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DAVANTI AGLI ESITI DI QUESTO
PONTIFICATO
NON POSSIAMO TACERE a colloquio con Aldo Maria Valli di Cristiano Lugli
a colloquio con Aldo Maria Valli Volto noto del giornalismo Rai, Aldo Maria Valli ha lavorato per diversi anni al Tg3 e, dal 2007, svolge il ruolo di vaticanista al Tg1. Curatore del blog Duc in altum, a partire dal 2016, ha iniziato ad avanzare parecchie riserve sul pontificato di Francesco, che poi ha raccolto e approfondito nei suoi due ultimi libri: 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. e Come la Chiesa finì, entrambi pubblicati da Liberilibri. Una sorpresa per chi, in precedenza, aveva riconosciuto in lui il sostenitore di una visione ecclesiale che ha trovato proprio nell’opera Bergoglio il suo compimento. Dottor Valli, che cosa è cambiato? da dove nascono le sue posizioni critiche abbastanza nette riguardo al pontificato di Bergoglio? Con quali difficoltà ci è arrivato? Inizialmente ho guardato con
simpatia a Francesco. Poco tempo dopo la sua elezione, in vista di uno
Speciale Tg1 sulla sua vita a Santa Marta, sono stato a trovarlo e mi
ha ricevuto con grande cordialità. Abbiamo parlato a lungo e mi
è piaciuta la sua fede semplice, la sua devozione per san
Giuseppe e santa Teresina di Lisieux, la sua disponibilità
all’ascolto. Ho anche cercato di capire le ragioni del suo cambio di
prospettiva, ovvero mettere in primo piano la paternità di Dio e
non le prescrizioni, nel tentativo di riavvicinare le persone alla fede
e alla Chiesa. A poco a poco però non ho potuto fare a meno di
notare, con crescente sconcerto e dolore, uno sbilanciamento nella
predicazione di Bergoglio: mi riferisco all’idea di misericordia
sganciata da quella di conversione e pentimento, quasi che si possa
immaginare un diritto della creatura a essere perdonata e un dovere di
Dio al perdono. Francesco non parla del giudizio divino e non perde
occasione di svalutare la legge divina, come se fosse soltanto una
preoccupazione dei farisei. Dopo Amoris
laetitia le mie perplessità si sono fatte ancora
più nette e non ho più potuto tacere. È nato
così un primo libro, 266,
nel quale prendo in considerazione molti aspetti problematici della
predicazione di Francesco (per esempio la sua visione dell’Islam e la
sua idea di accoglienza verso i migranti) e infine ecco Come la Chiesa finì.
Come la Chiesa finì è invece un romanzo. Come descrive questa fine? È un racconto ambientato
in un futuro immaginario, nel quale, progressivamente, sotto la guida
di papi tutti sudamericani e tutti di nome Francesco, la Chiesa si
allontana dalla Verità e, nel tentativo di apparire sempre
più aperta al mondo e amica di tutti, finisce con il condannarsi
all’irrilevanza. E a quel punto i padroni del mondo avranno buon gioco
a liquidarla definitivamente. È un racconto nel quale faccio
ampio ricorso al sarcasmo e al paradosso. I lettori mi dicono che si
ride molto. Ma, ahimé, è un ridere per non piangere. In
effetti è una tragedia.
Da cosa è stato ispirato questo racconto? Proprio dai miei dubbi, dalle mie
perplessità, ma anche da tanta tristezza nel vedere il depositum fidei sempre più
messo a rischio e svalutato in nome di un generico richiamo alla
misericordia e al dialogo. È la tristezza del figlio che nota
nel padre uno sbandamento preoccupante, della pecorella che vede con
sgomento di non poter più contare sul pastore. Di un credente
che vede dilagare il relativismo perfino all’interno della Chiesa
stessa. Inoltre nel libro non risparmio le stoccate a certa teologia
modernista e al suo linguaggio, che ha molto successo nel mondo e nei
mass media, ma dietro il quale c’è il vuoto o, peggio, l’eresia.
Torniamo a 266, che invece è un saggio ed è considerato uno dei riassunti più esaustivi sul pontificato di Francesco. Qui cosa trova il lettore? Mi occupo del pontificato di
Francesco e pongo tante domande. Una su tutte: Francesco è il
papa della misericordia o del relativismo? Lascio che sia il lettore a
trarre una conclusione, ma le mie perplessità certamente non le
nascondo. Con il libro posso dire di aver anticipato i dubia dei quattro cardinali su Amoris laetitia. Le mie domande
sono radicali: che cosa sta più a cuore alla cosiddetta “Chiesa
di Francesco”? La salvezza dell’anima o il benessere psicofisico ed
emotivo delle persone? Poi affronto questioni più specifiche, a
partire dalla mancata denuncia delle radici religiose dell’estremismo
islamista, fino alla realpolitik perseguita da questo pontificato in
ambito diplomatico, come si vede nel caso della Cina, rispetto alla
quale sembra che la Santa Sede, pur di raggiungere un accordo, sia
disposta a scendere a patti che equivalgono a un tradimento della libertas Ecclesiae, come ha
coraggiosamente denunciato il cardinale Zen.
Secondo lei la rottura avviene nel 2013 o è convinto che i prodromi di questa crisi si debbano ritrovare nel Concilio Vaticano II se non prima? Il discorso sarebbe lungo e
meriterebbe un’ampia trattazione. Il Concilio Vaticano II, da un lato,
recepisce l’esigenza di aprire le finestre di stanze rimaste troppo
chiuse, dall’altro offre al modernismo la possibilità di far
entrare nella Chiesa, assieme all’aria buona, anche tesi eterodosse
che, in sostanza, pretendono di sostituire l’uomo a Dio. Così,
in primo piano non abbiamo più l’eterna legge divina, ma le
esigenze dell’uomo, non più il giudizio del Creatore, ma la
psicologia della creatura, non più la libertà cristiana,
ma il cedimento al libertinismo mondano, non più i comandamenti,
ma le scappatoie, non più il timor di Dio, ma la rivendicazione
del diritto all’autorealizzazione, e così via. Il confronto con
la modernità, necessario e anche salutare, si è
trasformato in un crollo rovinoso. Da questo punto di vista possiamo
dire che il pontificato di Francesco è non tanto la causa della
crisi attuale, ma il risultato di un processo incominciato più
di mezzo secolo fa. Tuttavia motus
in fine velocior: stiamo assistendo a un’accelerazione che
lascia sconcertati e sgomenti.
Come valuta oggi l’azione di coloro che hanno denunciato fin dal principio tutti i problemi del pontificato di Bergoglio e sono rimasti a lungo da soli, spesso attaccati da tutti? Come ho detto, io non sono tra
coloro che hanno denunciato fin dall’inizio contraddizioni e
ambiguità di questo pontificato. All’inizio, anzi, ho voluto dar
fiducia a Francesco. Le perplessità si sono fatte strada piano
piano e sono esplose dopo Amoris
laetitia. Altri
osservatori invece hanno capito tutto fin da subito. Quanto allo stile,
ognuno ha il proprio. Io per esempio non riesco a essere aggressivo.
Preferisco semmai far ricorso all’ironia. Ciò che conta è
che noi cosiddetti “oppositori” di questo pontificato (ma in
realtà credo che siamo i veri amici di Francesco), pur
muovendoci singolarmente e senza consultarci, arriviamo tutti alle
stesse conclusioni. Significa che i problemi sono oggettivi. A volte
qualche lettore mi esorta a unire le forze con altri giornalisti e
commentatori, per formare qualcosa di simile a un gruppo di pressione,
ma io credo che la nostra forza risieda proprio nel fatto che ci
muoviamo in modo indipendente, con grande libertà, e ciascuno
secondo il proprio carattere. Per quanto mi riguarda, non mi sono mai
sentito solo. Fin da quando ho incominciato a manifestare i mei dubia ho conosciuto tantissimi
amici che mi hanno permesso di allacciare relazioni molto belle. Certo,
sull’altro piatto della bilancia c’è il fatto che alcuni amici
di un tempo non si sono più fatti sentire né vedere, ma
pazienza. Mi sento molto sereno. Particolarmente piacere mi fanno poi
le attestazioni di stima (e non sono poche) di chi, pur pensandola in
modo diverso da me, mi riconosce passione e onestà
intellettuale. Credo che l’importante, da parte di tutti noi che
andiamo controcorrente rispetto al mainstream
e all’ecclesialmente corretto, sia argomentare sempre con grande
rigore, non cadere nell’attacco personale e poi, last but not least, pregare tanto
per il papa, come del resto lui stesso chiede.
