Festina tempus

di Elia

Pubblicato sul sito dell'Autore: La Scure di Elia

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Excita furorem, et effunde iram. Tolle adversarium, et afflige inimicum. Festina tempus, et memento finis, ut enarrent mirabilia tua
(Sir 36, 8-10).




Ecco un’altra preghiera da ripetere spesso; il buon Dio capisce il latino. «Eccita il (tuo) furore ed effondi la (tua) ira. Togli di mezzo l’avversario e punisci il nemico. Affretta il tempo e ricordati della fine, perché (i fedeli) narrino le tue meraviglie».
Non è cristiano pregare così? E chi l’ha stabilito? Quelli che hanno purgato perfino la Sacra Scrittura, togliendo queste parole dall’Ufficio divino? Quelli che si sono inventati un nuovo culto conforme alle loro idee eterodosse e velleità puerili, rigettando al contempo quello trasmessoci in continuità fin dall’epoca apostolica?
Lutero e gli altri sedicenti “riformatori”, in fin dei conti, han fatto esattamente la stessa cosa: hanno espunto dalla Bibbia i testi scomodi alle loro opinioni eretiche e fabbricato ex novo riti e preghiere corrispondenti. E mano male che l’uomo – a dir loro – non ha alcun ruolo nella propria salvazione né deve averlo: sarebbe un errore tipicamente papista, una volgare bestemmia che oscurerebbe il primato di Dio…

Ci vuol poco a comprendere che non siamo noi a giudicare la Parola divina, ma è quella che giudica noi. Tutti i libri accolti nel canone della Scrittura sono interamente ispirati dallo Spirito Santo, hanno cioè per autore principale Dio stesso, che si è servito di autori umani perché scrivessero tutto e soltanto ciò che voleva Lui. Certamente non li ha usati come strumenti inerti: la Bibbia non è stata dettata (come i musulmani pretendono per il Corano), ma, per quanto la sua composizione – soprattutto per l’Antico Testamento – sia stata complessa e risenta delle culture antiche, ogni sua parola è sacra perché proveniente dal Verbo, che dopo essersi espresso in parole umane per mezzo di Mosè e dei profeti, ha assunto la nostra natura per poterci parlare a faccia a faccia con la Sua stessa bocca. Ciò che dell’antica alleanza risulta caduco o transitorio va letto alla luce della piena rivelazione avvenuta in Cristo.

Se poi un testo è entrato nella preghiera pubblica della Chiesa, ciò è segno inequivocabile del fatto che la Chiesa non solo ne accetta la validità permanente, ma vi riconosce la voce del suo Sposo che intercede per essa e parla al Padre a nome del Suo Corpo mistico.
Vorrebbero correggere anche il Suo pregare, ritenendosi migliori di Lui?
Pare proprio di sì, visto come si stanno affannando a modificare le traduzioni del Pater e di altri testi biblici. Naturalmente vi assicureranno che stanno unicamente cercando di adeguare il linguaggio alla mentalità contemporanea. Il fatto è che tutti questi “adattamenti”, in realtà, dopo aver protestantizzato buona parte dei cattolici, ora proseguono verso la piena trasformazione della fede cristiana in gnosi panteista: quel “dio” con cui ognuno si identifica non può esprimersi in modo così fastidioso per la sua sensibilità…

Molti chierici, oggi, sembrano voler apparire più misericordiosi del Signore. Forse non hanno compreso che l’ira e il furore di cui parla la Scrittura non vanno assimilati a quelli di noi peccatori, ma esprimono la giustizia e, al contempo, la misericordia di Colui che è infinitamente santo, buono ed equanime: egli punisce necessariamente i peccati, ma corregge parimenti chi li commette, per il suo ravvedimento e la sua salvezza.
I nemici della Chiesa, poi, devono necessariamente essere neutralizzati, per il bene dei fedeli, ma pure come opportunità di conversione per loro. Gesù stesso ha promesso che il tempo di prova sarebbe stato abbreviato dalle preghiere degli eletti, altrimenti nessuno si salverebbe (cf. Mt 24, 22). Vedete come il Nuovo Testamento illumina l’Antico e rende pienamente comprensibile anche ciò che, di primo acchito, ci mette a disagio?

La tragedia dell’età moderna e contemporanea è cominciata con Lutero e con il suo libero esame. L’uomo ha preteso così di appropriarsi della Parola di Dio e di riformularne le esigenze in base ai suoi bisogni soggettivi di peccatore impenitente e refrattario alla grazia (ciò che, storicamente, fu il cattivo frate che poi si dannò). Quando, nella Chiesa Cattolica, si è smesso di giudicare il ribelle per quello che realmente è stato, i germi pestiferi del suo “pensiero” sono penetrati al suo interno e vi hanno proliferato, finché un “papa” non è arrivato al punto, non dico di riabilitarlo, ma praticamente di canonizzarlo. L’interesse della manovra è più che evidente: bisogna spezzare la continuità del Magistero e cancellare l’idea stessa che ci siano giudizi irreformabili della Chiesa in materia di fede e di morale. Tutto si può modificare: riti, prassi, dottrine… Bisognava che l’eretico per antonomasia diventasse profeta perché si potesse portare a termine la rivoluzione.

Così ormai non esistono più norme morali universalmente vincolanti; la loro applicazione varia a seconda dei casi e delle situazioni, che vanno fatte oggetto di discernimento; gli individui possono anche non essere responsabili della condizione irregolare in cui si sono liberamente posti. È vero, purtroppo, che ci sono storie molto dolorose e vicende talvolta insolubili a sguardo umano; ma la ragione ci mostra che gli assunti appena menzionati sono semplicemente assurdi, mentre la fede ci insegna che i Comandamenti non obbligano perché uno comprende il valore di cui sono portatori, bensì perché sono stati dati da Dio, al quale si deve semplicemente obbedire sotto la guida della Chiesa. Che un “libero pensatore”, nei suoi aberranti vaneggiamenti, rifiuti questi princìpi non fa alcuna meraviglia, sebbene sia una grave offesa al Creatore; ma che lo faccia un cattolico – o addirittura un Pastore – è uno scandalo accecante.

Alla fine l’uomo non è in grado, nemmeno nel regime della grazia, di osservare la legge morale, che diventa un ideale da raggiungere; la vita cristiana non mira più alla santificazione, ma ad una fallace autogiustificazione; la Chiesa si trasforma in un ospedale in cui, anziché curare i malati, li si “aiuta a morire”… ma della morte eterna.
Questo è l’effetto della “medicina” offerta dal pastore insensato profetizzato da Zaccaria, «che non avrà cura delle pecore che si  perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate» (Zc 11, 16). Ora sono giunti a pubblicare nell’organo ufficiale della Santa Sede, gli Acta Apostolicae Sedis, un insegnamento eretico da lui approvato: la nota pastorale dei vescovi della sua regione di origine (con la relativa lettera papale di conferma) che ammette alla comunione eucaristica persone in stato di peccato grave manifesto e continuato. Secondo il rescritto pontificio firmato dal cardinal Parolin, si tratterebbe di magistero autentico, che non è infallibile, ma esige il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà. Per inciso: qual è la competenza del Segretario di Stato in materia di dottrina?

Per il nostro religioso ossequio, comunque, possono star freschi. Possiamo anzi affermare, a questo punto, che siamo di fronte alla formalizzazione di un’eresia già pubblicamente denunciata da più parti, quindi non più implicita o nascosta; eresia che, seppure indirettamente, nega l’indissolubilità del matrimonio e costituisce altresì un principio con cui si può annullare qualsiasi norma morale e, di conseguenza, l’intera dottrina cattolica.
Il capovolgimento totale rispetto al Magistero precedente non può essere più evidente; di fatto lo era già prima, ma ora è stato ufficializzato a tutti gli effetti. La pubblicazione di un testo applicativo sugli Acta Apostolicae Sedis ha valore di promulgazione legislativa per tutta la Chiesa Cattolica: in altre parole, il documento dei vescovi argentini acquista valore di legge universale.
Tuttavia una legge meramente ecclesiastica che contraddica palesemente la Sacra Scrittura e la Tradizione è di per se stessa nulla e, quindi, non obbliga nessuno. D’altra parte, è lecito rifiutare l’assenso anche all’insegnamento erroneo su cui essa si fonda, il quale rende colpevole di eresia chi la promulga (eresia che non può più essere dissimulata proprio a motivo di questo carattere di ufficialità).

Evidentemente il Signore ascolta le preghiere, accorciando i tempi della risoluzione del dramma.
Il precipitare della situazione risponde in realtà a scadenze ben ponderate da parte dei rivoluzionari, che credono di poter gabbare tutti con la tecnica della “rana bollita”, ovvero con la strategia dei “piccoli passi” o dei “processi” da mettere in moto… Ma i cattolici fedeli non si lasciano certo incantare da queste ridicole manfrine e devono ormai tenersi pronti a dichiarare decaduto l’eretico.
Secondo san Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa, in questo caso non c’è alcun bisogno di un procedimento di deposizione dall’ufficio (del resto impossibile, non essendoci sulla terra un’autorità superiore): basta che il papa si trovi di fatto in eresia perché decada ipso facto dalla sua carica, in quanto cessa di essere membro della Chiesa visibile. Ora, oltretutto, l’eresia – pur essendo già notoria – si è resa ufficialmente manifesta e abbiamo quindi il diritto di dichiararla, reclamando contestualmente l’allontanamento dell’usurpatore.

Excita furorem, et effunde iram.
Tolle adversarium, et afflige inimicum.
Festina tempus, et memento finis,
ut enarrent mirabilia tua

(Sir 36, 8-10).




San Roberto Bellarmino





dicembre 2017
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