1968 - 2018 - Da una rivoluzione all’altra

di Don Philippe Bourrat, FSSPX

Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X: La Porte Latine






La «rivoluzione del 1968», come viene chiamata da cinquant’anni, rappresenta innanzi tutto il simbolo di una forte rottura sociale che ha aperto la strada ad una marcata rivendicazione individualista, si trattò di una rivolta storica pari alle rivoluzioni del 1789, del 1830 e del 1848.
Dai resti di un ordine borghese ancora nazionale, che si era impadronito del potere nel 1789, si passò ad una trasgressione adolescenziale improntata alla temerarietà, alla contestazione di ogni autorità e di ogni trascendenza, che diede l’illusione di aver raggiunto l’autonomia dell’età adulta, mentre invece si trattò generalmente dei capricci di bambini viziati. La «destrutturazione degli stereotipi», la «fine dei tabù» e le rivendicazioni dei diritti più singolari, che caratterizzarono lo spirito sessantottardo, rimandano alle origini marxiste, freudiane ed esistenzialiste degli ispiratori del movimento.

In quel famoso mese di maggio surriscaldato, si offrì ad una giovinezza piuttosto fortunata il lusso di giocare per un po’ in un mondo senza adulti. Lo Stato contestato pensava che bastasse che quella gioventù passasse e finisse con l’avere paura degli eccessi di determinati attivisti. L’Università screditata dovette adattare i suoi programmi all’avanzare di una generazione che voleva lauree e lavoro ... senza lavorare. La morale dei genitori venne gettata alle ortiche. La musica e il cinema importati dagli Stati Uniti fecero sognare una rivoluzione in jeans o minigonna, sullo sfondo del rock and roll.
In tale nuovo mondo artificiale, era vietato vietare. Il vento della licenza sessuale spazzò via la vecchia e rigida moralità di un’epoca passata. Gli uomini di Chiesa diedero l’esempio inventando una nuova dottrina al concilio Vaticano II, per essere più vicini alle aspettative della gente, senza timore di abbandonare la dottrina multisecolare di cui avevano la custodia.

Rousseau e Marc Sangnier ebbero finalmente ragione: l’uomo è «perfetto e solitario» (1), è re a se stesso, libero ed emancipato da ogni autorità che non venga da lui.
Utopia denunciata da San Pio X nella sua condanna del Sillon di Marc Sangnier del 1910:
«Il Sillon lo ha riconosciuto; infatti, poiché pretende, in nome della dignità umana, la triplice emancipazione politica, economica e intellettuale, la città futura per cui esso lavora non avrà più né padroni né servitori; i suoi cittadini saranno tutti liberi, tutti compagni, tutti re. Un ordine, un precetto, sarebbe un attentato alla libertà; la
subordinazione a una qualsiasi superiorità sarebbe una diminuzione dell’uomo, l’ubbidienza uno svilimento.» (2).

Cinquant’anni dopo, gli eredi del maggio 68 vogliono compiere il passo successivo, quello che i loro nonni non avevano nemmeno preteso di compiere nel trambusto primaverile dei loro vent’anni. Si tratta di realizzare una nuova umanità, creata interamente per l’uomo, senza autorità al di sopra di essa, nemmeno quella derivante dai vincoli della stessa natura umana.
Il progresso delle tecnologie permetterebbe questa «ultima trasgressione« (3).
I transumanisti, come si chiamano, investono dei miliardi per arrivare alla realizzazione di un uomo ibrido: di carne, ossa e microprocessori. Il cervello di un computer in un corpo accresciuto dai poteri digitali, scelti come si sceglie l’acquisto di una nuova automobile. Con l’idea di poter essere un giorno immortali.

Il 1789 segnò il capovolgimento di un ordine politico e sociale sottomesso all’autorità di Dio. Ne derivò la distruzione del nucleo primario della società, la famiglia, attuata col divorzio, la contraccezione e l’aborto, il figlio non più il fine del matrimonio. Quest’ultimo diventa un semplice contratto tra due esseri che trovano un interesse provvisorio a vivere insieme, e il figlio una mercanzia che si acquisterà secondo i più rigidi criteri genetici.
Con la rivoluzione transumanista è la stessa natura dell’uomo che viene travisata. L’uomo, per nascere e per vivere, sogna di non poter più dipendere da Dio, ma dall’intelligenza artificiale e dalle tecnologie umane. La sua vita sarà una perpetua ricerca del piacere, interrotta solo dalla morte.
Una società capovolta, una famiglia decomposta, un individuo rigenerato e artificiale: ecco il trittico di questa diffusa odierna rivoluzione contrassegnata inizialmente da quel maggio 1968.

E’ in questo contesto rivoluzionario che l’odierna gioventù cattolica deve vivere e trasmettere il fervore della fede. Oppure no.
Come scriveva all’inizio del XX secolo Paul Claudel a Jacques Rivière, che contribuì a convertire:
«Non prestare fede a chi ti dirà che la giovinezza è fatta per il divertimento: la giovinezza non è fatta per il piacere, ma per l’eroismo. E’ vero, ci vuole eroismo per un giovane uomo per resistere alle tentazioni che lo circondano, per credere da solo in una dottrina disprezzata, per osare di affrontare senza cedere di un pollice all’argomento, alla bestemmia, alla derisione di cui sono pieni i libri, le riviste e i giornali; per resistere alla sua famiglia e ai suoi amici, per essere solo contro tutti, per essere fedele contro tutti. Ma «abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (4). Non pensare di essere diminuito, al contrario, sarai magnificamente accresciuto. E questo in virtù dell’essere uomo. La castità ti renderà vigoroso, pronto, sveglio, penetrante, chiaro come il suono di una tromba e splendente come il sole del mattino. La vita ti apparirà piena di sapore e di serietà, il mondo pieno di significato e di bellezza.» [3 marzo 1907] (5).

Ora, per concretizzare questa bella esortazione di Claudel, c’è bisogno di una giovinezza audace e magnanima, rivestita della virtù della fortezza. Dell’audacia che si nutre della fede soprannaturale nella grazia di Dio per sollevare le montagne e vincere il peccato, prima di tutto in se stessi. Ci si potrebbe ispirare alla sequenza Lauda Sion, che si canta al Corpus Domini; una divisa che invita il giovane a lodare il Salvatore, non solo con i canti, ma con una vita santa:
«Lauda, Sion Salvatórem, … Quantum potes, tantum aude / quia maior omni laude, /
nec laudáre súfficis. [Loda, o Sion, il Salvatore … Quanto puoi, tanto ardisci / perché (Egli è) superiore ad ogni lode, / (tu) non basti a lodarlo.]

Con l’audacia, la magnanimità fa desiderare e compiere le più grandi opere virtuose. La magnanimità non è l’orgoglio, dal momento che sa che ciò che intraprende e i talenti che usa per servire Iddio gli vengono da Dio stesso.

Il programma descritto da Claudel può ancora entusiasmare i nipoti del maggio 1968?
Il coraggio e la lealtà degli adulti che li educheranno, la Speranza invincibile nel Mistero della Croce, la vita eucaristica e mariale sono le condizioni perenni di un ideale di vita cristiana per la giovinezza del XXI secolo.
Ai nostri giovani di cogliere la grazia e di lasciarsi trasformare dal Cristo resuscitato che li chiama.

NOTE

1 - J-J. Rousseau, Il Contratto sociale, Libro II, cap. 7

2 - San Pio X, Notre charge apostolique, 1910, § 22

3 - Dr Jean-Pierre Dickès, L'Ultime transgression, Editions de chiré, 2016 e La Fin de l'espèce humaine, Editions de Chiré, 2016.

4Gv. XVI, 33
5 - Jacques Rivière et Paul Claudel, Correspondance 1907-1914, Libraire Pion, 1926, Livre de vie, 1963, p.35-36




aprile 2018
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