Utilità dell’enigmistica :

talare – altare

il duplice rifiuto del clero modernista


di Catholicus






Nella mia età avanzata (non più giovane, e nemmeno adulta) ho iniziato a dedicarmi all’enigmistica per contrastare l’invecchiamento e la morte delle cellule cerebrali.  Così mi è capitato di imbattermi in un curioso anagramma, quello della parola “talare”, che anagrammata genera la parola “altare”. Visto ciò, mi è venuta spontanea una riflessione, la seguente: l’abbandono della talare ha portato con sé anche l’abbandono dell’altare.

Il permesso di indossare il clergymen,  venne concesso nei primi anni ’60 (in Francia nel 1963, in Italia nel 1966), durante lo svolgimento del CV II (uno dei primi suoi frutti avvelenati, quindi). In Italia la CEI, tramite il suo Consiglio di Presidenza, il 19 aprile 1966 stabilì che “l’abito talare rimane la veste normale dei sacerdoti e anche dei religiosi”,  elencando di seguito i casi in cui è obbligatorio  indossarla, e lasciando la libertà di indossare il clergyman “quando lo richieda la comodità in un’azione profana (viaggi, escursioni. Guida dell’automobile, ecc.)”.  Ma di fatto questo pronunciamento fu interpretato dai sacerdoti come un “liberi tutti” di fare quello che più aggrada, e soprattutto di imporlo anche ai giovani seminaristi.
Così, di fatto, la talare venne letteralmente gettata alle ortiche (ne dette conferma la Madonna in una sua apparizione, dove la veggente vide, a terra, una talare stracciata).
Oggi, poi, preti e vescovi non indossano più nemmeno il clergymen e vestono comunissimi abiti borghesi (specialmente quelli amanti delle frequentazioni dei salotti televisivi radical-chic), e  spesso non portano più nemmeno il collarino, ma solo camicia e cravatta.

Il motivo recondito di questo rifiuto della talare (come di molti altri aspetti della Chiesa preconciliare) è che non si  vuole più che il sacerdote  sia riconoscibile dal suo abbigliamento, che si distingua a vista tra la gente comune (una volta, quando passava il sacerdote, lo si salutava con  “sia lodato Gesù Cristo” e ci si faceva il segno di croce); quei pochi  che si ostinano ancora ad indossare la tonaca vengono richiamati dai superiori, emarginati, privati dell’insegnamento religioso (è successo recentemente in Austria).
Per capire fin dove è giunto l’affetto per la sacra veste sacerdotale nella Chiesa preconciliare e quanto disprezzo invece nutra per essa il clero modernista (papa incluso)  basti citare due esempi:
-  il primo è il sacrificio del beato Rolando Rivi, il giovane seminarista assassinato dai partigiani comunisti in Emilia  a guerra praticamente già terminata, perché si  rifiutò ditogliersi la talare, simbolo del suo stato di consacrato, odiata a morte dai comunisti (mentre oggi i postcomunisti ci vanno a braccetto, ma oggi la Chiesa, cioè il clero, è modernista, filocomunista e filoprotestante, oltre che sciaguratamente ecumenista); quando la Chiesa tornerà ad essere cattolica, probabilmente lo faranno protettore dei sacerdoti in talare;
- il secondo esempio è un curioso fatterello riportato da un prelato del seguito di papa Francesco; un bel giorno, mentre Bergoglio entrava a Santa Marta per il pranzo, accompagnato dai suoi fedelissimi, notò un giovane pretino seduto a mensa con la talare;  visibilmente contrariato, si rivolse ad un prelato del suo seguito dicendogli “ quello lì non voglio più vederlo a Santa Marta!”.
Fortunatamente  non tutti i sacerdoti (e seminaristi) si sono sottomessi di buon grado alla nuova moda (imposta con pressioni e ricatti), un piccolo resto, già all’epoca del Concilio,  ha fatto resistenza, si è rifiutato, di sottomettersi supinamente alla nuova moda. Vi sono tuttora, specie in alcuni ordini religiosi. esempi di amore per la veste sacerdotale.

