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BERGOGLIO E PREGIUDIZIO
a colloquio con Mauro Mazza di Mario Bozzi Sentieri
a colloquio con Mauro Mazza Al “giro di boa” dei cinque anni, il pontificato di Jorge Mario Bergoglio offre l’occasione per compiere un bilancio di questa stagione della Chiesa, iniziata il 13 marzo 2013. Il dato di partenza, ben al di là di ogni tesi preconcetta, è l’ampiezza e la profondità del dissenso verso papa Francesco. Un utile strumento ci viene offerto dal recente libro di Mauro Mazza, Bergoglio e pregiudizio. Il racconto di un pontificato discusso (Edizioni Pagine, pagg. 210, Euro 18,00). Giornalista di valore e volto noto della Rai, dove ha occupato incarichi di responsabilità, Mazza riesce a districarsi nella grande massa di articoli, riflessioni e opinioni, dando vita a un pamphlet di taglio giornalistico che sintetizza i cinque anni di questo pontificato, invitando a ulteriori approfondimenti. Partiamo dalla recente ricorrenza del quinto anniversario dell’elezione di Bergoglio. Com’è stata vissuta? Credo che il clamoroso infortunio
mediatico sulla lettera “censurata” di papa Benedetto abbia imposto un
imbarazzato silenzio e impedito altre celebrazioni. Resta l’impressione
che dalla potente macchina della comunicazione vaticana, nelle mani di
monsignor Viganò, si volesse cogliere la ricorrenza per tacitare
o, comunque, colpire il vasto fronte critico. Le cose sono andare
diversamente. La verità è emersa dopo poche ore e a
essere tacitato e colpito è stato proprio quel maldestro
tentativo.
Bisogna dire che l’avvento di Francesco era stato celebrato con grandi aspettative dopo gli scandali, le polemiche e la rinuncia di Ratzinger… Bergoglio ha onorato le attese del suo predecessore e dei cardinali elettori riguardo al governo della Chiesa? Si sono viste le tanto attese riforme radicali che erano state promesse? Francesco fu scelto proprio nella
speranza che potesse superare, presto e bene, problemi e
difficoltà che avevano determinato la rinuncia di Ratzinger. Non
è stato così. Niente riforme, nessun problema risolto.
Piuttosto una litania di questioni e di contraddizioni, polemiche e
contestazioni determinate proprio dalle scelte e alle azioni del papa
argentino. Nel libro parlo di pensieri e parole, opere e omissioni.
Stop and go: a volere usare un’immagine poco teologica, l’impressione è quella di un pontificato caratterizzato da frenate e forti accelerazioni. Con quali tensioni all’interno della Chiesa? Quasi per paradosso, si potrebbe
dire che sarebbe stato meglio se Francesco avesse portato fino in fondo
le sue iniziative. Sarebbe stato forse più grave, ma almeno le
posizioni ora sarebbero chiare. Invece no. Si sono annunciate riforme
radicali, per poi ammettere – come nell’ultimo discorso prenatalizio
alla curia – che fare riforme è impossibile. Si sono provocati
allarmi e “dubia”, tensioni e suppliche, peraltro inascoltati, mentre
molti prelati vicinissimi a Bergoglio attaccavano con sprezzo
cardinali, vescovi e teologi firmatari dei documenti.
Da un certo punto di vista, tu parli però di un papa divisivo… Ma n’do sta la misericordia del papa, per dirla con l’autore del testo che accompagna i manifesti anti-Beroglio affissi a Roma? Non sono io che ne parlo.
L’immagine di una Chiesa divisa è sotto gli occhi di tutti. E
quella parola magica – misericordia – è servita spesso per
coprire epurazioni e rimozioni, emarginazioni e censure. Basti pensare
alla sorte toccata al cardinale americano Burke o alle
difficoltà del prefetto per il culto, l’africano Sarah, inviso e
sconfessato perché colpevole di difendere la liturgia da ogni
tentazione di “protestantizzare” la Messa, di stravolgere e annacquare
il senso dell’Eucarestia.
Inquietano, e il tuo libro ne fa conto, le commistioni editoriali tra certa sinistra estrema (nel senso contemporaneo del termine, quindi relativistica, amorale, individualistica) e Francesco. Da dove nascono queste sovrapposizioni? E quanto costano alla credibilità della Chiesa? È come se si cercasse
l’applauso del mondo. È come se la priorità fosse piacere
alla gente che piace… Il cardinale Müller, già prefetto
della Dottrina della fede dimissionato da papa Bergoglio, in una
intervista ha lamentato proprio l’eccessiva frequentazione/confidenza
con esponenti del pensiero laicista/libertino. Il riferimento a Eugenio
Scalfari era evidente, con l’aggravante che il fondatore di
“Repubblica” spesso ha attribuito al papa, tra virgolette, concetti e
pensieri a dir poco sconcertanti su Verità e Dio “non
cattolico”, sul diritto alla comunione per i divorziati e su altro
ancora.
