Anno nuovo… musica vecchia

di Belvecchio




Inizia un nuovo anno, il sole riprende il suo giro intorno alla terra e porterà ancora luce e calore a questo povero pianeta freddo e senza sole.
Non sembri un errore astronomico vecchio di diversi secoli, il nostro, perché è la verità più vera e più rispondente al fatto che Dio ha voluto l’uomo al centro dell’Universo, quale riflesso terreno del vero centro: Nostro Signore Gesù Cristo, Dio stesso.
E’ per questo che l’uomo non ha alcun’altra possibilità, per essere se stesso, che rimanere vincolato e dipendente da Nostro Signore, senza di che egli rimane un semplice flatus vocis.

In questa ottica, sarebbe bello iniziare il nuovo anno con qualche novità “umana” che ricordasse questa vera essenza dell’uomo: l’adorazione del suo Creatore e la sottomissione a Lui, che è Via, Verità e Vita.
Quanti di noi avranno cantato il Te Deum di ringraziamento al nostro Dio: Sanctus, Sanctus, Sanctus 
Dóminus Deus Sábaoth! Ma non basta, è necessario rinnovare la volontà perché in questo nuovo anno ognuno di noi cerchi di vivere concretamente: Per síngulos dies benedícimus Te; 
et laudámus nomen tuum in sæculum, 
et in sæculum sæculi.

Eppure l’uomo non smette di dare credito ai suoi limiti e alle sue deficienze, e anche gli uomini Chiesa si rivelano essere più “uomini” che “di Chiesa”.
L’ultimo documento pubblicato da tre vescovi del Kazakistan ne è la conferma.

Mons. Peta, Mons. Schneider e Mons. Lenga, tuttti e tre di un angolo periferico dell’ecumene cristiano, hanno voluto ribadire la loro fedeltà all’insegnamento millenario della Chiesa, e hanno fatto bene a farlo, e a loro non può andare che il plauso e l’incoraggiamento di ogni vero cattolico.
Ma ogni vero cattolico sente anche il dovere di ricordare alcune cose, in questo inizio anno, relative proprio alla fedeltà all’insegnamento della Chiesa, che è l’insegnamento degli Apostoli e quindi di Cristo stesso.

Nessuno si faccia saltare al naso la mosca dello zelo eccessivo, non di questo si tratta, ma di ricordare che nove non sarà mai la somma di sette e sette, nonostante oggi vada tanto di moda il soggettivismo anche in aritmetica.
I tre vescovi dicono bene, ma il loro documento è pieno zeppo di richiami al Vaticano II e ai papi conciliari, cioè ai papi che hanno difeso il Vaticano II e ne hanno promosso gli elogi e l’applicazione.

Un giorno, parlando con un teologo, questi ci faceva notare che difendere la vera dottrina richiamandosi al Vaticano II è cosa molto efficace, tatticamente, poiché mette in difficoltà i novatori che hanno voluto e vogliono una Chiesa “nuova”, “aggiornata”, “rinnovata”.
Consiglio opportuno e strumentalmente di un certo effetto, ma che contiene un grosso difetto d’origine: conferisce al Vaticano II un’autorità che non ha e fa di esso il contrario di ciò che è: causa prima e ufficiale della sovversione “novatrice“ nella Chiesa.
Non si può difendere la vera dottrina appellandosi alla non dottrina del Vaticano II, né appellandosi ai papi che hanno applicato questa non dottrina spacciandola per dottrina della Chiesa.
E’ pur vero che, qua e là, Vaticano II e papi hanno ripetuto il vero insegnamento della Chiesa, ma questo è stato fatto nonostante essi stessi, e soprattutto è stato fatto per mischiare insieme, più o meno coscientemente, il vero col falso; così che il risultato può solo essere ed è un nuovo errore.

Il documento che abbiamo ricordato respinge gli insegnamenti di Papa Francesco sul matrimonio, eppure anche Papa Francesco si appella al Vaticano II, com’è possibile dunque che i vescovi firmatari siano nel vero, mentre Papa Francesco è nell’errore?
E’ possibile perché il Vaticano II non è fonte di dottrina, ma è fonte di confusione e di errore. Ma questo i vescovi non lo dicono, anzi affermano il contrario. Ne deriva che il loro documento, corretto per molti versi, finisce con l’essere pericoloso e fuorviante, come è accaduto per tutti i documenti critici che sono sorti in questi ultimi due anni sulle affermazioni di Amoris laetita.
E’ vano denunciare a questo modo gli errori, e perfino le eresie, di certi documenti papali, poiché la denuncia verte sugli effetti e non sulle cause: se non si denuncia la causa prima degli errori e delle eresie, il Vaticano II, ogni denuncia collaterale, sia pure corretta, risulta vana e finisce per confermare la madre di tutti gli errori, come fosse ortodossa.

Sono passati più di cinquant’anni dal Vaticano II e ancora non si riesce a comprendere, da parte di molti uomini di Chiesa, che se non ci si decide a chiamare questo Concilio col suo vero nome: madre degli errori, non solo non si potranno combattere gli errori stessi, ma si continuerà ad alimentare un equivoco che ne produrrà dei nuovi.
Il dilemma irrisolto è costituito dalla mancanza di volontà della necessaria denuncia del Vaticano II.
Ci rendiamo conto che è difficile chiedere a dei vescovi di buttare a mare, per così dire, un concilio della Chiesa, ma la manchevolezza non è nostra, che lo chiederemmo, la manchevolezza è di chi non si vuole arrendere all’evidenza che, dopo più di cinquant’anni, o si butta a mare il Vaticano II o si finisce con l’accettare la mutazione della dottrina della Chiesa; il che sarebbe come dire: buttare a mare duemila anni di insegnamento ortodosso.

Bisogna scegliere, e scegliere in base alla verità oggettiva, perché ogni distinguo teologico e ogni accorgimento più o meno correttivo, determinano l’effetto di confermare l’equivoco dottrinale voluto dai vescovi conciliari.
Chi si illudesse di poter distinguere nel Vaticano II gli errori dalle verità, si infilerebbe in un vicolo cieco, senza sbocco nella verità oggettiva e stracolmo dei fumi accecanti dell’errore… non sono gli errori che sono presenti nel Vaticano II, ma è il Vaticano II che è nato dall’errore, ha prodotto gli errori e continua e continuerà a generare sempre nuovi errori.
Prendere atto di questa evidenza è presupposto indispensabile per procedere alla denuncia degli errori attuali.

Ora, la detta reticenza di molti prelati, non solo deve fare i conti con gli errori prodotti sulla base del Vaticano II e del suo “spirito”, come lo si chiama, ma deve affrontare lo sbocco ultimo di tali errori.
Papa Francesco ha fatto pubblicare sugli Acta apostolicae sedis, come documento del “Magistero autentico”, l’interpretazione eterodossa dei vescovi argentini sul cap. 8 di Amoris laetitia, facendo così diventare tale interpretazione, se possibile, ortodossa.
E’ stata una mossa “astuta”? E’ stato un tentativo di porre i fedeli di fronte al fatto compiuto? E’ stato un atto deliberato che intende sostituire la nuova dottrina eretica sul matrimonio alla vecchia dottrina ortodossa?
E’ stato…? E’ stato…? Comunque sia: … è; ed essendo un punto fermo non c’è dubbio che il dilemma è drastico: o si accetta come ortodossa l’eresia, o si respinge con sdegno il gesto e il Papa che l’ha fatto. Non ci sono alternative.

Ma il Papa può sbagliare? Non solo può sbagliare, ma sbaglia… e non è il primo. E quando il Papa sbaglia chi può correggerlo? Nessuno! Eppure c’è qualcosa che permette la correzione del Papa che sbaglia, e questo qualcosa è il senso della Fede e il senso della Chiesa che sono presenti in ogni fedele e che sono alimentati dalla Tradizione e basati sull’intelligenza di cui Dio ha dotato ognuno di noi per capire.
Ora, se il senso della Fede e della Chiesa dicono al fedele che il Papa lì sbaglia, essi dicono anche al fedele che non si deve seguire un papa che sbaglia, né tanto meno il suo errore.
Ma così non si scade nel giudizio soggettivo? E’ possibile. Ma se il fedele è posto di fronte al dilemma di seguire l’errore oggettivo o respingerlo soggettivamente, noi crediamo che ci sia poco da scegliere: occorre respingere l’errore e assumersi l’onere del giudizio. L’alternativa sarebbe sospendere il giudizio ed abbracciare l’errore. E siccome noi poveri fedeli non siamo in questa Chiesa per abbracciare l’errore, ma per combatterlo, non solo dobbiamo respingere l’insegnamento errato del Papa, ma dobbiamo denunciarlo, perché i nostri fratelli siano avvertiti e si tengano lontani dall’errore e dall’errante.

Questa situazione per tanti versi scomposta, è un esempio tipico del fatto che viviamo in tempi di confusione e di crescente oscurità: e in tempi come questi non valgono più le norme e le direttive buone per i tempi normali.

Abbiamo letto ultimamente che “dobbiamo evitare ogni inutile polemica, insulto o mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità”, appello che ha una sua giustificazione, ma si presenta come un bel pensiero in un mare di cattive azioni. Oggi non si tratta di essere rispettosi o di evitare gli insulti, si tratta di chiamare pane il pane e vino il vino, e di fronte all’errore, peraltro reiterato e ammantato di autorità, l’indignazione e perfino il furore non sono eccessi o mancanze di rispetto, ma sono reazioni sacrosante e doverose, e se esse hanno per oggetto l’agire e il parlare dei vescovi o dei papi, sono doppiamente doverose e massimamente sacrosante. Non solo, ma dato che il primo rispetto va alla Verità, l’indignazione e il furore “sacrosanti”, devono essere espressi a voce alta, a testa alta e a cuore aperto, perché tutti sentano, vedano e si salvaguardino.
Se, di fronte all’errore, un fedele cattolico ha timore di apparire polemico o insultante, allora sì che, mancando di rispetto alla Verità, mancherà di rispetto all’autorità e alla Chiesa tutta.

Basta scegliere!



gennaio 2018
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