PERSECUZIONI “FRANCESCANE”

Bergoglio odia il monachesimo contemplativo?

di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato su sul sito Accademia Nuova Italia

L'impaginazione è nostra








Come è noto, una possibile spiegazione della oscura e drammatica vicenda della persecuzione dei Francescani e delle Francescane dell’Immacolata da parte dell’attuale pontefice è, molto banalmente, se così si può dire, di ordine economico. Tuttavia, se si volesse risalire alle vere radici della furiosa antipatia che il signor Bergoglio ha mostrato nei confronti di quei religiosi e di quelle religiose, della inspiegabile e implacabile durezza con cui li ha colpiti, li ha umiliati, li ha paralizzati, li ha stroncati mentre erano in piena fioritura di vocazioni, gettandone molti nella disperazione, e tutti nel dolore e nell’amarezza, crediamo che si dovrebbe scendere più a fondo nella tortuosa e poco misericordiosa psicologia del prelato argentino, catapultato sul seggio di san Pietro dalla sua sfrenata ambizione, dal suo cinismo, dalla sua disponibilità ad eseguire i voleri di una mafia di cardinali massoni decisi ad accelerare i tempi e i modi dell’auto-rottamazione della Chiesa cattolica.

E non si dica che stiamo adoperando toni eccessivamente duri, perché di ogni parola che abbiamo adoperato possiamo rendere conto; nessuna è stata usata a caso.
Cinismo, per esempio. Come altro definire il comportamento mostrato dal signor Bergoglio nella squallida, miserrima vicenda Viganò? Il capo del suo servizio comunicazioni falsifica spudoratamente la lettera e il senso di un documento privato scrittogli dal papa emerito, dietro sua richiesta; mente senza arrossire per parecchi giorni, sostiene la commedia volta a far dire a Benedetto l’esatto contrario di ciò che questi aveva inteso dire: e che cosa fa, il signor Bergoglio, quando ormai mezzo mondo, dentro e fuori la Chiesa, chiede, esige che il monsignore spregiudicato sia allontanato da quel posto di alta responsabilità, per patente violazione dei più elementari codici di comportamento morale e professionale? Lo ringrazia, lo elogia e lo fa rientrare dalla porta di servizio nel medesimo ufficio di prima.
Al papa emerito, nessuno porge neanche una parola di scuse. Al pubblico, ai giornalisti, ai lettori della stampa cattolica, a tutto il popolo dei fedeli, neanche una parola di scuse. Tutto bene, dunque. Viganò non meritava alcun rimprovero, semmai una promozione, perché la sua sporca operazione era nata dalla volontà di magnificare la sapienza teologica di Bergoglio (niente di meno) strumentalizzando le parole di un teologo vero, il papa emerito.

Tutto questo accadeva il 19 marzo 2018, solennità di San Giuseppe. Ebbene, lo stesso giorno il signor Bergoglio pubblicava una nuova esortazione apostolica, Gaudete et exsultate, nella quale, al § 115, quel portento di sapienza teologica e quel campione di misericordia cristiana, testualmente afferma:

Anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta. E’ significativo che a volte, pretendendo di difendere altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo: «Non dire falsa testimonianza», e si distrugga l’immagine altrui senza pietà. Lì si manifesta senza alcun controllo che la lingua è «il mondo del male» e «incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna» (Gc 3,6).

Mica male, come gaudio ed esultanza: qui il livore e il rancore del signor Bergoglio contro i suoi oppositori trasudano da tutti i pori (e se qualcuno vuol sapere se egli ce l’ha con qualche persona ben precisa, la risposta è sì: molto probabilmente ce l’ha in primo luogo con il cardinale Robert Sarah, reo di aver tentato di opporsi ad alcuni suoi madornali e perniciosi errori teologici; oltre al fatto, di natura non proprio teologica, che Sarah è contrario alle migrazioni degli africani verso l’Europa, mentre lui è incondizionatamente favorevole).
Ma, a parte ciò, colpisce vedere con quanto cinismo lui, che copre le menzogne spudorate dei suoi servitori e cortigiani, non esita a scagliarsi con toni melodrammatici contro “il mondo del male” che imperversa a livello informatico e mediatico. Evidentemente, il signor Bergoglio è uso ad impiegare due pesi e due misure: è male ciò che viene fatto per criticarlo, è bene quel che viene fatto per sostenerlo: e, in questo secondo caso, non c’è bisogno di andar tanto per il sottile con gli scrupoli di onestà: il fine giustifica i mezzi, come diceva il buon  Machiavelli.