Cosa è cambiato con l’elezione di Bergoglio? Intanto, nella Chiesa abbiamo per
la prima volta la coesistenza di due papi, una situazione che si
è voluta presentare come «normale» e pacifica e
invece determina inevitabilmente tensioni che aumentano col passare del
tempo (come si è visto nel caso della lettera di monsignor
Viganò al papa emerito). E poi abbiamo questo magistero tutto
sbilanciato verso la pastorale a danno della dottrina, ma con un
equivoco di fondo, perché la pastorale, in quanto prassi, non
può fondare se stessa, ma deve essere fondata sulla dottrina.
Abbiamo poi la centralità della parola discernimento, formulata
però in modo ambiguo, quasi che il discernimento dovesse portare
a giustificare il peccato e non a rispettare la legge divina.
Superficialità e ambiguità dominano la scena, mentre la
famosa riforma della curia resta inattuata. Un quadro sotto molti
aspetti drammatico, all’interno del quale Francesco continua a ricevere
consensi dai lontani, che si sentono confermati nella loro lontananza,
mentre i vicini si guardano attorno sconcertati e non si sentono
confermati nella fede. Tutto questo anche a causa di una comunicazione
papale (penso in particolare alle interviste e alla conferenze stampa
in aereo) che in molti casi non è degna del munus petrino e della potestas docendi. Tornando
per un attimo al caso Viganò: chi ha chiesto al papa emerito di
scrivere qualcosa su quegli undici libretti dedicati alla teologia di
Francesco ha dimostrato una buona dose di arroganza. Benedetto XVI ha
risposto in modo elegante, ma senza nascondere il suo sconcerto. Alla
fine, poi, nessuno ha sentito il bisogno di chiedere scusa a Ratzinger,
mentre chi ha sbagliato ha ricevuto gli elogi del papa regnante.
Questa sua presa di posizione contro le scelte di Bergoglio ha avuto ripercussioni sulla sua professione o sulla sua persona? In quanto credente so che il buon
Dio ci manda tutto, anche le prove, per il nostro bene. Questa fase,
per quanto dolorosa, è quindi senz’altro provvidenziale.
L’importante è far uso della ragione illuminata dalla fede.
Credo che noi laici abbiamo un compito importante: dobbiamo stare
accanto a tanti pastori sbandati. Ovviamente quando ci si mette al
servizio della Verità si paga un prezzo, ma nulla può
dare tanta gioia quanto l’essere cooperatores
veritatis.
Lei non è il primo, e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo ad essersi reso conto, con coraggio e onestà, dei problemi che affliggono la Chiesa fin nella sua gerarchia più alta… Riconosce una simile situazione nella storia della Chiesa e, eventualmente, quali differenze trova con la realtà odierna? Non è la prima volta che
pronunciamenti del magistero, volutamente non chiari, permettono la
convivenza di interpretazioni diverse e contrastanti, anche su punti
centrali del dogma, come nel caso di Amoris
laetitia relativamente all’indissolubilità del matrimonio
cattolico e all’Eucaristia. Tipico è il caso del quarto secolo,
con le controversie trinitarie e cristologiche. Allora l’eresia
dilagante era quella ariana, che metteva in discussione la
divinità di Gesù. Uno studioso che stimo, il professor
Claudio Pierantoni, ha sostenuto che la crisi attuale, di proporzioni
molto gravi, non è minore di quella antica. Nel quarto secolo,
come oggi, l’eresia si fece largo non tanto attraverso affermazioni
apertamente erronee, ma usando l’arma della genericità e
dell’ambiguità. È quanto vediamo anche in Amoris laetitia, dove non
c’è un’aperta negazione dell’indissolubilità, ma
c’è una sostanziale negazione delle conseguenze necessarie che
discendono dall’indissolubilità. E c’è la valutazione
caso per caso, che si presenta come il cavallo di troia del relativismo.
I cattolici fedeli al Magistero, oggi, cosa dovrebbero fare secondo lei? Pregare molto e far pregare. Da
soli, in gruppo, in famiglia. Pregare per la Chiesa e soprattutto per
il papa, senza stancarsi. Continuare a usare la ragione illuminata
dalla fede, argomentando in modo pacato ma senza sconti.
Come usciremo da questa situazione? Non sono un profeta e non lo so.
Ma ho totale fiducia in Dio. Con l’aiuto dello Spirito, che dobbiamo
invocare incessantemente, ne usciremo. Magari in questo momento non
riusciamo a vedere il disegno complessivo e ci sembra che tutto stia
crollando, ma Dio non abbandona i suoi figli.
(torna
su)
aprile 2018 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |