A margine della vicenda Viganò
 
di Belvecchio

Come è logico che fosse, dopo la diffusione della “Testimonianza” di Mons. Viganò sulla responsabilità di tanti prelati, Papa in testa, sulla diffusione della pratica dell’omosessualità nelle Curie e nei seminari, sono stati scritti innumerevoli articoli, sia d’accordo, sia critici.
Ora, che Mons. Viganò abbia potuto avere le sue ragioni per diffondere questa sorta di atto d’accusa è cosa che riveste un’importanza relativa, perché quello che conta è il contenuto della “Testimonianza” e la sua veridicità.
A quanto ci risulta, finora non è stata pubblicata alcuna confutazione sui fatti denunciati e sui nomi citati; l’unica nota autorevole è la risposta che ha dato Papa Francesco durante il volo di ritorno dall’Irlanda, il 26 agosto scorso, lo stesso giorno della pubblicazione della “Testimonianza”:
«Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo, a Lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. E’ un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così.»

Per quanto ci si sforzi di essere concilianti, questa risposta, che avrebbe potuto essere anche interlocutoria, si rivela essere un invito a sollevare ogni appunto critico possibile sul documento, tenuto conto della sottesa intenzione di Papa Francesco di essere difeso e sostenuto, egli infatti, non solo è chiamato in correità, ma è invitato a dimettersi. E Papa Francesco non poteva essere più chiaro: «quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così

Ecco allora che da quel fatidico 26 agosto sono partite le “messe a punto” sul documento: qui Viganò sbaglia, qui Viganò si confonde, qui Viganò inventa, qui Viganò si vendica, qui Viganò disinforma… aspettiamo ancora di leggere: qui Viganò mente e afferma il falso!

Non possiamo soffermarci sui tanti “appunti critici”, anche perché non siamo “Viganò” né suoi amici e sostenitori, Mons. Viganò si sta già difendendo benissimo da solo. Ma dopo aver letto lo scorso 31 agosto un articolo sulla vicenda, che ci è sembrato come un piccolo compendio delle critiche mosse da questo e quello, abbiamo pensato di poter rendere un buon servizio ai nostri lettori leggendolo insieme.
L’articolo, intitolato “Cum Petro”, è stato redatto da Marco Invernizzi, Reggente nazionale di Alleanza Cattolica e, come espresso dallo stesso titolo, vuole essere un “atto di fede” nei confronti di Papa Francesco, una formale dichiarazione di sostegno al Papa regnante.
Si può leggere l'intero articolo: qui e qui.

L’articolo si apre con questa affermazione: «Pensato e scritto [il documento di Mons. Viganò] con ogni evidenza per nuocere al regnante Pontefice, fino al punto di chiederne le dimissioni, il documento di fatto colpisce più pesantemente i due predecessori, Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II».

Un triplice “atto di fede”, dunque, che intende ergere come un baluardo a difesa del Papa, chiunque esso sia, fatto oggetto di attacchi volti solo a “nuocergli”. Chi agisce così, dice l’articolista, “di fatto opera per distruggere la Chiesa”.
Ora, non può esserci niente di più lodevole della difesa del Papa e della Chiesa, e tuttavia qui ci sembra che più della difesa del Papato, e quindi dell’istituzione voluta da Nostro Signore a guida della Chiesa, si tratti della difesa del Papa come persona posta a capo della Chiesa: una sorta di devozione umana per l’umano. Ci dispiace dirlo, ma la cosa non è molto cattolica; difendere il Papato è un conto, ma difendere il Papa regnante “a prescindere” assomiglia più ad un atto di “papolatria” che ad un atto di devozione filiale. Forse sarebbe stato meglio, per maggior chiarezza, intitolare l’articolo “cum Francisco”.

E quasi a conferma di ciò ecco cosa leggiamo subito dopo: «Il documento propone poi un lungo elenco di prelati della Curia vaticana e della Chiesa statunitense che sarebbero compromessi con l’ideologia omosessualista e con le reti gay-friendly che infestano seminari e diocesi di tutto il mondo. Giova però ricordare che tutti questi uomini di Chiesa hanno fatto carriera ecclesiastica ben prima dell’elezione di Francesco al Soglio di Pietro, il quale guida la Chiesa da cinque anni, dal marzo 2013.»
Quando si parla, passi, ma quando si scrive occorre fare attenzione a non contraddirsi nello spazio di poche righe. Ora, ammesso e non concesso che Papa Francesco sarebbe esente da responsabilità – cosa che fa a pugni con gli abbracci e i baci di Francesco con ogni sorta di omosessuali –, allora la responsabilità sarebbe  di questi stessi “predecessori, Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II” che l’articolista ha difeso poche righe prima. Che confusione!
Quanto poi a “l’ideologia omosessualista e con le reti gay-friendly che infestano seminari e diocesi di tutto il mondo”, ci chiediamo di chi sarebbe la responsabilità se non degli stessi papi, a risalire fino a Giovanni XXIII e a Paolo VI.
Siamo al comico!




New York, Nunziatura Apostolica, 3 ottobre 2015
Francesco riceve gioiosamente, con abbracci e baci, l'amico argentino Yayo Grassi (a sx)
accompagnato dallo “sposo” Iwan Bagus (al centro)



Proseguendo nella lettura, troviamo un’altra impropria difesa di Papa Francesco: «Se lo scopo del memoriale è, come è stato affermato dal suo autore, quello di provocare interventi più decisi contro i responsabili degli abusi sessuali, non si spiega il salto logico della richiesta di dimissioni del Pontefice: sarebbe stato sufficiente diffondere il testo, pur se cautela e amore per la Chiesa avrebbero preteso di evitarlo. La richiesta di dimissioni qualifica l’attacco, più che contro gli autori di quelli che Papa Francesco ha definito «crimini», come diretto in prima battuta contro lo stesso Santo Padre

Qui, dal comico si passa alla farsa. Di grazia, ma chi dovrebbe attuare gli “interventi più decisi” se non “in prima battuta” il Papa regnante? Il risibile richiamo a “Papa Francesco che ha definito ‘crimini’” gli “abusi sessuali” non fa onore al redattore dell’articolo, perché nel “memoriale” è detto a chiare lettere, e documentato, che Papa Francesco era al corrente e da cinque anni non ha fatto quanto doveva: meno che dimettersi quindi?
Ma, per l’attuale Reggente di Alleanza Cattolica si tratterebbe invece di un “salto logico”, come dire che Papa Francesco, pur essendo responsabile, dovrebbe essere riconfermato nella sua funzione… sol perché è il Papa!
A noi sembra che ci si aggrovigli con posizioni insostenibili senza rendersene conto.
«Sarebbe stato sufficiente diffondere il testo, pur se cautela e amore per la Chiesa avrebbero preteso di evitarlo».
Diffonderlo o no, allora? Diffonderlo “sarebbe stato sufficiente”, ma sembra che il farlo manifesterebbe la mancanza di “amore per la Chiesa”. Come dire che l’amore per la Chiesa “pretenderebbe” di tenere nascoste le malefatte e i loro responsabili, confermando così il perpetuarsi delle prime e l’immunità dei secondi. Sarà per questo che non si sarebbero dovuto chiedere le dimissioni del responsabile Papa regnante?
Come logica non c’è che dire, anche se più che stringente qui appare strangolante!
Il Papa non si tocca, la Chiesa va prima di tutto amata, ergo le più turpi porcherie commesse dai prelati vanno tenute nascoste!

Insomma, dice il Reggente: «il documento è di fatto un risentimento» nei confronti di «Papa Francesco» e dei «suoi due predecessori»; cosa che «è incoerente con chi si augura di dividere la Chiesa fra il Papa emerito e quello in carica, nonostante le ripetute dichiarazioni di fedeltà di Benedetto XVI nei confronti del successore

“Chi si augura di dividere la Chiesa”? Cos’è sta roba cervellotica? Com’è che a fronte di una denuncia gravissima il Reggente si nasconde dietro una supposta volontà di dividere il Papa in carica dal cosiddetto “emerito”, tra l’altro tale per sua unilaterale volontà?
Dichiarazioni di fedeltà? Ma quali, ci si chiede: quelle che hanno portato Ratzinger a rinunciare al Papato per far posto a Bergoglio, o quelle espresse da Ratzinger nei confronti di quello stesso Bergoglio per l’elezione del quale aveva rinunciato?
Qua, se c’è una qualche fedeltà è quella ad un piano architettato per portare Bergoglio sul Soglio di Pietro, che trovò un intoppo nel 2005 proprio nell’elezione di Ratzinger.

E come se ciò non bastasse, il Reggente escogita un’altra responsabilità per la “Testimonianza” di Mons. Viganò: «Il documento costituisce inoltre un assist per chi ha un progetto ideologico più ambizioso, quello di mettere in discussione l’operato della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, confondendo i documenti conciliari, che invitano alla nuova evangelizzazione di un mondo non più cristiano, con gli abusi dell’epoca postconciliare.»

Questa, detta da un vecchio militante di Alleanza Cattolica, appare davvero un tentativo di volo senza paracadute: quanti triplici salti mortali avrebbe fatto il nostro per affermare oggi, in termini negativi, quello che affermava ieri in termini positivi?
Ma, a dire il vero, non è questo che qui importa, trattandosi di un problema interno ad Alleanza Cattolica. Ciò che importa, invece, è che, dopo 50 anni, solo i ciechi e i sordi possono parlare di confusione tra i documenti conciliari e gli abusi dell’epoca postconciliare; non c’è mai stata e non c’è alcuna confusione: oggettivamente, il Vaticano II, con i suoi documenti, ha dato il via ad ogni sorta di abuso, dottrinale, liturgico e pastorale, e sia i primi sia i secondi sono stati attuati dagli stessi papi, da Paolo VI a Benedetto XVI.
Ed è davvero puerile che ci si appelli alla ormai logora “ermeneutica della discontinuità” per tacciare di “scismatici” tutti coloro che continuano a chiedere da cinquant’anni la revisione del Vaticano II.
Non si può affermare davvero in buona fede che «la Chiesa cattolica è una e una è la sua storia, fatta di luci e di ombre, di santità e di peccato, di fedeltà e di tradimenti» quasi insinuando che l’essere veramente cattolici implicherebbe l’accettazione acritica di tutto questo, senza la doverosa condanna e il netto rifiuto delle “ombre”, del “peccato” e dei “tradimenti”. Altro che scisma!
Il dovere di ogni cattolico è seguire la Verità e combattere l’errore, ovunque esso si annidi, e massimamente in seno alla Chiesa, e anche se l’errore è frutto di un concilio come il Vaticano II che, fino ad oggi, non ha insegnato volutamente alcunché di definitivo, tanto che nessun papa ha osato apporre il sigillo dell’infallibilità ad alcuno dei nuovi pronunciamenti conciliari… tanto sono in contraddizione col bimillenario Magistero della Chiesa!
Il nostro Reggente non si rende conto che se di scisma si può parlare questo è lo scisma attuato dal Vaticano II e dai papi coevi e successivi nei confronti dell’insegnamento perenne della Chiesa.

Papa Francesco - dice il nostro Reggente – è l’obiettivo dell’attacco di Mons. Viganò e non gli “abusi sessuali”; attacco condotto in maniera preordinata (e come se no?) e con modalità simil-politiche, come contro Berlusconi (???) e Prodi (???), che porteranno il suo autore – Mons. Viganò – a subire a sua volta la delegittimazione: «nei confronti di monsignor Viganò si stanno attivando svariate contestazioni di avere lui per primo mantenuto ottime e pubbliche relazioni con parte dei prelati che ora accusa. »

E qui il Reggente sfonda una porta aperta, quella stessa porta che tiene aperta anche lui con scritti come questo che stiamo esaminando. Scritti che corrispondono pari pari alla direttiva semiocculta impartita da Papa Francesco ai giornalisti sull’aereo di ritorno dall’Irlanda.
Chi più realista del Re, se non il cicisbeo di corte che si compiace dello zuccherino offertogli dal suo signore e padrone?
Una porta aperta, dicevamo, perché è risaputo che quando qualcuno avanza un’accusa come quella della “Testimonianza” di Mons. Viganò, subito si mette in moto una macchina denigratoria che serve a sviare l’attenzione dalla gravità e dalla portata dell’accusa stessa per focalizzarla su ogni possibile aspetto della vita dell’accusatore. Una vecchia tattica sempre efficace, come se nel voler “fare le pulci” a qualcuno non fosse più che facile trovare mille appigli nella sua vita. La vecchia storia del fuscello e della trave, usata strumentalmente per suggerire un’aberrazione: se la vita dell’accusatore non è irreprensibile, anche le sue accuse sono inconsistenti, malevole e false.
Una bella evoluzione involutiva per Alleanza Cattolica!

E inevitabilmente, il nostro Reggente incorre in un incidente di percorso, non tanto casuale però: «è certo che, a partire dalle parole pronunciate dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nella Via Crucis per il Venerdì Santo del 2005 … vi siano state, da oltre un decennio, e siano state d’intensità crescente, le denunce dei Pontefici sugli abusi sessuali commessi da sacerdoti, soprattutto nei confronti di minori. Poco prima dei discorsi tenuti sul punto in Irlanda, e poi all’udienza generale di mercoledì 29 agosto, Papa Francesco ha dedicato alla questione la Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2018. »

E chi mette in dubbio che ci siano state denunce anche di crescente intensità? Questo è vero, ma non può servire da giustificazione o da scusante, semmai da aggravante, perché dopo 13 anni constatiamo che la “sporcizia” evocata da Ratzinger è cresciuta a dismisura in seno alla Chiesa, e certo non per colpa di Mons. Viganò, ma per incontrovertibile responsabilità di Papa Ratzinger prima e di Papa Bergoglio poi.
Che qualcuno si metta il cuore in pace di fronte all’evidenza dei fatti.




Mons. Battista Ricca accarezza affettuosamente Papa Francesco.
Monsignor Ricca, nonostante le segnalazioni sugli scandali che aveva dato in varie nunziature all’estero, e specialmente in Uruguay,  è stato messo da Papa Francesco sia alla direzione dello I.O.R.,  sia alla direzione di alcune case per sacerdoti a Roma, fra le quali, guarda caso, la casa Santa Marta.

Senza parlare che la Lettera al Popolo di Dio, di Papa Francesco, è come un’offesa all’intelligenza, vista l’orchestrazione mediatica messa in atto dallo stesso Papa Francesco intorno ai suoi abbracci e ai suoi baci con ogni sorta di omosessuale laico e chierico.
Si ha voglia a denunciare con crescente intensità “gli abusi sessuali commessi da sacerdoti”, mentre ci si sbaciucchia pubblicamente con alcuni di loro.
Una bella evoluzione involutiva per Alleanza Cattolica!




Città del Vaticano, 6 maggio 2014
Francesco bacia la mano a don Michele de Paolis, prete pro omosessuali, oggi defunto.
Insieme hanno concelebrato la Messa.


Ma forse noi ci sbagliamo, perché il Reggente precisa che:
«Né si può dire che le denunce non siano state seguite da provvedimenti concreti nei confronti di preti, vescovi e cardinali nei cui confronti siano emersi elementi di responsabilità per atti di questo tipo. Che la parte più significativa di abusi sessuali risalga a oltre 10-15 anni fa (talora a più decenni fa) è la conferma che l’attenzione prestata dagli ultimi tre Pontefici abbia avuto effetti positivi nel circoscriverne la quantità

Ci vuole una bella faccia tosta a parlare di “circoscriverne la quantità”, quando sappiamo che i corrotti e i corruttori continuano ad essere al loro posto nella gerarchia, per di più affiancati oggi da quella che viene universalmente definita come la “lobby gay in Vaticano” e dal sempre crescente numero di preti omosessuali che elogiano e propagandano e insegnano quanto sia bella la convivenza tra preti omosessuali e omosessuali in genere.
O forse Papa Francesco non si sarebbe accorto di aver invitato in Irlanda, a predicare nell’Incontro Mondiale delle Famiglie, il gesuita James Martin, quello che propugna la “costruzione di ponti” tra il movimento LGBT e la Chiesa, accusando la Chiesa di “omofobia”: «Purtroppo c’è ancora tantissima omofobia nella nostra Chiesa.», ha affermato questo falso gesuita in un’intervista rilasciata in proposito – e a tempo opportuno - su  Avvenire il 22 agosto scorso.

E il Reggente nazionale di Alleanza Cattolica non poteva concludere se non in bellezza il suo intervento a favore di Papa Francesco:
«Al netto di questo attacco contro il Papa, meglio contro gli ultimi tre Papi (almeno), rimane il fatto che la Chiesa ha risposto con la santità all’aggressione portata cinquant’anni fa, a partire dal 1968, dall’ideologia gay e dalle reti di complicità clericale che questa lobby è riuscita a creare dentro il corpo di Cristo. Non dimentichiamolo. Non smettiamo di guardare anche al tanto bene che continua a esistere dentro la Sposa di Cristo, a cominciare dalla santità dei Papi del secolo XX, san Pio X (1903-1914), san Giovanni XXIII (1958-1963), il prossimo san Paolo VI (1963-1978), san Giovanni Paolo II (1978-2005). Questa è la via che può cercare di smantellare la “sporcizia” clericale presente dentro la Chiesa e denunciata anche da Papa Francesco nella Lettera al popolo di Dio come prima dal cardinale Ratzinger

Dicevamo, in bellezza, e sarebbe meglio dire in “santità”.
Che dire di un responsabile di Alleanza Cattolica che si permette di mettere insieme, con fare noncurante ma in realtà subdolo, il santo Papa Pio X, santificato dopo 40 anni dalla sua morte, e i papi del Concilio e del post-concilio che si sono frettolosamente santificati fra loro?
La prima cosa che si deve dire è che il Reggente usa strumentalmente un papa santo per avallare la supposta santità dei tre papi dal 1958 al 2005, e per introdurre la prossima santificazione degli ultimi due: Ratzinger e Bergoglio, che qualcuno dice potrebbero essere santificati persino in vita… tale sarebbe uno degli effetti del processo evolutivo della dottrina cattolica instauratosi col Vaticano II.
La seconda cosa che si deve dire è che, come ammesso prima dallo stesso Reggente, questi papi supposti santi non hanno “smantellato la ‘sporcizia’” con la santità, come maldestramente afferma adesso il nostro.
La terza cosa che si deve dire è che, di fronte a tale constatazione, la loro stessa dichiarata santità è talmente dubbia e controversa che il solo richiamarla denota una totale mancanza di prudenza e di carità, tale da demolire tutto il ragionamento del Reggente.
La quarta cosa che si deve dire è che se tale declamata santità ha permesso che la cinquantennale aggressione “dell’ideologia gay” riuscisse “a creare” “le reti di complicità clericale” “dentro il corpo di Cristo” – come sostiene il Reggente –, o questa supposta santità è falsa o questa supposta santità è stata complice o questa supposta santità non è servita e non serve proprio ad un bel niente, malgrado le illusorie aspettative del Reggente.

Siamo forse oggettivi e disinteressati? Nient’affatto, siamo interessati e ci sentiamo coinvolti, tanto è grave la questione che stiamo trattando; per cui non esitiamo ad affermare:
meno male che Mons. Viganò ha preso il coraggio a quattro mani ed ha incominciato a “scoprire gli altarini”, perché altrimenti tutta la “sporcizia” avrebbe continuato a montare sotto un manto di omertà e connivenze con la complicità di chi afferma che la dichiarata santità di Paolo VI e di Giovanni Paolo II avrebbe prodotto un argine!



settembre 2018

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