Il caso Alfie Evans
 


due articoli di Elisabetta Frezza



Raccogliamo in questa pagina due articoli di Elisabetta Frezza
pubblicati su Riscossa Cristiana
e relativi al caso del piccolo Alfie Evans
ancora una volta verificatosi in Inghilterra,
che si rivela essere la Nazione in cui la pratica dell'eutanasia sembra proprio che serva a risolvere i problemi economici del servizio sanitario.
Quando i costi lievitano, con risultati relativamente contenuti per la logica della moderna antropologia dell'efficienza produttiva,
la cosa migliore da fare è eliminare il malato.
Just right… God save the Qeen.

Facciamo precedere gli articoli di Elisabetta Frezza da una presentazione tratta da il quotidiano Il Foglio







Roma. Alla fine lʼAlder Hey Childrenʼs Hospital di Liverpool ha deciso di sospendere lʼinterruzione dei sostegni vitali (nutrizione, idratazione e ventilazione) al piccolo Alfie Evans, il bambino di 23 mesi affetto da una patologia neurodegenerativa.
Lo scorso febbraio, il giudice Anthony Hayden aveva posto la parola fine alla vicenda,
firmando una sentenza che autorizzava i medici a staccare i macchinari che tengono in vita Alfie. “Ha bisogno di quiete e pace”, aveva concluso il magistrato.
Mercoledì sera era intervenuto, come nel caso di Charlie Gard, il Papa: “Eʼ mia sincera speranza che possa essere fatto tutto il necessario per continuare ad accompagnare
con compassione il piccolo Alfie Evans e che la profonda sofferenza dei suoi genitori possa essere ascoltata. Prego per Alfie, per la sua famiglia e per tutte le persone coinvolte”, si legge sullʼaccount ufficiale Twitter del Pontefice.
Ma il caso di Alfie è diverso da quello di Charlie, “perché nel caso di Alfie manca una diagnosi clinicamente ed eziologicamente certa”, dice al Foglio il professor don Roberto Colombo, genetista clinico e docente della Facoltà di Medicina dellʼUniversità Cattolica di Roma, nonché membro ordinario della Pontificia accademia per la vita. “Non si conosce la causa della sua malattia, mentre per Charlie si sapeva che si era in presenza di una rarissima forma di malattia da deplezione del Dna mitocondriale, con un preciso blocco metabolico nucleotidico identificato, che suggeriva lʼipotesi di procedere a un trattamento sperimentale già noto, seppure dallʼesito incerto. Charlie – spiega il genetista – soffriva di una malattia comunque aperta a una possibile terapia. Il
quadro clinico di Alfie, invece, (per quanto ne sappiamo dalla documentazione resa nota), lascia supporre una patologia neurodegenerativa di probabile origine metabolica. Ma questo non significa che si debbano interrompere le cure essenziali della persona al piccolo paziente e i sostegni vitali. Un quadro che tende a evolvere negativamente, ma potrebbe stabilizzarsi per tempi più o meno brevi. Occorre essere estremamente
prudenti: la prognosi è incerta e non bisogna alimentare illusioni”.

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Nella sentenza del giudice Hayden si citava il Papa, fraintendendo un suo discorso alla Pontificia accademia per la vita dello scorso autunno, quasi che Francesco avesse dato il via libera allʼinterruzione dei sostegni vitali: “Personalmente – dice il prof. Colombo – ritengo che non sia secondo ragione giuridica che una sentenza civile, che dovrebbe basarsi sulle perizie mediche e sullʼordinamento giudiziario britannico, ricorra invece, nelle motivazioni, alle parole di un Papa, cioè del rappresentante di unʼistituzione religiosa, che si esprime in un testo e in un contesto non giudiziario. Tra lʼaltro fraintendendole, come dimostra lʼinterpretazione data dal giudice a quel discorso di Francesco. Si è lasciato intendere che le parole del Pontefice contro lʼaccanimento terapeutico fossero applicabili anche al caso di Alfie Evans. Ma qui la realtà è ben diversa: si vuole togliere non una terapia, ma dei sostegni vitali, cosa che il Papa non ha mai approvato in alcun suo intervento, mettendo anzi in guardia dallʼabbreviare la vita, dallʼanticipare la morte di un malato, anche inguaribile”.
Lʼimportante, però, è non alimentare illusioni irragionevoli: “Non ci sono possibilità di recupero, il quadro neuropatologico del bambino si sta degenerando, ma non sappiamo qual è la velocità con cui questo avverrà e quando sopraggiungerà la morte. Gli specialisti che hanno visitato il piccolo hanno parlato di uno ʻstato semi-vegetativoʼ, che fa pensare a un quadro in evoluzione sì, ma probabilmente lenta. Senza illudersi che il bambino possa migliorare, nulla vieta perentoriamente che egli si possa stabilizzare, almeno per un certo periodo di tempo”

Quel che stupisce, in questo caso come in quello di Charlie, è la “fretta” nel voler portare a un epilogo situazioni così dolorose. “Da una parte – dice il genetista dellʼUniversità Cattolica –penso che lʼospedale britannico abbia dei limiti di budget e di allocazione delle risorse destinate alla terapia intensiva neonatale/pediatrica. In questo
caso, il bambino viene giudicato come un paziente non ʻpromettenteʼ, che ha scarse probabilità di ʻfarcelaʼ in termini di recupero funzionale. La seconda ipotesi, verosimilmente, è quella di non creare illusioni nei genitori. La terza motivazione, forse quella decisiva, è di natura culturale ed etica: si considera che la vita di questo e
altri bambini inguaribili non sia degna di essere vissuta e perciò di essere sanitariamente curata. Vi sono diverse espressioni nella sentenza del giudice che lo lasciano supporre. Cʼè un vento culturale che tira in questa direzione, in Inghilterra e altrove. Non solo (e non tanto) negli ambienti medici, ma anzitutto nelle élite culturali, giuridiche e politiche dominanti. Eʼ una deriva antropologica-culturale pericolosa non solo per lʼidea e la prassi stessa della medicina, ma perché nega la dignità inalienabile della vita di ogni persona in qualunque circostanza essa si venga a trovare”.



Alfie e i martiri innocenti del Potere

di Elisabetta Frezza


Pubblicato su Riscossa Cristiana





Non ho ancora avuto il coraggio di dire a mio figlio più piccolo, che tutte le sere prega per Charlie, che Charlie è morto. Quando mi chiede sue notizie, gli dico di continuare a pregare senza stancarsi mai, perché ce n’è tanto bisogno.

Charlie è nell’abbraccio di Dio e non è questa la cosa difficile da dire a un bambino. Ma la sua messa a morte, decretata con voto unanime dalle Istituzioni – nessuna esclusa – spalanca alla vista un tale abisso di male che non è facile, e forse nemmeno giusto, lasciarlo anche solo percepire a chi si affaccia alla vita.

Dopo Charlie, alla sbarra ora c’è il piccolo Alfie, colpevole pure lui di essere malato, pure lui difeso dai suoi genitori e da uno sparuto esercito di alieni armati di rosario e di buona volontà, soli contro tutti gli altri.

Nel mezzo di questa notte senza stelle per l’intera umanità, brilla la lettera che il papà di Alfie ha scritto al vescovo di Liverpool, il suo vescovo Gli altri sono il Potere – “scientifico”, giudiziario, mediatico, ecclesiastico – e la forza che lo tiene democraticamente a galla, ovvero la massa distratta, assuefatta, stordita, spettatrice indolente e passiva dei processi capitali trasmessi in diretta TV e che sono la faccia visibile degli innumeri sacrifici umani consumati fuori onda.

Non è immaginabile barbarie più grande dell’omicidio legale dell’innocente, perpetrato nell’ambiente sterile delle strutture sanitarie, e truccato beffardamente con quel pietismo disumano che è il contrario esatto dell’umana pietà. Significa che si è toccato un punto di non ritorno.




Alfie Evans ha ventitré mesi, con suo padre Thomas e sua madre Kate incarna una sacra famiglia di Liverpool. Ha una malattia neurodegenerativa non diagnosticata, ma tale da rendere la sua vita “inutile” secondo gli esperti della vita e della morte altrui, che hanno stabilito debba essergli sospesa la ventilazione nel suo stesso “supremo interesse” e che debba essergli applicato un piano di fine vita coperto dalla privacy, perché Alfie ha diritto alla privacy pur non avendo il diritto di vivere.
Lo dice la Corte europea dei diritti dell’Uomo, d’accordo con le Corti Alte e Supreme dell’apparato giurisdizionale inglese, d’accordo con il personale medico dell’Alder Hay Hospital, d’accordo con l’Arcidiocesi di Liverpool, d’accordo con i vertici della chiesa postcattolica che cianciano, talora twittano, di accompagnamento, di viaggio, di dignità del paziente, di compassione, di interessi e di diritti e di altre belle cose che ne significano una soltanto: l’uomo scellerato rimpiazzi pure, con tracotanza blasfema, il suo creatore e si erga pure a tronfio titolare dello ius vitae ac necis sui suoi simili più deboli, il progresso lo vuole.

Nel mezzo di questa notte senza stelle per l’intera umanità, brilla la lettera che il papà di Alfie ha scritto al vescovo di Liverpool, il suo vescovo indegno.


Sua Eccellenza Reverendissima
Arcivescovo Malcolm Patrick McMahon
Arcidiocesi di Liverpool

Eccellenza reverendissima,

Mi chiamo Thomas Evans e sono il papà di Alfie.

Ho letto con grande dolore il comunicato stampa diffuso dall’Arcidiocesi sulla situazione dimio figlio.

Il più grande dolore deriva dal fatto di non essere stato riconosciuto come figlio di Santa Madre Chiesa: io sono cattolico, sono stato battezzato e cresimato e guardo a Lei come al mio Pastore e al Santo Padre come al Vicario di Cristo in terra….

Per questo ho bussato alla porta della Chiesa, domandando aiuto per salvare mio figlio dall’eutanasia che vogliono somministrargli!

Anche Alfie è battezzato, come me e come Lei, Eccellenza, e vorrei che si pregasse per lui, pernoi, il solo vero Dio.

So che la morte di mio figlio è un’eventualità precisa e forse anche vicina, e so che lo aspetta il Paradiso… quali peccati potrebbe mai aver commesso, povera anima innocente, inchiodata a un letto, come ad una croce?

Ma so anche che la sua vita è preziosa agli occhi del Signore e che ha anche lui una missione da compiere… forse proprio quella di metterci di fronte alla necessità di mostrare al mondo la crudeltà che si nasconde dietro le parole del giudice che ha definito la sua vita “futile”, assecondando la definizione che ne dà l’ospedale che vuole soffocarlo.

Io non sono medico, ma vedo che mio figlio è vivo e vedo che non viene curato e da mesi chiedo all’ospedale di lasciarci trasferire nostro figlio, di Kate, mio e del Signore, laddove hanno promesso di prendersi cura di lui fino a quando il Signore non lo chiamerà a Sé, perché avrà compiuto il suo pellegrinaggio.

Perché non ci vogliono lasciar portare via nostro figlio?

Se lo è domandato, Eccellenza?

Noi non vogliamo accanirci, e che nessuno si accanisca su di lui, ma vorremmo almeno che fosse diagnosticata la malattia che lo affligge, che gli fossero prestate le cure migliori.

E non crediamo che l’Adler Hey sia in grado di farlo: ha dimostrato a noi e al mondo di non saperlo e di non volerlo fare.

Loro affermano di voler rimpiazzare il trattamento medico con cure palliative.

Ma in verità, ciò che stanno facendo sono esclusivamente cure palliative già da mesi e proprio quelle vogliono sospendere, insieme alla respirazione artificiale, per sedarlo e lasciarlo morire soffocato.

Ora a me pare che questo non sia giusto e non sia cristiano.

Per me questa è eutanasia e non vogliamo che il nostro bambino sia lasciato morire così, perché, oltretutto, ciò sarebbe un ulteriore precedente, come quello di Charlie Gard, per impedire a noi genitori di prenderci cura dei nostri figli malati, che lo stato considera un peso, perché malati, appunto, inutili, improduttivi e costosi.

La prego, perciò, Eccellenza, di voler accettare la mia richiesta di aiuto e di voler portare al Santo Padre la mia voce, affinché sia fatto tutto il possibile per aiutare me e sua madre Kate a portare Alfie fuori dalla Gran Bretagna, perché possa essere curato fino al naturale termine della sua esistenza terrena.

