Lettera del Santo Padre Francesco
al Popolo di Dio
 


di Giovanni Servodio




Città del Vaticano, 6 maggio 2014
Francesco bacia la mano a don Michele de Paolis, prete pro omosessuali, oggi defunto



Con questo titolo papa Francesco ha pubblicato, il 20 agosto 2018, un’accalorata esortazione ad impegnarsi contro il diffondersi nella Chiesa dei cosiddetti “abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate”.

Il filo conduttore di questa lettera è ancora la riprovazione e la vergogna per la “sporcizia” che “c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!”; parole pronunciate nel lontano 2005 dall’allora Cardinale Ratzinger alla nona stazione della usuale Via Crucis al Colosseo e qui riprese da Francesco.
E subito stupisce il fatto che da allora siano passati 13 anni e due papi e ciò nonostante si continui a parlare della stessa “sporcizia”. Evidentemente qualcosa non quadra.

Ogni buona madre di famiglia sa che la “sporcizia” si spazza via con energici colpi di scopa e con uno straccio imbevuto di acqua e detergente seguito dal necessario disinfettante. Ma nella Chiesa attuale chi è preposto alle pulizie, in 13 anni pare che abbia ignorato questo elementare compito. O non sa fare le pulizie o non ha tempo per farle; ed è inutile che poi si batta il petto e inviti il “popolo di Dio” a fare altrettanto come se si trattasse di una disgrazia improvvisa sopraggiunta dall’esterno, magari ad opera di qualche malintenzionato.

Lungo questo filo conduttore, papa Francesco afferma con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare … Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli”.
La trama è sempre la stessa: chi doveva pulire non ha pulito, ma la responsabilità, la vergogna e il pentimento sarebbero dell’intera “comunità ecclesiale”. Come dire che il pastore negligente e trascurato, che ha lasciato le pecore in balia dei lupi, non avrebbe alcuna colpa… la colpa sarebbe del gregge di pecore… stolte!

Così che “Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito”. Come dire che i lupi hanno azzannato e sventrato le pecore… mentre il pastore zufolava e ammirava le farfalle … ed allora tutto il gregge deve farsi carico della loro morte.
Al punto che “è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno… Invito tutto il santo Popolo di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore”.
Penitenza, preghiera, digiuno per il “santo Popolo di Dio”, mentre il pastore continua a zufolare e ad inseguire le farfalle.
Invero uno strano modo di fare il pastore… andate avanti voi, che io ho da fare.

E questo perché “l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro”.
Passi, se si trattasse del “plurale maiestatis”, ma papa Francesco ha rifiutato da sempre l’uso di tale modo di esprimersi, quindi è ovvio che qui scarica sull’intera comunità dei fedeli, sulle pecore, l’onere che è invece proprio del pastore.
Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui” – continua il Papa -  “Un digiuno che ci scuota e ci porti ad impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza”.
E qui rimane ancora oscura la causa della “sporcizia”, come se “qualsiasi tipo di abuso” venisse dalla luna, come se si trattasse di qualcosa di estraneo alla “comunità ecclesiale” e alla “società”.

In queste quattro pagine strappalacrime ci sono tante belle parole, tante buone intenzioni, ma mancano alcune cose essenziali, senza le quali tutto il discorso si trasforma in un risuonare di cembali (cfr. I Cor. 13, 1), nonostante la parola “carità” abbondi nel testo. Infatti, la vera carità esige la verità e la verità è che la “sporcizia” fa parte integrante di questo mondo attuale senza Dio e senza morale, mondo al quale la neochiesa nata col Vaticano II ha aperto colpevolmente le porte lasciando che in essa penetrasse ogni sorta di bruttura e ogni sorta di laidezza.
Continuare a parlare dei chierici e dei consacrati che si danno a pratiche nefande e contro natura, corrompendo giovani e meno giovani, inconsapevoli o consenzienti, senza neanche accennare al fatto che il trasbordo inavvertito della “sporcizia” dal mondo alla Chiesa è la causa prima del male denunciato, significa rendersene complici se non addirittura promotori.
E questa lacuna, in fondo non è neanche tale, perché quando si dice che bisogna impegnarsi “con la società in generale” per lottare contro qualsiasi tipo di abuso, si rilascia a questa “società” una patente di illibatezza nonostante essa sia da tempo diventata la culla di ogni male e di ogni vizio.
Il Papa si rivela essere così il mallevatore di un mondo che, sui binari del disordine e del vizio, corre difilato alla sua rovina, trascinando con sé sia i malvagi sia i buoni.

Un tempo la Chiesa era il baluardo santo in un mondo dissacrato, essa riusciva a far traboccare la sua santità nel mondo stesso, in cui impiantava tante opere buone e conteneva l’influenza nefasta del demonio. Oggi le cose si sono invertite: è nella Chiesa che traboccano le nefandezze del mondo, compresi uomini e concezioni che sono agli antipodi della verità cristiana; ed è giocoforza ricordare che fu proprio a partire del Vaticano II, col diffondersi colpevole della cosiddetta pastorale legata al “calarsi nel mondo”, che i casi sporadici di ecclesiastici depravati divennero evento corrente nella nuova Chiesa “aperta” al mondo: a cominciare dai seminaristi accettati nei seminari nonostante la loro evidente propensione al vizio e destinati a diventare persino vescovi e cardinali. Col passare degli anni – e ne sono passati più di 50 – l’accettazione del vizio è diventata norma corrente, fino alla nuova “ammodernata” e ammorbata pastorale dello stesso Bergoglio che oggi piange sul latte versato dimentico del fatto che è da cinque anni che versa tale latte acido con le sue “gioie dell’amore”, i suoi “chi sono io per giudicare” e le sue nomine di chierici depravati nei posti chiave della Curia romana, compresi gli istituti delegati alla cura delle famiglie e dei giovani.

Ed ecco cosa manca anche in questa lettera: il minimo cenno al doveroso ripulisti che il Papa dovrebbe fare di tutta questa “sporcizia”. Ma come potrebbe se continua a sostenere che i malvagi sono oggetto della prima cura della misericordia – sua e non Dio – e se continua a mantenere al loro posto i praticanti, i cultori e i sostenitori del vizio?

Bella lettera, che ha mandato in visibilio tanti mezzi di comunicazione e tanti cattolici “adulti” che idolatrano Bergoglio quando distorce il Vangelo, apre ai gay e chiude ai cattolici serii e rispettosi delle leggi della Chiesa e di Dio.
Nessuno sembra esserci accorto che Bergoglio è come se parlasse dal settimo cielo, dove lui sarebbe appollaiato intonso e immacolato, in grado di invitare il “popolo di Dio” a condividere la vergogna e a praticare la penitenza e il pentimento, mentre i malvagi restano al loro posto protetti da lui che è uno degli attuali responsabili del degrado della Chiesa.




New York, Nunziatura Apostolica, 3 ottobre 2015
Francesco riceve gioiosamente, con abbracci e baci, l'amico argentino Yayo Grassi
accompagnato dallo “sposo” Iwan Bagus






agosto 2018
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