In Bergoglio e pregiudizio fai conto di certe attenzioni/esperienze di Bergoglio verso la psicoanalisi freudiana, il protestantesimo, l’omosessualismo. Evidenziare e criticare queste prese di posizione è illecito e pone i contestatori al di fuori della Chiesa? Beh, questa è una delle
cose più stridenti. È come se, a porsi fuori dalla
Chiesa, fossero quanti difendono e riaffermano tradizione e magistero,
e non chi si avventura su sentieri ambigui e pericolosi. Come
l’esaltazione della psicoanalisi freudiana, che ribalta l’idea
cristiana del Creato; come la riabilitazione di Lutero “più
cattolico di molti cattolici”; come la legittimazione
dell’omosessualità, chiedendo al massimo ai gay di essere
monogami fedeli.
Un altro punto riguarda Bergoglio e il mondo tradizionalista: alle attese rispetto ad una possibile riconciliazione hanno risposto passi concreti? La situazione sembrava essere sul
punto di sbloccarsi, almeno riguardo a un’intesa con la
Fraternità nata con monsignor Lefebvre. Ma la vicenda dolorosa
dei Francescani dell’Immacolata e l’ostilità di molti vescovi
“bergogliani” ad ogni accordo hanno finora bloccato la situazione.
Misericordia è la parola magica del pontificato di Bergoglio. Si può dire che dietro questa parola c’è la rinuncia a denunciare l’errore, a contrastare l’egemonia del relativismo gnostico? È una parola
“passepartout”, che ha ispirato molte iniziative dell’attuale pontefice
e che, nelle intenzioni, dovrebbe motivare/giustificare ogni apertura
al dialogo con mondi distinti e distanti dal cattolicesimo. Il problema
è anche la rinuncia, magari solo apparente, al ruolo missionario
della Chiesa. Si dialoga con l’altro, ma senza l’ambizione o la
speranza di convertirlo. La misericordia diventa una forma di aiuto, di
soccorso a chi ha più bisogno, come la Caritas o la Croce rossa.
Ricordo una santa che dalla misericordia ha fatto la missione della sua
vita terrena: Madre Teresa di Calcutta definiva “la più grande
disgrazia”, più della povertà e della malattia, la
constatazione che “una gran parte del popolo indiano non conosca
Gesù”.
Si sta veramente portando la Chiesa al di fuori dell’orizzonte storico culturale dell’Occidente? Non va dimenticato che Bergoglio
è il primo papa non europeo, che si sente esterno all’occidente,
alla storia e alla civiltà europea. Solo così possiamo
provare a spiegare molte affermazioni e iniziative. E anche talune sue
prediche, quasi accusatorie, nel nome di una teologia del “pueblo”
assolutamente estranea al magistero e anche alla lettera dei documenti
del Concilio. Il richiamo è piuttosto a talune interpretazioni
di teologi sudamericani.
A un tema sensibile da un punto di vista politico, l’immigrazione, dedichi sul tuo libro molta attenzione. È essenziale nell’economia generale dell’attuale papato? Pare proprio di sì. Per il
suo primo viaggio Bergoglio scelse Lampedusa. I suoi ammonimenti
all’accoglienza senza limiti da parte dei paesi europei sono il tema
più ricorrente. Almeno altrettanto scarsa è la sua
attenzione sia alle grandi difficoltà dei Paesi che devono
ospitare, senza avere scelto di farlo, quelle masse di immigrati, sia
all’ulteriore impoverimento dei paesi d’origine, l’abbandono di quelle
masse, in gran parte giovani, rende ancor più drammatica la
prospettiva futura di quelle terre.
Quanto e come muterebbe l’immagine consolidata in questi cinque anni di papato se si facessero più numerosi gli interventi del papa sui valori della fede, della libertà religiosa negata ai cristiani in molti Paesi, sul rispetto della vita e della sua dignità? Mi verrebbe da dire che sarebbe
bello se il papa facesse soprattutto il mestiere di papa; se
predicasse, confortasse, difendesse ed esaltasse il messaggio della
Chiesa nel mondo; se si ponesse alla guida del “piccolo gregge”, che sa
bene di essere in minoranza, ma sente per intero la
responsabilità di testimoniare la fede, senza temere attacchi
né sconfessioni da parte della cultura egemone.
C’è ancora spazio per un “recupero” sulla strada della Verità? Direi che è una strada impervia, ma obbligata. Credo che oggi e più ancora domani il vero discrimine sarà tra i propugnatori dei diritti cosiddetti civili (eutanasia, aborto, matrimoni e adozioni omosessuali, droghe libere) e i difensori dei principii non negoziabili (diritto alla vita dal primo all’ultimo battito del cuore, famiglia composta da un uomo e da una donna, diritto dei genitori ad educare i propri figli). La scelta di campo dovrà essere netta e inequivocabile, perché credo che si sarà giudicati proprio che su questo discrimine, che produrrà contrapposizioni e scontri. Importante sarà non temere l’intolleranza dei tolleranti, il totalitarismo del pensiero unico, la dittatura del relativismo. (torna
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aprile 2018 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |