SCACCO IN TRE MOSSE

Shoah, Concilio, Williamson: scacco in tre mosse


di Francesco Lamendola

25 dicembre 2017


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia

i neretti sono nell'originale








Per capire quel che sta succedendo oggi nella Chiesa cattolica, la sua deriva modernista, la sua smania di auto-rottamazione a tutti i livelli, cominciando da quello dottrinale, non è possibile limitarsi a considerare gli avvenimenti in questione come una faccenda che coinvolge solo il mondo cattolico e la fede cattolica. C’è un filo rosso che unisce la fase attuale, nella quale il (falso) papa Bergoglio sta letteralmente facendo a pezzi quel che resta della Sposa di Cristo, validamente aiutato dai suoi giannizzeri apostatici e infedeli, i Paglia, i Galantino, i Sosa, eccetera, alle precedenti strategie di smantellamento della fede cattolica, iniziate sotto il pontificato di Roncalli e proseguite in un crescendo costante, anche se relativamente meno appariscente rispetto ai fatti dei quali siamo testimoni ora, praticamente tutti i giorni.

La linea di continuità con la crisi interna della Chiesa è riconoscibile nelle tendenze moderniste che, vigorosamente combattute (ma non stroncate del tutto) da san Pio X, sono riemerse, quando le circostanze si sono presentate favorevoli, a partire dal 1958, cioè dopo la morte di Pio XII, l’ultimo grande e vero papa nella storia della Chiesa cattolica.
Ma il modernismo oggi trionfante nella Chiesa non è, semplicemente, il modernismo dei primi del 1900, quello di Tyrrell, Loisy, Buonaiuti, eccetera, e sia pure rivisto e corretto in versione più consona ai tempi, cioè con meno Darwin e più Freud, meno Renan e più Kasper. No: c’è un elemento nuovo, che si è innestato su quello vecchio e che conferisce al neomodernismo attuale la sua valenza più caratteristica; e questo elemento nuovo non è di origine interna, ma esterna alla Chiesa. In breve, si tratta del giudaismo talmudico.

Checché ne pensino i fautori del dialogo-inter-religioso, i padri conciliari che hanno redatto la Nostra aetate, nella quale si sostiene che l’antica alleanza è sempre valida, e il papa Wojtyla, il quale volle rendere loro l‘omaggio solenne di chiamarli “i nostri fratelli maggiori”, la verità è che il giudaismo – non tutto, ma la sua fazione più agguerrita e combattiva - ha sempre disprezzato Cristo e i cristiani e ha sempre considerato come parte essenziale del suo programma l’obiettivo di “addomesticare” la Chiesa cattolica, di piegarla alla sua strategia e di svuotarla, dall’interno, di ciò che le è essenziale e che costituisce la sua forza, sul piano naturale e soprattutto su quello soprannaturale: la divinità di Gesù Cristo.
Una volta tolto questo elemento, esplicitamente o anche solo implicitamente, il cattolicesimo si riduce a un guscio vuoto, a una forma senza più sostanza, e, se si è abbastanza abili da condurre milioni e milioni di cattolici fino a questo punto, senza che essi se ne rendano pienamente conto, allora è possibile manipolarli al cento per cento, su qualsiasi terreno, come ora, difatti, sta accadendo, quando si fa loro credere che essere contrari all’invasione dell’Italia da parte di milioni di musulmani equivale a non essere dei buoni cattolici.

Ci eravamo sempre domandati che cosa si celi dietro l’incredibile accanimento che si è esercitato, con l’attivo dispiegamento dell’intero establishment mediatico mondiale, contro monsignor Richard Williamson, prima all’interno della Chiesa cattolica, poi perfino all’interno della Fraternità Sacerdotale San Pio X, dalla quale è stato espulso il 4 ottobre 2012, per poi fondare, due anni dopo, l’Unione Sacerdotale Marcel Lefebvre. Un indizio lo avevamo avuto considerando la famosa intervista a monsignor Williamson della televisione svedese, in cui si parlava anche della Shoah, che era stata registrata il 1° novembre 2008 ma che venne mandata in onda solo il 21 gennaio 2009. Come mai con quasi tre mesi di ritardo, una “chicca” del genere?
Le cose furono chiare quando apparve che non si era trattato affatto di un ritardo, ma di un meccanismo a orologeria, fatto brillare con perfetto tempismo: proprio il 21 gennaio 2009, dietro richiesta del vescovo lefebvriano Bernard Fellay, era stata annunciata la remissione della scomunica fulminata a suo tempo contro i vescovi lefebviani, Williamson compreso (cfr. il nostro precedente articolo: Il “caso Williamson” fu un complotto per screditare Benedetto XVI, pubblicato su Il Corriere delle Regioni e subito dopo sul sito di Arianna Editrice, il 29/07/2015).

Dunque, esistevano delle forze così potenti da disporre del concorso di tutto l’apparato dell’informazione mondiale e da poter dettare legge anche a qualunque Stato sovrano: come si vide allorché, proprio in conseguenza di quello scandalo, la presidentessa dell’Argentina, Cristina Kirchner, dichiarava “disgustose” le affermazioni negazioniste di monsignor Williamson, che allora era direttore del seminario di La Reja (ma che ne veniva cacciato il 9 febbraio), e gli dava dieci giorni di tempo, a partire dal 19 febbraio 2009, per lasciare il Paese. E quali fossero quelle forze lo si vide, ancora più chiaramente, allorché il tribunale di Ratisbona aprì un procedimento penale contro di lui, sempre a causa delle sue presunte dichiarazioni antisemite, che si concluse con la condanna al pagamento di una multa di 2.000 euro, il 16 aprile 2010, cui seguiva una condanna, l’11 luglio, per “incitamento all’odio razziale”; sentenza poi ribaltata dalla Corte d’appello di Norimberga, il 22 febbraio 2012, che annullava la sentenza del tribunale regionale di Ratisbona e condannava lo Stato della Baviera a pagare le spese processuali.
Ma i “cattolici” di Ratisbona hanno mal digerito questa assoluzione, visto che la curia vescovile ha emesso un comunicato – non troppo misericordioso, ci sembra, secondo i parametri della neochiesa - in cui affermava che i luoghi di culto della diocesi erano interdetti a monsignor Williamson, a causa delle sue posizioni negazioniste. Il vescovo in questione era quel Gerhard Ludwig Müller, del quale si è tanto parlato ultimamente, dopo il suo siluramento dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, mettendolo in relazione col fatto che egli aveva auspicato, a suo tempo, una risposta del papa ai dubia dei quattro cardinali, a proposito del capitolo ottavo di Amoris laetitia.

Ci chiedevamo come mai tanto accanimento, da parte di tutti, contro un singolo vescovo, per giunta già estromesso dalla Chiesa cattolica, nonché sospeso a divinis, e poi espulso anche dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Senza dubbio monsignor Wiliamson è una testa di prim’ordine e un uomo fiero, un pastore indomito: chi ha ascoltato le sue lezioni e le sue conferenze, anche solo tramite Youtube, ha potuto farsene un’idea. E nondimeno, è mai possibile che questa intelligenza brillante e anticonformista, e questa rettitudine pastorale, siano state, di per sé, sufficienti ad attirare contro un singolo individuo una persecuzione così tenace e così universale?
In fondo, sono relativamente pochi coloro i quali si son dati la pena di leggere o ascoltare quel che egli ha da dire; e, se è divenuto un personaggio di notorietà internazionale, ciò lo si deve soprattutto alla persecuzione stessa, che lo ha dipinto nei termini peggiori possibili, come un incorreggibile antisemita e, forse, un simpatizzante del regime hitleriano. Senza dubbio, egli era stato scelto per colpire qualcun altro o qualcos’altro, più in alto di lui; ma chi, o cosa?
La Fraternità ßacerdotale San Pio X, che, infatti, si era affrettata a espellerlo, ufficialmente per motivi “disciplinari”, ma in realtà per dar soddisfazione a Israele e alla potentissima lobby ebraica statunitense? Ma, se così era stato, Bernard Fellay aveva parato il colpo, sia pure con una buona dose di cinismo, cacciando Williamson, appunto, il 4 ottobre 2012, per mancata obbedienza ai suoi superiori.
L’altro possibile obiettivo, il papa Ratzinger, si era cavato d’impaccio con una strategia simile, anche se, ovviamente,  non aveva potuto rinnovare la scomunica appena revocata. In compenso, e sotto il formidabile pressing della cancelliera Angela Merkel, il 18 febbraio 2009 il cardinale Camillo Ruini, vicario emerito del papa per la diocesi di Roma, aveva dichiarato, in un’intervista al Tg1 (perché vescovi, cardinali e papi, ormai, sogliono dire quel che hanno da dire nelle interviste ai giornali e alle televisioni e non nelle sedi appropriate della Chiesa docente) che chi nega la Shoah non può essere un vescovo cattolico. E proprio quest’ultimo fatto ci ha dato un ulteriore, prezioso indizio per scogliere i nostri interrogativi.
L’ultimo passo è stato la lettura di una articolo di don Curzio Nitoglia, consultabile sul sito Inter multiplices una vox, intitolato: Il legame inscindibile tra la Shoah e il Vaticano II. Dal “caso Williamson” (2009) all’accordo olocaustico/modernista (2017). In esso si traccia la linea ideale che congiunge la Shoah – non la Shoah in se stessa, naturalmente, ma il suo sfruttamento in termini politici e ideologici da parte della lobby ebraica mondiale -, il processo di Norimberga (1945-46) e la fondazione dello Stato d’Israele, presto riconosciuto dall’ONU (1948-49), il Concilio Vaticano II (1962-65), soprattutto con la dichiarazione Nostra aetate, del 28 ottobre 1965, che afferma esser sempre valida la prima alleanza di Dio con il popolo ebreo, quindi la non unicità della salvezza cristiana e la non indispensabilità della redenzione di Gesù Cristo; e, infine, l’accordo sottoscritto il 17 gennaio 2017 da monsignor Fellay e dal (falso) papa Bergoglio, a Roma, presso la casa Santa Marta, nel quale i lefebvriani, dopo aver espulso Williamson per le sue posizioni sul giudaismo, che sono quelle della Chiesa pre-conciliare, accettano definitivamente di riconoscere come pienamente legittimo e operativo il Concilio Vaticano II, in tutte le sue deliberazioni, quindi anche per ciò che riguarda la Nostra aetate.

Le cose, a questo punto, cominciano a divenir chiare. La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto che la redenzione di Cristo è il tramite necessario e indispensabile per la salvezza, dunque che non esiste altra verità e altra salvezza al di fuori di quelle recate da Gesù Cristo. Nel Catechismo di San Pio X si insegnava, come si è continuato ad insegnare fino al Concilio Vaticano II, che i giudei, avendo rifiutato Gesù Cristo, si sono posti, da se stessi, al di fuori della Comunione dei Santi, cioè al di fuori della Chiesa, e, pertanto, al di fuori della salvezza. Ebbene, erano proprio queste le posizioni da cui si voleva smuovere la Chiesa cattolica, mediante il Concilio, facendo perno sul trauma della Shoah e dando ad intendere che la Chiesa cattolica era, in qualche misura, corresponsabile del genocidio, avendo praticato troppo a lungo una forma di antigiudaismo che ha offerto poi, ai nazisti, il terreno favorevole per la loro “soluzione finale”. Anche la pretestuosa, e velenosa, campagna sui cosiddetti “silenzi” di Pio XII parte da qui: dalla volontà di esercitare un ricatto morale sulla Chiesa cattolica, in modo da costringerla ad erogare un congruo risarcimento nei confronti del giudaismo. E il risarcimento è arrivato, sotto forma di una esplicita affermazione che la prima alleanza di Dio con il popolo d’Israele è sempre valida: il che, ovviamente, vanifica il significato della Redenzione universale operata da Gesù Cristo.

I cattolici, però, o la gran maggioranza di essi, non se ne sono accorti; così come non hanno afferrato la portata devastante della definizione di Wojtyla degli ebrei come dei “nostri fratelli maggiori”. Ora, se sono i fratelli maggiori, ciò significa che sono radicati nella verità di Dio, meglio e più dei cattolici. Ma ciò è falso: equivale a togliere al cristianesimo tutto il suo fondamento, tutto il suo valore. Se la prima alleanza è ancora valida; se non è stata sostituita dalla seconda, quella rappresentata dalla Croce di Gesù Cristo, allora tanto vale farsi ebrei, anziché cristiani, per accedere alla verità e conseguire la salvezza eterna. Ma allora, che cosa è venuto a fare sulla terra Gesù Cristo? E perché ha sofferto, perché è morto, perché è risorto? Poteva risparmiarsi la fatica… Ma cosa c’entra la Shaoh con il giudaismo?

Si ricordi la dichiarazione del cardinale Ruini: uno che neghi la Shoah non può essere un vescovo cattolico. Dunque, per avere il “diritto” di essere cattolici, non si deve accettare il Credo di Nicea, ma si deve accettare il fatto storico (peraltro controverso in molti suoi aspetti, a cominciare dai numeri) della Shoah, che col cristianesimo non c’entra nulla. È strano, è inquietante. Ma la cosa diventa più chiara se si tiene presente che, per il giudaismo talmudico, la Shoah non è semplicemente un fatto storico, ma un fatto teologico; come ha dichiarato il direttore dell’Anti Defamation League of B’nai B’rith, Abraham B. Foxman: L’Olocausto non è semplicemente un esempio di genocidio, ma un attacco quasi riuscito alla vita dei figli eletti di Dio, e perciò a Dio stesso.

Ecco dunque, perché non si può “negare”, ossia ridurre la portata dell’Olocausto, sia nei numeri che nella sua pretesa di assoluta unicità; ed ecco perché non è lecito chiamarlo “genocidio”, che è un termine puramente storico, ma si deve chiamarlo con il termine teologico di “Olocausto”: perché esso corrisponde alla nuova religione che si vuole imporre a livello mondiale e alla quale tutte le altre religioni, evidentemente false, o comunque subordinate, devono inchinarsi volontariamente, a cominciare da quella cattolica. Ed ecco perché tanto accanimento contro un uomo come monsignor Williamson: perché, avendo compreso quale sia il gioco, e quale la reale posta in gioco, la sua resistenza deve essere piegata ad ogni costo, e la sua vicenda deve essere trasformata in un monito permanente.
Si tenga presente che le sue disavventure con le lobby ebraiche incominciano molto, ma molto prima del famoso “incidente” del febbraio 2009: la polizia canadese svolse una inchiesta su di lui fin dal 1989, a causa di una conferenza tenuta a Sherbrooke, nel Québec, con l’ipotesi di reato di negazionismo, poi archiviata. Ad ogni modo, gli obiettivi del giudaismo talmudico sono stati in gran parte raggiunti: costringendo Benedetto XVI, con una serie di dichiarazioni, ad accettare l’Olocausto come la premessa per potersi dire cattolici, di fatto si è chiuso il cerchio aperto nel 1965 con la Nostra aetate: i “fratelli maggiori” sono divenuti i tutori insindacabili della Chiesa di Cristo...





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