Comunque, tornando alla persecuzione dei Francescani dell’Immacolata, crediamo che proprio in questa esortazione apostolica si trovi la spiegazione, almeno sul piano psicologico e ideologico, del calvario che il signor Bergoglio sta infliggendo a quei religiosi ormai da quattro anni e mezzo: la sua avversione per il monachesimo contemplativo, sia maschile che femminile; vale a dire la sua avversione per ciò che di più puro, di più bello e prezioso la spiritualità cristiana ha prodotto nell’arco di circa duemila anni.

Per comprendere questa nostra affermazione, bisogna andarsi a leggere il § 26:
Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione.
 
Abbiamo capito bene? Proviamo a rileggere, meditando bene le parole: Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio.
Ma questa non è soltanto una cattiva teologia: questa è una contro-teologia bella e buona!
Il signor Bergoglio, qui, sta sputando sopra duemila anni di monachesimo contemplativo e sta sostituendo una concezione naturalistica di ciò che è “sano” alla concezione cristiana di ciò che è “vero”. Non solo. Sta anche contraddicendo frontalmente le parole di Gesù Cristo, e non è la prima volta; per convincersene, basta rileggere l’episodio evangelico di Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro (Lc., 10, 38-42):
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».
 
A quanto pare, ci pensa il signor Bergoglio a togliere ai cattolici “la parte migliore”, chiaramente indicata da Gesù, ossia la parte spirituale e contemplativa, per sostituirla con la “teologia del fare, dell’azione”.
Ed ecco spiegate le chiese e le basiliche trasformate in refettori e dormitori; ecco spiegato il pediluvio ai musulmani e alle musulmane, messo al centro della liturgia del Giovedì Santo; ecco la benedizione alle organizzazioni non governative che stanno riempiendo l’Italia di un esercito d’invasori africani travestiti da profughi di guerre ed emergenze inesistenti; ecco la simpatia per i preti di strada, possibilmente ribelli ai loro vescovi, come don Lorenzo Milani, possibilmente scontenti, arrabbiati, rancorosi e vendicativi, come lo è lui: esiste una affinità temperamentale, oltre che ideologica, fra questo neoclero irrequieto, agitato, chiacchierone, iperattivo (specialmente con la lingua) e lui stesso, che non perde mai una buona occasione di tacere e che in tutte le occasioni possibili, ma specialmente in quelle più teatrali, più spettacolari, più coreografiche, sugli aerei a diecimila metri di quota, per esempio, se ne esce in gesti e affermazioni sconcertanti, eretici, blasfemi, che capovolgono duemila anni di dottrina e di Magistero e che vorrebbero rifare il cristianesimo dalle fondamenta, solo per soddisfare la sua inesausta fame di visibilità, di popolarità, affinché la gente possa dire che lui è stato il nuovo fondatore della Chiesa, meglio di san Francesco, meglio di san Paolo, e anche meglio – Dio ci perdoni – di Gesù Cristo.
Di quel Gesù Cristo che visse in un tempo in cui non c’erano i registratori e quindi, dice con sommo acume padre Sosa Abascal, nessuno può sapere con certezza quel che disse davvero; mentre il papa Francesco ce lo abbiamo qui, tutti i giorni, con tanto di televisione e social network, e non sta zitto un momento: perciò siamo più fortunati degli Apostoli e della Madonna, visto che possiamo dissetarci alla fonte della sua saggezza senza limite alcuno, e ricevere ad ogni nuovo giorno una nuova perla del suo profondo e delicato sentire.





Riassumendo. Al signor Bergoglio il cattolicesimo, così com’è, non piace.
Il Magistero, come lo ha ricevuto da una tradizione due volte millenaria, non piace. Il Vangelo come finora la Chiesa lo ha interpretato, non piace. Gli ordini religiosi, e specialmente quelli contemplativi, non piacciono. Non gli piacciono i Francescani dell’Immacolata, non gli piacciono i Cavalieri di Malta. Non gli piacciono Burke, Caffarra (pace all’anima sua), Negri, Sarah. Non gli piacciono le decine di firmatari della Corrrectio filialis e, in generale, non gli piacciono tutti quelli che non lo applaudono incondizionatamente, ma si permettono di fargli domande e obiezioni riguardo a questioni di fede. Non gli piace la Chiesa missionaria, la Chiesa che vuole evangelizzare il mondo. Non gli piace chi ha il torto di parlare di aborto, per ricordare l’iniquità della legislazione vigente, e che gli guasta le uova nel paniere della sua viscerale amicizia con Scalfari, Bonino e il defunto Pannella.
All’estero non gli piace Donald Trump, in Italia non gli piace la Lega; gli piace far politica, e molto, ma si secca se qualcuno glielo rimprovera. Non parla mai di direzione spirituale dei peccatori e delle persone in difficoltà, in compenso esalta la psicanalisi e ringrazia la sua ex psicanalista ebrea.
Non gli piacciono i vescovi siriani che lo supplicano di dire la verità su quel che stanno vivendo i cristiani in quel Paese e in altri Paesi a maggioranza islamica; non gli piace che si parli di Asia Bibi; non tollera che si nomini neppure il terrorismo islamico, che, per lui, semplicemente non esiste.
Non gli piacciono i cattolici che non considerano il Concilio una seconda Pentecoste e non si prodigano per attuare sino in fondo lo “spirito” del Concilio, ossia per instaurare il modernismo. Non gli piacciono i missionari, tranne quelli di sinistra e i seguaci della teologia della liberazione, perché tutte le religioni, per lui, pari sono, e tutte le strade portano a Dio.
Approva la cacciata di sacerdoti come don Minutella, che lo ha criticato, ma non ha nulla da dire a proposito di preti che in piena Messa non fanno recitare il Credo perché non ci credono, o di suore che dicono che la Madonna non era affatto vergine, perché lei e san Giuseppe avevano dei rapporti sessuali come tutte le coppie “normali” (ed ecco il famigerato concetto naturalistico di “normalità”, fratello gemello di quello di “santità”, che già abbiamo visto ispirare le sue riflessioni nel § 26 di Gaudete et exsultate).
Non gli piacciono i cattolici con la faccia da funerale, con l’ossessione della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, chiusi in una mediocrità tranquilla e anestetizzante, gente usa a lustrarsi gli occhi in una presunta estasi, malati di dogmatismo, nostalgia, pessimismo, e potremmo seguitare per un pezzo.

Sono tutte parole sue, dalla prima all’ultima; sono contenute nella Gaudete et exsulate (come sono gioiosi e melliflui, i titoli delle sue esortazioni apostoliche: Evangelii gaudium, Amoris laetitia, tutto un cinguettio e uno sdilinquimento): parole non troppo misericordiose, come si vede; parole di uno spirito acre, cariche di disprezzo.

Ma forse faremmo prima a dire: non gli piace la Chiesa. Forse perché è cattolica: logico, visto che Dio, per lui, non è cattolico. Del resto, lo aveva annunciato sin dai primi giorni del suo pontificato, e La Repubblica, solerte megafono del suo pensiero, aveva subito titolato: Così voglio cambiare la Chiesa. Ciò che non piace, si cambia: semplice, no? Così ragiona il padrone a proposito delle sue cose o dei suoi servi: questa o quella cosa non mi piacciono, dunque li cambio. Ne ho il diritto, sono il padrone. E così abbiamo visto tutta una serie di siluramenti, non solo di vescovi e cardinali, ma anche d’illustri teologi (vedi il professor Seifert) e, in compenso, tutta una serie di strepitose carriere di gente come Viganò, Spadaro, Maradiaga… e Chaouqui.

Il minimo che si possa dire è che questo non è il modo di fare del vero pastore. Sono patetici quei cattolici che stanno ancora lì a domandarsi: Come mai il papa ha fatto questo, ha detto quest’altro? Non hanno ancora capito che questo signore non è papa...





aprile 2018
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