immediata pioggia di favori ad un tale Beltran de la Cueva, al quale si arrivò a concedere la maestria dell’Ordine di Santiago, privilegio riservato ai membri della famiglia reale.

Sulla base di questi dati, si deve ammettere che con i capricci politici del pusillanime e corrotto Enrico IV, la questione della successione non è stata chiara.
Anche ammettendo che donna Giovanna possedesse la legittimità di origine, ella cessò di detenere la legittimità di esercizio dopo essere diventata uno strumento nelle mani del re Alfonso V del Portogallo, il quale, insieme a Luigi XI di Francia, pretese di prendere il potere nella Castiglia e nell’Aragona.
La legittimità di origine è un mezzo, non un fine in se stesso. In effetti, la legittimità di origine è l’istituzionalizzazione della legittimità dell’esercizio. Le dinastie reali e nobili delle Spagne si sono forgiate in combattimento, nella Reconquista, nella protezione della propria terra e della propria gente. Secondo le parole di Rafael Gambra: si tratta di un ufficio non di una dignità.
Secondo Vázquez de Mella:
«Se il potere si acquisisce in conformità al diritto scritto o consuetudinario stabilito dal popolo, vi sarà legittimità di origine, ma non legittimità di esercizio, se lo stesso potere non viene esercitato in conformità col diritto naturale (…) e con le leggi e le tradizioni fondamentali del popolo governato. Se viene a mancare la legittimità di esercizio, può succedere che quando tale illegittimità sia pertinace e costante, finisca col far sparire e distruggere perfino la legittimità di origine; e può succedere, come è successo molte volte nel Medio Evo, che acquisito il potere con la illegittimità di origine, si finisca col prescrivere il diritto del sovrano deposto, avendo acquisito l’usurpatore la legittimità di esercizio.»

Riassumendo: la legittimità di origine è subordinata alla legittimità di esercizio e per questo è cosa infame qualificare come illegittimo il regno di Isabella la Cattolica.




Il Sultano Boabdil si arrende ai Re Cattolici alla capitolazione di Granada


CONQUISTA DEL REGNO DI GRANADA

La conquista del regno del Sultanato di Granada rappresenta il culmine della Reconquista iniziata secoli prima. Tale sforzo, disatteso da certi politici precedenti, comportò la legittima espulsione di uno degli invasori col quale, in forza delle circostanze, si era giunti a convivere. Il territorio occupato da tale regno rappresentava un grave pericolo per gli interessi cristiani, essendo il luogo strategico per l’accesso alla penisola. Sebbene tutto questo giustificherebbe a sufficienza un attacco da parte dei Re Cattolici, in realtà il primo attacco venne da parte avversaria: con la presa del castello di Zahara nel 1481.

Mi sembra degno di nota il fatto che re Ferdinando lottò corpo a corpo in questa guerra, mentre Isabella si trovava spesso al fronte, per organizzare i famosi ospedali da campo, nei quali accudiva i feriti con le sue stesse mani. Entrambi erano presenti sul fronte per valutare direttamente lo sforzo e la sofferenza della propria gente e così poter concedere con giustizia e cognizione di causa i titoli, i premi e i distintivi meritati da coloro che lottavano con coraggio ed onore nella guerra, evitando così che la nobiltà diventasse solo un privilegio ingiustificato.




Santa Fe - Cristoforo Colombo ricevuto dai Re Cattolici


ESPULSIONE DEI GIUDEI


Per la migliore esposizione, affronterò il fenomeno dei Giudei nella Castiglia e nell’Aragona da una triplice prospettiva, in corrispondenza con gli argomenti che possono giustificare la loro espulsione dal territorio.
In primo luogo, lo scontento del popolo e le continue rivolte e uccisioni che si verificarono per questo motivo: che chiamerò motivo popolare.
In secondo luogo, il pericolo che costituivano a livello politico per i Re a causa dei loro abituali tradimenti e complotti, nonché per le ricchezze accumulate: chiamerò questo: motivo politico.
In terzo luogo, il pericolo reale di giudaizzazione del cristianesimo professato nella penisola, che chiamerò: motivo religioso.

Tuttavia, a titolo preventivo farò notare alcune questioni generali necessarie per una corretta impostazione della questione.

I Giudei non erano spagnoli che avevano una religione diversa da quella dei loro Re, erano stranieri e il loro diritto a vivere nelle terre della penisola era assicurato da un tributo speciale. Essi vivevano come comunità separate e resistevano a qualsiasi tentativo di assimilazione: non erano sudditi ai quali i Re dovevano la loro protezione.
Inoltre, non tutti i Giudei espulsi, né i convertiti, vivevano da secoli in Spagna.
La verità è che erano giunti in Spagna molti Giudei espulsi da altri luoghi. Nel XII secolo arrivarono alcuni espulsi dalla Russia, nel XIII secolo gli espulsi dal sudovest francese da  Eduardo I, nel XIV secolo quelli espulsi dal resto della Francia e alcuni gruppi importanti originari della Germania e dell’Inghilterra, anch’essi espulsi dai rispettivi sovrani. In questo modo, quella che originariamente era una piccola comunità che poteva essere tollerata, diventò un’ondata incontrollabile.

Sebbene sia vero che la carità cristiana esige di dare riparo ad ogni persona in maniera temporanea, essa non può applicarsi al caso di una comunità che si stabilisce in maniera stabile e perpetua, e ancor meno se si tratta di una popolazione la cui forma di vita contraddice i princípi del luogo in cui si insedia e i princípi della Chiesa.
La tolleranza tra i popoli è una eccezione e non una regola generale. Non tutto vale, non tutto è compatibile e non tutto è ammissibile. Ed è il semplice buon senso che ammette l’incompatibilità del cristianesimo col giudaismo, per esempio in relazione ai princípi di giustizia sociale: i creditori giudei arrivarono a perpetrare dei gravi abusi, come l’esigere il 20 per cento di interessi ai contadini aragonesi in pieno periodo di carestia.



Hernando di Talavera

Sarebbe fuorviante e anacronistico interpretare l’espulsione dei Giudei come una misura antisemita. Gli argomenti, come detto sopra, sono politici, popolari e religioni, non razziali. Prova di ciò è che lo stesso Ferdinando il Cattolico era originario da una famiglia convertita – proveniva dalla famiglia degli Enríquez da parte di madre -; come lo erano il confessore della Regina, frate Hernando de Talavera; e Hernando del Pulgar, uno dei principali partecipanti alla campagna di cristianizzazione precedente l’instaurazione dell’Inquisizione, e molte altre personalità note.



Hernando Perez del Pulgar

Motivo popolare

In una Europa in cui l’usura era considerata come peccato, secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica, i Giudei si dedicavano alla banca e al prestito: «generalmente chiedevano il 20 per cento in Aragona e il 33 e 1/3 per cento nella Castiglia; e durante la carestia del 1326 chiesero il 40 per cento di interesse per un prestito in denaro accordato alla città di Cuenca per comprare il grano; notizia riportata da William Thomas Walsh nel suo libro Isabel la Cruzada [Isabella la Crociata].



L'usuraio

I contadini, abbandonati dall’avarizia dei nobili proprietari delle loro terre, cadevano per disperazione nelle mani dei prestasoldi giudei, ai quali si permetteva pure di acquistare il diritto di riscuotere le tasse.
La conseguenza di ciò era il cocente odio dei contadini che a volta esplodeva in  uccisioni e in accuse contro i Giudei, che venivano incolpati della pestilenza, della siccità e delle disgrazie della società. Il Papa Clemente VI denunciò come calunniose queste accuse e minacciò di scomunica i fanatici, ma le rivolte aumentavano in modo incontrollabile. Ciò nonostante, la maggioranza dei governatori non prendevano alcun provvedimento in merito, perché si servivano del denaro dei Giudei, ignorando il malcontento del popolo.