Invoco la Vostra benedizione, e la prego di accogliere i saluti di Kate e miei.

Liverpool 15.4.2018


Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere alle parole di questo giovanissimo padre, capace di sovrastare dall’alto del suo dolore e della sua speranza contro ogni speranza, e della sua fede umile, fiera e virile, tutta la gerarchia di una chiesa putrescente.
Nelle fila di questa gerarchia non vediamo differenza tra chi acconsente, chi tace, chi twitta, chi pontifica, chi benedice da casa le veglie altrui quando dovrebbe invece stare fisicamente davanti al padre di Alfie per difenderlo dai lupi.
Non c’è nessuno che tuoni per fermare le mani assassine. Nessuno che lasci la propria stanza per andare a Liverpool e ordinare a mandanti ed esecutori del crimine infame di restituire Alfie ai suoi genitori, nel nome di Dio. Nessuno che parli di inferno a chi si macchia di sangue innocente. Nessuno che parta per asciugare le lacrime di questa madre e del suo sposo, che vada a inginocchiarsi in preghiera nei luoghi di cura trasformati in luoghi di morte, supplicando che il miracolo si compia.
Il miracolo non sarebbe la guarigione di un bambino malato di una malattia che non si conosce: il miracolo sarebbe la liberazione di tante belle persone, rispettabili e blasonate, dalle forze occulte del male cui sono asservite.

Di cosa abbiamo bisogno, ancora, per capire che queste forze hanno infiltrato anche la Chiesa, diventata un tutt’uno con un mondo che oggi è il peggiore dei mondi possibili. L’agenda eutanatica ed eugenista è siglata da Stato e Chiesa con firma congiunta. La Chiesa ha tradito, e ha tradito al punto da non avere più nemmeno la vergogna di partecipare in prima persona alla crocefissione dell’innocente.

Libera nos a malo, non ci resta che implorare sgomenti. Alfie è atteso dagli angeli del Paradiso, chi non lo ha difeso ne risponderà al giudizio di Dio.




Città del Vaticano, 18 aprile 2018. Thomas Evans, il papà di Alfie, è arrivato questa mattina a Roma accompagnato dall’inviata de La Nuova Bussola Quotidiana Benedetta Frigerio







Un caso Alfie c’è già stato.

Il padre e il sacerdote che seguì la famiglia ci racconta cosa fecero.
E cosa si può ancora fare


di Elisabetta Frezza


Pubblicato su Riscossa Cristiana





A seguito dell’articolo pubblicato martedì sulla vicenda di Alfie [vedi sopra], ho ricevuto il messaggio di un sacerdote che non conoscevo:
Ho seguito passo passo una vicenda simile a quella di Alfie due anni fa con l’aiuto del Prof. Ramenghi (per la neonatologia) e del Prof. Bellini (per il trasporto aereo) di un bambino italiano all’estero al Gaslini di Genova. Tramite i genitori di quel bambino, gli stessi professori sono disponibili a prendersi in carico la questione e appoggiare l’ultimo ricorso dei legali della famiglia di Alfie. Ho letto il suo articolo di ieri e molti altri e l’apprezzo moltissimo in tutta sincerità. Le chiedo se ha qualche idea sul come affrontare l’ultima battaglia legale. I due prof. del Gaslini dicono che, non essendoci una diagnosi, i genitori non possono sapere nulla di questa malattia neppure per il futuro (chiaro che può essere un’arma a doppio taglio, ma intanto salviamo questo bambino). Forse sarebbe una buona leva per liberarlo dall’ospedale inglese! Inoltre non capisco come mai non si riesca a ridicolizzare la motivazione della sentenza che condanna il bambino a morire perché durante il trasporto potrebbe avere delle convulsioni. Questo significa che tutte le persone a rischio non possono essere trasportate? Eliminiamo le ambulanze? Grazie! Faccia quello che può!


Poi ci siamo sentiti al telefono e mi ha raccontato la vicenda di Filippo, un neonato in coma che è stato trasportato da Shanghai a Genova, tredici ore di volo, con un aereo militare attrezzato. A bordo, una équipe di specialisti dell’ospedale pediatrico “Gaslini” che se lo è preso in carico. “Dalla Lanterna a Shanghai e ritorno per portare all’ospedale Gaslini un neonato italiano in gravissime condizioni ed assicurargli le migliori cure possibili” titolavano allora i giornali.

http://www.ansa.it/liguria/notizie/2016/07/27/gaslini-riporta-
da-cina-bimbo-gravissimo_848888bc-9e95-4515-8e21-e1f84ac6e39c.html


http://www.aeronautica.difesa.it/comunicazione/notizie/Pagine/Un20volo20di202620ore20per20portare20in20
Italiaunneonatodiunmesedivitainimminentepericolodivita.aspx


https://www.liguriaoggi.it/2016/07/27/gaslini-da-genova-a-shangai-per-riportare-in-italia-un-neonato-grave/




Cos’è, in confronto, un volo da Liverpool? si chiede il sacerdote. E poi, come possono ammazzare un bambino senza sapere che cos’ha? Senza che sia fatta una diagnosi? Senza che questi genitori, giovanissimi, conoscano la malattia di cui è affetta la loro creatura, anche in previsione di metterne al mondo altre? I giudici negano il permesso al trasporto aereo di Alfie perché potrebbe avere delle convulsioni durante il viaggio. Ma allora, mi dice, eliminiamo le ambulanze perché il passeggero potrebbe morirci dentro? Meglio finirlo prima?.


Il sacerdote non si dà pace e mi dice che vuole fare tutto il possibile in questa vicenda, per due motivi fondamentali: per salvare la vita di un innocente e per non andare all’inferno avendo omesso ciò che la coscienza gli impone di fare. All’inferno, lui, ci crede.

Mi mette in contatto con il papà di questo bambino. Ci sentiamo poco più tardi. Sta a Shanghai, ma ha già parlato con i medici che avevano soccorso il suo Filippo: il primario neonatologo e il responsabile del trasporto aereo, che sarebbero pronti a volare a Liverpool.
 Lo scoglio, ovviamente, è la “giustizia” inglese, i cui funzionari sono i portavoce ufficiali dell’ideologia malefica travestita da diritto, ovvero dell’anti-logica munita di forza imperativa. Quella per cui un paziente va ucciso perché non corra il rischio di aggravarsi in trasferta; quella per cui, siccome non si è in grado di fare una diagnosi, si elimina il problema eliminando il malato.
Hanno bisogno del sigillo dell’autorità per coprire il vuoto totale di senso.

Ma i soloni della legge, prostrati all’altare della scienza, paradossalmente impediscono alla scienza di fare il suo corso.



Vietano di capire di che male soffre un bambino, a beneficio suo e di tutti. Cos’è questo accanimento furioso e dissennato contro un innocente e contro chi lo vuole proteggere dai suoi aspiranti carnefici? Cos’è questo orrore vestito degli abiti belli, e rispettabili, delle istituzioni civili e democratiche?

Un argomento dice il papà di Filippo incredibilmente non è stato ancora utilizzato dagli avvocati della famiglia di Alfie. Questo: nel tempo della dittatura scientifica due ragazzi poco più che ventenni dovrebbero accettare la condanna a morte del proprio figlio senza nemmeno sapere quale patologia lo renda indegno di vivere, senza avere una diagnosi su cui approfondire, ricercare, capire, per lui, per loro e per i figli che verranno. Così non solo viene condannato Alfie, ma sarà per sempre condizionata la vita dei suoi genitori. Questo argomento andrebbe usato in aula e non so se qualcuno lo ha mai fatto presente.
“Speriamo di fermare questi boia”, mi scrive infine.

Preghiamo che qualcuno ascolti il grido di chi non si rassegna ad arrendersi alla tirannia dell’assurdo. Per grazia di Dio, nonostante la corrente avversa si faccia sempre più impetuosa, ci sono ancora genitori disposti a non fermarsi davanti a nulla per il bene dei figli, medici disposti a rischiare tutto per salvare i pazienti, sacerdoti che credono ancora che esista l’inferno.


Più che nelle manovre della diplomazia, confidiamo nella forza di quei genitori, di quei medici, di quei preti, che vogliono servire la vita e il suo unico Signore.

Oggi per Alfie, domani per chiunque di noi.







aprile 2018
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