San Vincenzo Ferrer

Le persecuzioni e le limitazioni imposte ai Giudei, uniti al buon lavoro svolto da cattolici come San Vincenzo Ferrer, diedero luogo ad una conversione in massa al cristianesimo. Alcune sincere e altre no. Nacque così un nuovo corpo sociale: i Giudei convertiti. La conversione permise loro di accedere al matrimonio con le famiglie più influenti e importanti, sia nella Chiesa sia nel Governo.
In una cronaca del 1479, i convertiti venivano descritti così:
«E comunemente per la maggior parte erano usurai, capaci di molti artifici ed inganni perché tutti vivevano di comode transazioni e nel comprare e vendere non avevano alcuna coscienza per i cristiani. Non avevano voluto intraprendere i lavori di aratura o di scavo, né andare per i campi ad allevare il bestiame, dimostravano di saper fare solo i commerci nei villaggi e di star seduti guadagnandosi da mangiare col minimo lavoro».

Nel 1467, a Toledo, in uno scontro tra vecchi cristiani e convertiti: «mille e seicento case bruciate, trentadue vecchi cristiani uccisi e dei nuovi quattro volte tanto.»; Sepúlveda [umanista e scrittore – 1490-1513] si rifiutò di sottomettersi al potere del convertito Pacheco e preferì rimanere sotto la diretta protezione dei Re Cattolici.
Isabella visse da vicino il dramma della sollevazione contro il convertito Cabrera, sposo di quella che era stata la sua cameriera Beatrice di Bobadilla, sollevazione che pose in pericolo la vita di sua figlia. La situazione tra Giudei, convertiti e popolo semplice era tesa e minacciava di degenerare.

Motivo politico

Diverse fonti concordano nell’affermare che furono i Giudei che aprirono le porte di un gran numero di città agli invasori musulmani che venivano dall’Africa dai primi dell’VIII secolo, e per questo venivano ricompensati con alti incarichi, come il governo di Siviglia, Granada e Cordova. Ma tale alleanza non sempre risultò pacifica. Grosse comunità ebree vennero espulse da Cordova già nel 1013 e il 30 dicembre del 1066 si verificò a Granada l’uccisione di quattromila Giudei, con i superstiti che vennero espulsi dalla città.
Le comunità giudee collaborarono con entrambi le parti durante la Reconquista, e per questo ricevettero i favori di San Ferdinando che, nel 1224, alla conquista di Siviglia, consegnò loro quattro moschee perché le convertissero in sinagoghe, a condizione che non offendessero la fede cristiana e non propagassero il loro culto tra la popolazione. Condizioni che ovviamente furono ignorate, come ammette con orgoglio lo studioso di origine giudea Cecil Roth nella sua Historia de los Marranos:
«la gran massa dei convertiti lavorava insidiosamente per la propria causa nei diversi rami del corpo politico ed ecclesiastico, condannavano spesso apertamente la dottrina della Chiesa e contaminavano con la loro influenza la massa dei credenti

I convertiti si arricchirono straordinariamente, come testimonia lo storico giudeo convertito del XV secolo, Alonso de Palencia:
«i nuovi cristiani erano molto ricchi e li si vedeva comprare continuamente incarichi pubblici, del che si vantavano con arroganza

Si organizzavano in clan e a Cordova un clan arrivò a tenere più di trecento uomini armati, che costituiva una forza superiore a quella che poteva mettere insieme qualunque nobile di Castiglia e una minaccia importante per la supremazia dei Re Cattolici.

Motivo religioso

Un prebendario di Toledo, Juan del Río, insegnava giudaismo nelle chiese; un tal frate Juan de Madrid lo faceva nel confessionale, approfittando della discrezione del luogo. Sempre a Toledo, si racconta che il priore Jerónimo García Zapata celebrava la festa giudaica dei Tabernacoli e «durante la messa, al momento dell’elevazione, invece delle parole della consacrazione pronunciava a voce bassa osservazioni blasfeme e irriverenti». Il vescovo di Segovia seppellì suo padre col rito giudeo; il vescovo di Calahorra non credeva nella Santissima Trinità né nella Passione di Cristo, ma guadagnatasi la fiducia dei Re Cattolici ottenne il posto di presidente del Consiglio Reale; la sua carriera politica finì in prigione, essendo stato condannato dal proprio Pontefice.

In definitiva, Giudei e convertiti avevano un potere tale che le leggi contro i blasfemi non potevano essere efficaci contro di loro.
Molti degli incaricati della diffusione del cristianesimo, per confusione o mala fede propagavano insegnamenti adulterati. L’unità religiosa dei regni, base del progetto delle Spagne, era seriamente minacciata.

Data l’impossibilità di affrontare uno studio storico più esaustivo ed accurato, spero che queste annotazioni quasi aneddotiche possano contribuire alla comprensione del panorama nel quale agivano i Re Cattolici. La questione dei Giudei era un problema ineludibile che richiedeva l’adozione di misure rapide che evitassero disastri maggiori.



I Re Cattolici:
Ferdinando II di Aragona e Isabella I di Castiglia


Tra il 1477 e il 1478, i Re sollecitarono il permesso del Papa Sisto IV per instaurare una Inquisizione che reprimesse i convertiti giudaizzanti. Tuttavia, la Bolla Exigit sincerae devotionis, del novembre 1478, non venne applicata immediatamente.
La Regina Isabella iniziò una campagna di cristianizzazione che finì nel 1480. Si stampò per l’occasione un catechismo diretto in modo particolare ai convertiti, elaborato dal cardinale Mendoza, personaggio straordinario anch’egli dimenticato, figlio del famoso poeta Iñigo López de Mendoza, Marchese di Santillana, che pagò con la sua fortuna personale i soldati durante la guerra di Granada.
Incaricato dalla Regina di cercarle un confessore, le raccomandò prima il frate Hernando de Talavera, che tenne l’incarico fino alla sua nomina come arcivescovo di Granada, e poi il Cisneros, che aveva lavorato con lui nella sua diocesi di Sigüenza, prima del suo ritiro e la presa dei voti nell’Ordine dei Frati Minori. Mendoza, il terzo Re di Spagna, fu uno dei più decisi sostegni dei Re Cattolici tra i grandi nobili di Castiglia.


Il Card. Pedro Gonzales de Mendoza - Il confessore Cisneros

La repressione dei giudaizzanti fu sostenuta in modo particolarmente zelante dagli stessi convertiti, e questo può spiegarsi con due argomenti. Da un lato, è facile capire che i convertiti sinceri erano i più ingiustamente colpiti dalle pratiche giudaizzanti, che li ponevano come bersagli di sospetto e odio. Dall’altro, è possibile sostenere che l’Inquisizione era più uno strumento di eredità giudaica che propriamente cristiano. Su questo punto è significativa la seguente osservazione che Pío Baroja [lo scrittore spagnolo Pío Baroja y Nessi – 1872-1956] mette in bocca al personaggio Iturrioz nella sua opera El árbol de la ciencia [L’albero della scienza]:
«Il semitismo ebraico, cristiano o musulmano continuerà ad essere il padrone del mondo, ci saranno straordinari alti e bassi. C’è qualcosa di più interessante dell’Inquisizione, di indole così semitica, dedita alla pulizia del mondo dagli ebrei e dai mori? C’è un caso più curioso di quello di Torquemada, di origine ebraica?»

Secondo la legge di Mosè, viene disposta una meticolosa inquisizione e vengono messi a morte coloro che servono degli dei sconosciuti (Deuteronomio 13, 13-17).
Né l’Inquisizione era uno strumento genuinamente castigliano. L’Inquisizione pontificia fu grandemente presente, nel Medio Evo, in Italia e in Francia contro i Catari, ma non era affatto comune nei territori della Castiglia e dell’Aragona. Pertanto sono da riprovare certe critiche infondate che considerano l’Inquisizione uno strumento genuinamente ed esclusivamente cattolico o castigliano.



Lo stemma della Santa Inquisizione
(La Croce potata - il ramo d'ulivo da innestare o da bruciare - la spada di Cristo che fa giustizia)
(La scritta: Exsurge Domine et iudica causam tuam)

Non dobbiamo perdere di vista che l’Inquisizione era un tribunale che, come tutti, non era infallibile. Tuttavia, la verità è che riuscì a controllare un’effettiva situazione di violenza, impedendo che il popolo si sollevasse in armi provocando massacri in massa e indiscriminati di Giudei e convertiti, e impedì che il giudaismo finisse con l’adulterare il cristianesimo del popolo spagnolo.
Si trattava inoltre di un tribunale con un ambito oggettivo limitato ai cristiani, così che solo i convertiti rientravano sotto la sua giurisdizione. Il suo giudizio non riguardava i non cristiani, ma solo coloro che si erano fatti battezzare volontariamente e che quindi avevano assunto un impegno che probabilmente non rispettavano.
Le Istructiones del primo inquisitore generale, Torquemada, altro personaggio anch’egli ingiustamente vituperato, stabilivano una serie di garanzie non uguagliate da nessun tribunale dell’epoca – e forse neanche di oggi.



Tomás de Torquemada (1420 – 1498)


Prima di esporre alcune di queste garanzie, mi sembra utile citare la descrizione che Walsh fa dell’autore delle Instructiones:
«Torquemada non aveva mai desiderato essere l’inquisitore. Era un uomo di sessantatre anni che per vent’anni aveva diretto silenziosamente un devoto monastero, dando ai suoi fratelli l’esempio di una vita benevola, disinteressata e dedita allo studio. Insisteva sulla disciplina, ma era persino più severo con se stesso che con gli altri; non mangiava mai carne, dormiva su una tavola nuda e non indossava indumenti di lino sulla pelle. Era coraggioso e incorruttibile, di modo che i Giudei mascherati non potessero sperare di spaventarlo o di corromperlo perché venisse meno al suo dovere. Anteriormente gli era stato offerto un vescovado, che rifiutò, perché non ambiva né onori né gloria. Il denaro che riceveva in donazione lo spendeva per i poveri e per le organizzazioni religiose e di carità; fu lui a costruire il monastero di San Tommaso d’Aquino ad Ávila e ad ampliare quella di Santa Cruz a Segovia. Sembra che Torquemada abbia accettato l’incarico di inquisitore come un penoso dovere, perché era convinto che solo l’Inquisizione potesse evitare che i Giudei mascherati distruggessero la religione cristiana e la sua civiltà in Spagna. (…) Tutti i cronisti dell’epoca che parlano di Torquemada, rendono omaggio al suo straordinario carattere, alla sua efficienza amministrativa e alla fiducia che ispirava ai Re. Due papi, Sisto IV e Alessandro VI, apprezzarono il suo zelo e la sua saggezza. Egli iniziò le sue funzioni con energica serenità, affrontando la riforma e l’organizzazione dell’Inquisizione. Depose gli inquisitori ingiusti o incapaci, sostituendoli con altri di sua fiducia. Fece in modo che, in generale, i tribunali procedessero con più indulgenza, e sembra che si sforzò, con tutti i mezzi a sua disposizione, per evitare gli orrori e gli abusi dei primi inquisitori francesi

Continuando con funzionamento dell’Inquisizione, è notevole il fatto che a livello procedurale ci fossero protezioni, come l’esigenza di due o tre testimoni concordanti per ammettere qualunque testimonianza. Quelle ammesse venivano esaminate da una commissione di teologi estranei all’Inquisizione, che stabiliva se le narrazioni letterali fatte dai testimoni fossero o meno non ortodosse. Per evitare vendette personali, l’accusato redigeva una lista dei suoi nemici e se qualche testimone si trovava menzionato in tale lista, veniva automaticamente ricusato. Con questo mezzo si determinava anche la ricusazione degli stessi giudici.
I beni dell’accusato venivano sequestrati, ma dopo l’assoluzione venivano restituiti. Il sequestratore dell’Inquisizione aveva cura che tali beni non avessero a subire pregiudizio durante il tempo dell’istruzione del processo, dovendo preoccuparsi del sostentamento di «vecchi, bambini o fanciulle o di coloro che per altra causa non era onesto che vivessero fuori dalla casa dell’accusato». Inoltre, il prigioniero doveva conoscere, in ogni caso, le imputazioni che esistevano contro di lui e disporre di un avvocato.

A livello penitenziario, l’arresto non sempre supponeva l’entrata in prigione, poiché poteva essere domiciliare o limitato alla proibizione di lasciare la città. Di fatto, generalmente l’Inquisizione non possedeva delle prigioni e le poche che esistevano erano costituite da abitazioni particolari che spesso comprendevano un piccolo patio con un giardino. Si permetteva agli arrestati  di portare il proprio letto, i vestiti e i servitori, potevano andare liberamente nella cappella, ordinare cibo all’esterno ed esercitare la propria professione; il governatore della prigione aveva l’obbligo di “fornire loro le cose necessarie per il loro ufficio”. Coloro che non disponevano di risorse, l’Inquisizione li dotava di vestiti, scarpe e oggetti di uso personale. In effetti, la prigione inquisitoriale di Granada era aperta e i detenuti erano autorizzati ad uscire in qualunque ora del giorno.

In relazione alle condanne, è necessario fare alcune precisazioni. La cosiddetta prigione perpetua aveva una durata di tre anni e la prigione irreversibile di otto. Le pene più abituali consistevano in penitenze: pellegrinaggi, processioni, preghiere, ecc., e nel peggiore dei casi la pubblica flagellazione – nel qual caso si provvedeva a fornire tradizionalmente al condannato un bicchiere di vino. Secondo le statistiche di J. Dumond, si arrivò alla tortura - che era il mezzo per la confessione e non la pena -,  solo nell’1 o 2 per cento dei processi e per effettuarla si chiedeva un permesso speciale al vescovo del luogo. Mérita la pena ricordare che nella maggior parte delle stampe che mostrano immagini delle torture inquisitoriali, viste dalle finestre, si possono osservare i frontoni a punta tipici dell’architettura nordica e non di quella castigliana, il che permette di sospettare che si tratti di propaganda anti-cattolica diffusa dai protestanti. E tuttavia sembra che sia proprio questa propaganda che oggi viene studiata come “Storia” nelle nostre scuole.
La condanna al rogo era eseguita solo dal braccio secolare. Normalmente si applicava ai casi in cui la condanna per giudaizzazione era accompagnata da quella di alto tradimento, omicidio o rivolta, vale a dire in casi flagranti, come il tentativo di rivolta di Siviglia nel 1480 o l’assassinio di San Pietro de Arbués nel 1485.



Assassinio di San Pedro de Arbués


Vi sono notevoli discrepanze negli studi sulle esecuzioni per condanne inquisitoriali.
Juan Antonio Llorente, ecclesiastico apostata che confessò di aver bruciato tutti i dati ufficiali che aveva impiegato nelle sue ricerche, e primo storico dell’Inquisizione, fissa i morti in 10.000, solo durante cinque degli anni nei quali fu inquisitore Torquemada.
Tuttavia, Kamen, storico di origine britannica, considera che furono 2000 i condannati a morte dall’Inquisizione durante i circa trent’anni del regno di Isabella la Cattolica [si può vedere: Henry Kamen, The Spanish Inquisition: A Historical Revision, Londra, Weidenfeld & Nicolson, 1997 - Edward Peters, Inquisition, New York, The Free Press, 1988]



William Thomas Walsh: Isabella di Spagna, L'ultima crociataProtagonisti dell'Inquisizione


Anche Walsh ammette questa cifra, ma precisa che in questo numero vi erano anche le esecuzioni di bigami, ladri di chiesa, usurai e impiegati della stessa Inquisizione che avevano esorbitato dalle proprie funzioni [si può vedere: Isabella of Spain, the last crusader,  R. M. New York, McBride & company, 1930. - Characters of the Inquisition, New York, P.J. Kennedy & Sons, 1940]
Secondo indagini più recenti condotte dallo specialista tedesco Klaus Wagner, e secondo le stime di Padre Azcona [Tarsicio de Azcona, O.F.M. Cap.], il numero di condanne a morte emesse dall’Inquisizione in Spagna durante il regno di Isabella la Cattolica superò le 400, delle quali 284 provenivano dal tribunale di Siviglia, il più attivo.

Vale la pena far notare che l’Inquisizione era molto popolare tra i contadini, dato che il denaro confiscato veniva devoluto a favore della parrocchia del contado. Tanto era popolare che il popolo protestò violentemente per la sua soppressione nel XIX secolo.
Inoltre, i tribunali inquisitoriali, mentre frenavano gli abusi commessi contro i contadini da alcuni usurai di origine ebraica o convertiti, si imponevano in modo paritario su tutto il territorio a riguardo dei privilegi dei nobili e dei signori locali, indipendentemente dall’istituzione a cui apparteneva l’accusato. Si trattò quindi, di uno dei primi casi documentati di giustizia egualitaria.



William Thomas Walsh

Secondo Dumont, l’espulsione dei Giudei si configurò come un mezzo per alleviare la repressione che effettivamente era esercitata dall’Inquisizione; che essa non sia stata la macchina di tortura dipinta dalla propaganda protestante e liberale, non significa che non fu repressiva e all’occasione severa. Effettivamente, dopo l’espulsione si ridussero radicalmente l’attività inquisitoriale e le condanne.
Si stima che nella Castiglia e nell’Aragona vi fossero approssimativamente 200.000 Giudei nel 1492, dei quali 50.000 accettarono la conversione e rimasero sul posto. Dei 150.000 che partirono, almeno un terzo, secondo la stima di Beatrice Leroy, ritornarono, dopo essere stati truffati in Italia, assassinati nel Magreb e maltrattati e poi espulsi nel Portogallo.

L'editto di espulsione conteneva diverse misure volte ad evitare i pericoli della strada per la comunità ebraica: fu concessa una lettera di sicurezza e il popolo e le autorità dovettero rispettare il loro esodo. Al termine di quattro mesi per abbandonare il posto si aggiunsero altri nove giorni. Si permise anche di portar via tutti i beni mobili, eccetto oro, argento, monete e cavalli, quantunque fosse una proibizione generale, tanto per i cristiani quanto per i Giudei. Ciò nonostante, si potevano depositare i propri beni in banca e recuperarli mediante lettera di credito, anche se i banchieri genovesi, a quanto sembra seguendo gli insegnamenti degli stessi Giudei, approfittarono della situazione ed imposero alte commissioni ed interessi per far loro recuperare i soldi. In cambio, essi si videro obbligati a vendere gli immobili, a volte a prezzi ingiusti, motivo per cui furono inviati nei quartieri ebraici dei giudici incaricati di arbitrare le vendite. In ogni caso, i Re stabilirono che i numerosi Giudei che ritornavano sul territorio e si convertivano al  cristianesimo, potessero recuperare i propri beni allo stesso prezzo col quale li avevano alienati.

 Spesso si critica il pregiudizio economico causato alle Spagne dalla espulsione e dall’ignominia di essa, dato che i Giudei  avevano permesso con i loro prestiti la conquista di Granada e il finanziamento della scoperta dell’America.
Dal mio punto di vista, l’effettivo pregiudizio economico – anche se non tanto gravoso come si suole affermare – rafforza la tesi che l’espulsione e l’insediamento dell’Inquisizione non furono solo il frutto do una politica interessata ed opportunista, ma che esisteva da parte dei Re Cattolici un autentico interesse a preservare il cristianesimo nella penisola.

Secondo le indagini di Azcona e di Melquíades Andrés Martín, i Giudei versarono alla Corona 50 milioni di maravedíes [antica moneta spagnola], mentre la Chiesa, contando solo due delle sue imposte, la decima e la crociata, contribuì con 500 milioni di maravedíes.
Joseph Pérez scoprì nel 1988 che il milione di maravedíes dati come anticipo a Colombo per la sua prima spedizione, da parte di Luis de Santángel, un convertito aragonese e ufficiale reale, non apparteneva a lui personalmente, ma proveniva dai fondi della Santa Fratellanza, che venne successivamente risarcita con fondi provenienti in maggioranza dalla raccolta per la crociata realizzata nella diocesi di Badajoz.
Ciò significa, secondo le parole dello stesso Pérez, che la scoperta dell’America “venne finanziata essenzialmente da umili cristiani dell’Estremadura, a colpi di modeste elemosine”.

Con tutto questo, non ho provato né tanto meno spiegato nella sua interezza una serie di eventi storici certamente complessi e interpretabili. Sono consapevole di non fornire un’interpretazione chiaramente articolata, né uno studio storiografico coscienzioso. Mi sono limitata a enumerare aneddoti e testimonianze raccolte qua e di là con l’intenzione di indicare, attraverso dati dimenticati o travisati, un punto di vista ignorato e mettere in luce figure ingiustamente relegate e vituperate con forza sufficiente perché, come minimo, noi si possa contestare quelli che ci raccontano il nostro passato, chiedendo loro il perché ce lo raccontano così e perché si focalizzano proprio su questa prospettiva.


Sebastiano Conca - Santa Caterina da Siena ad Avignone,
esorta Gregorio XI a tornare a Roma



DONNE AL POTERE


Voglio commentare molto brevemente come, mentre la donna nel cattolicesimo, ha avuto un posto di primo piano come madre e pilastro della casa, senza per questo rinunciare ad importanti lavori sociali, tuttavia, è stata relegata e sminuita da altre religioni e culture. Spiega Walsh:
«che la cultura maomettana, contro la quale Isabella aveva iniziato una lotta a morte per il dominio della Spagna, non concedeva alla donna la posizione privilegiata che ha sempre occupato nella civiltà cristiana. Il Corano la considerava a malapena un essere umano; divideva l’umanità in dodici ordini, di cui l’undicesima includeva ladri, streghe, pirati e ubriachi, e la più bassa, la dodicesima, le donne. La pratica della poligamia, propugnata da Maometto, riduceva la donna alla condizione di schiava e la trasformava in proprietà degli uomini

Le imprese della Regina Isabella ci ricordano il fatto, a volte dimenticato, che le donne di talento godevano di una notevole indipendenza nel Medioevo. Donna Lucía de Medrano fu un eminente insegnante di greco e latino all’Università di Salamanca; Donna Francisca de Lebrija succedette a suo padre nella cattedra di retorica all’Università di Alcalá; Santa Caterina da Siena, con le sue sole forze, pose fine all’esilio del papato ad Avignone.



Santa Caterina da Siena


Era normale che le donne amministrassero vasti territori e governassero città e persino province, data l’abituale assenza di uomini, costretti alla guerra fuori dalle loro case. Voglio aggiungere a questa ammirevole lista il nome di Beatriz de Galindo, la “Latina” - da cui prende il nome il quartiere di Madrid -, soprannominata in tal modo per la sua profonda conoscenza del greco e del latino. Era precettrice sia della Regina sia dei suoi figli. Una donna di cultura e fedeltà senza eguali, che aggiunse le sue virtù alla brillante corte che Isabella la Cattolica seppe radunare intorno a lei.




Beatriz de Galindo, la “Latina”

Il regno di Isabella e Ferdinando dovette affrontare grandi sfide: mettere pace in territori devastati dall’incuria e dalla debolezza dei precedenti re, per alleviare gli abusi dei nobili fuori controllo, per far fronte alla minaccia dei Giudei e dei mori; stabilire alleanze con Monarchi europei che, per quanto cristiani, non erano affatto degni di fiducia e manipolavano la scoperta del Nuovo Mondo. E mentre tutto questo accadeva a livello politico, Isabella metteva al mondo dei figli: cinque in tutto. Cavalcò per giorni, anche in stato di gravidanza, per amministrare la giustizia in una o in un’altra città, mantenendo una corte itinerante, sacrificando la propria comodità e sicurezza. La sua presenza era richiesta in tutto il territorio poiché la sua permanenza era una fonte di ricchezza, in tutti i sensi, per le popolazioni che l’accoglievano.
E’ un esempio di donna, madre, moglie e governante, che tutti, specialmente noi, dovremmo tenere continuamente presente.

«La regina Isabella era una devota cristiana.
In ciascuna delle situazioni critiche in cui si venne a trovare pose umilmente le sue difficoltà ai piedi di Dio; ma, dopo essersi appellata a Lui con piena fiducia, faceva la sua parte con un’energia senza uguali nella storia.
La sua attitudine non aveva alcunché del quietismo proprio del fatalismo orientale.
Credeva che la volontà umana, sottomessa a Dio, fosse il fattore più importante dell’esistenza
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Cattedrale di Granada - Statua lignea di Isabella la Cattolica in preghiera






dicembre 2017
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