Vediamo adesso la testimonianza di un sacerdote francese, giovane seminarista  al momento dell’introduzione del clergyman in Francia, un reduce di quella che lui stesso definisce “la grande persecuzione” dei giovani seminaristi francesi che all’epoca del Concilio si ostinavano a voler indossare la tonaca.

Monsignor Jacques Masson: Come sono diventato un sacerdotenonostante la talare

Monsignor Jacques Masson è stato redattore di lingua francese dell’Agenzia stampa vaticana Fides dal 1978 al 2007, ma è stato, dal 1970 al 1974, anche il primo direttore del seminario di Econe, prima di entrare a far parte della diocesi di Roma. Nel 2009 ha pubblicato le sue memorie sul sito web Hermas, raccontando aneddoti sull’inizio della Fraternità San Pio X e sulla sua esperienza personale durante i cambiamenti all’interno della Chiesa di Francia negli anni ’60.
Scrive Don Fabrizio Loschi:La sua testimonianza mostra bene il detestabile clima che ha avvelenato la formazione e la vita dei sacerdoti durante e dopo il Concilio Vaticano II. Sono entrato in contatto con Monsignor Masson nell'occasione della pubblicazione delle sue memorie ed era molto contento di poter confidarsi a un sacerdote della Fraternità. Non condividiamo tutte le sue scelte, ma oggi, un anno dopo la sua morte, siamo molto felici di poter rendere un omaggio a questo sacerdote che aveva un grande amore per la Chiesa presentandovi un brano delle sue memorie.

Ecco alcuni stralci  dell'articolo scritto il 15 luglio 2009 sul sito web Hermas :

A San Sulpizio

Sono entrato nel seminario di San Sulpizio (famoso seminario dell’Oratorio di Francia a Parigi, ndr), alla fine del mese di settembre del 1963, al termine del mio servizio militare. Nel gennaio 1963 – novità nella Chiesa e in particolare in Francia – fu permesso ai sacerdoti di portare il «clergyman». Miracolo! Come se l’ordine fosse stato dato da lungo tempo, il giorno dopo la pubblicazione del permesso a determinate condizioni – vestito nero o grigio scuro e colletto bianco – la maggior parte dei sacerdoti e dei seminaristi erano vestiti con il clergyman.
All’epoca, stavo finendo il servizio militare presso lo Stato Maggiore Ferroviario a Metz (località del famigerato accordo tra Vaticano e Kremlino all’epoca del concilio Vaticano II - ndr), dopo essere stato in servizio, fino al momento dell’Indipendenza, in Algeria. Arrivai in caserma con la talare, nel novembre 1962, e uscii sempre con la talare, alla fine di maggio del 1963, con i complimenti del tenente colonnello che era molto contento della mia fedeltà all’«abito» che per lui «era come una bandiera».
Il mio arrivo a San Sulpizio con la talare fece impressione. Ho saputo più tardi che alcuni seminaristi andarono immediatamente a parlare con il Superiore per informarlo che in seminario era arrivato un “fondamentalista”…… È stata una rivoluzione fatta in un mese, ilmese d’ottobre, mese del Rosario, da un gruppo di seminaristi già vestiti con la polo, non avendo i professori il coraggio di reagire.
Il 1964 fu di capitale importanza per me, perché ero al 2° anno di teologia che a giugno si concludeva con l’ordinazione suddiaconale …. Nel mese di ottobre del 1964, Padre Longère, superiore del corso di teologia, mi chiamò nel suo ufficio e mi disse queste parole: «Jacques, lo sai, ti voglio bene...».
Attenzione, perché quando un discorso inizia cosi, c’è un PERÒ!
E il però non mancò: «…però devo dirti sinceramente che se non metti il clergyman, il consiglio dei docenti non ti chiamerà al suddiaconato. Con il tuo rifiuto sarai considerato un orgoglioso che va contro il Concilio (Il concilio Vaticano II non ha mai imposto ai sacerdoti l’uso del clergyman - ndr).
Feci allora notare al Padre Longère che gli statuti sinodali avevano dichiarato che la talare era il vestito normale e abituale del chierico e che l’uso del clergyman era solo consentito. Egli mi rispose: «È vero, ma dal momento che tutti i tuoi colleghi e i padri stessi hanno adottato il clergyman, il tuo atteggiamento sarà considerato, ti ho detto, come ostinazione, come orgoglio».  «Jacques, se tu non metti il clergyman, non sarai ordinato suddiacono e non diventerai mai sacerdote».
«Signor Superiore, si tratta di un desiderio o di un ordine?».
«Non posso darti un ordine, perché come hai detto, gli statuti sinodali specificano che la talare è l’abbigliamento normale per il chierico e il sacerdote».
«Lei è il Superiore! È un desiderio o un ordine? Se lei mi dà l’ordine, obbedirò».
«Non posso dare l’ordine. Ma, ripeto, perché ti voglio bene, se non metti il clergyman, non sarai ordinato suddiacono. Credimi!».
Dopo un momento di riflessione, o piuttosto di preghiera, dissi a Padre Longère:
«Signor Superiore, come lei non può darmi l’ordine di mettere il clergyman, allo stesso tempo, sarebbe imprudente da parte mia non ascoltarla e rifiutare di mettere il clergyman. Siccome il mio sacerdozio dipende da questo, suggerisco un compromesso. Lei è d’accordo con il principio?».
«Sono d’accordo!».
«Quindi, sono d’accordo di portare il clergyman come segno di obbedienza al desiderio del mio superiore, anche se non può ordinarmelo. Però, lo porterò solo una volta al mese, l’ultima domenica del mese! Lei è d'accordo?».
«Assolutamente, e ti garantisco che sarai chiamato al suddiaconato».
Ogni ultima domenica del mese, alle ore 12.10, mettevo il clergyman e andavo in refettorio, sotto i fischi dei miei «colleghi». Alla fine del pasto, i docenti ci precedevano e salutavano i seminaristi che volevano parlare con loro. Li salutavo uno dopo l’altro, poi andavo in camera mia, toglievo il clergyman, mettevo la talare, e uscivo a Parigi con i miei amici.
Ho indossato il clergyman dalla fine di ottobre del 1964 alla fine di giugno del 1965 (poi sono andato in vacanza in Lorena), e una volta nel mese di ottobre, per prudenza, in quanto c’era la chiamata al diaconato, il primo grado del sacerdozio. Sono stato chiamato al diaconato e l’ho ricevuto il 30 ottobre 1965.
E così sono stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1966!
Dopo, ho smesso del tutto di portare il clergyman, però l’ho conservato ed è ancora, dopo 44 anni, come nuovo, sempre elegante, come un ricordo della «Grande persecuzione», come scrivevano i preti refrattari alla Rivoluzione sui registri dei battesimi e dei matrimoni, amministrati in segreto a rischio della loro vita e di quella dei fedeli.
Permettetemi ancora un aneddoto sullo stesso tema, per illustrare il furore vissuto in quegli anni contro la talare. Durante l’anno di diaconato mi fu assegnato il ministero di diacono nella parrocchia di Sant’Ambrogio a Parigi, una grande parrocchia. Amministravo i battesimi e predicavo ogni domenica. Naturalmente, tutto il clero era in clergyman, tranne, se non di tanto in tanto, il parroco. Era vecchio, poverino!
Una domenica, Monsignor Veuillot, arcivescovo di Parigi, venne a Sant’Ambrogio per amministrare il sacramento della Cresima. Mi ricordo che dopo aver amministrato parecchi battesimi, una decina, entrai, con il parroco, nella sala da pranzo. Eravamo tutti e due con la talare. Monsignor Veuillot era lì ad aspettarci, vestito con il clergyman.
Il povero parroco, molto imbarazzato, chiese scusa a Monsignor Veuillot per essere con la talare, dicendo: «Mi scusi, vado a cambiarmi».
L’arcivescovo di Parigi gli diede una risposta che esprime il clima del tempo e della carità riservata a coloro che non erano dentro il senso della storia: «Hai ragione, vai a vestirti comeun uomo!» (Sic). A tavola ero seduto davanti a lui, ed ero il solo a essere vestito con la talare. Monsignor Veuillot non mi disse niente durante tutto il pranzo, neanche una parola, e non mi salutò neanche quando se n’è andò”.
Fonte: Hermas.info

Passiamo adesso all’esame del secondo termine dell’anagramma enigmistico oggetto di queste brevi riflessioni, cioè l’altare, gettato anch’esso alle ortiche dal clero modernista dopo la rivoluzione operata con il nefasto concilio Vaticano II.
Con la riforma liturgica (il NOM, “Novum Ordo Missae”,  di Montini, attuato da mons. Bugnini,  sospetto di appartenenza alla massoneria, con l’assistenza di sei pastori protestanti assegnatigli da Paolo VI),
si passò dalla celebrazione della Messa “versus Deum” a quella “versus  populum”, con il sacerdoteche voltava le spalle ai bellissimi altari - ed al SS.moche lì si conservava - che adornavano le nostre chiese, sostituiti da una semplice “tavola liturgica” (definizione, quest’ultima, anch’essa trovata nello stesso settimanale enigmistico, che propone come soluzione il termine “altare”), su cui celebrare il nuovo rito della “cena comunitaria” protestante, una semplice memoria del sacrificio della Croce e non più il suo rinnovamento incruento, compiuta dall’Alter Christus, il sacerdote celebrante.
Grazie (o a causa di) alla riforma di Paolo VI, la santa Messa cattolic a è  diventata quindi  un ibrido rito catto-protestante,  quasi completamente desacralizzato, molto simile alla cena luterana,  la memoria del Giovedì Santo; infatti alla consacrazione si recita la preghiera “Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa…ecc, mentre prima si pregava con le parole del centurione “Signore, non son degno che Tu entri nella mia casa..ecc.;  si è ampliata a dismisura la liturgia della parola, a discapito di quella della consacrazione: letture dell’antico testamento “a go go” (sull’esempio di ciò che fanno i protestanti), preghiera dei fedeli antropocentrica e immanentista (spesso appiattita sul sociale, la politica, il pauperismo ideologico di sinistra); ancora, si è introdotto lo scambio della pace, creando trambusto e confusione là dove invece dovrebbe esserci raccoglimento e adorazione (mica siamo alla riunione di condomino); si sono poi tolte le panche con gli inginocchiatoi, sostituite da anonime sedie da riunione condominiale, cosicché non è più possibile fare l’adorazione ed il ringraziamento nei dovuti modi; il celebrante non si inginocchia più al momento della consacrazione (è lo stesso sommo pontefice a dare questo cattivo esempio); la confessione, quando ci sono confessori (raramente, cioè) avviene “faccia a faccia”, rimanendo inutilizzati (od essendo addirittura stati tolti) i confessionali, così come i   pulpiti ; “last but not leastsi è passati alla Comunione sulla mano (prima la si riceveva in ginocchio, alla balaustra, rigorosamente in bocca,  digiuni da alcune ore), sempre più frequentemente offerta da suore o laici (i cd ministri straordinari dell’eucarestia); una vera profanazione delle Sacre Specie, questa, un’incredibile leggerezza e mancanza di rispetto verso il Corpo ed il Sangue del Signore Gesù. Il ruolo  del celebrante, da alter Christus che rinnova in modo incruento il Sacrificio della Croce, è passato a semplice presidente dell’assemblea, i cui partecipanti sono divenuti essi stessi celebranti (e quando mancano i fedeli? La Messa è valida?).
Insomma, sembra di essere capitati in una specie di assemblea condominiale, dove il celebrante si limita a “presiedere” l’assemblea,  dove ci si scambiano saluti, strette di mano, dove si suonano chitarre e bongi (non più l’organo, non più il canto gregoriano), si applaude, si fanno preghiere dei fedeli con assurde richieste, e dove non di rado si fa propaganda politica, elettorale, sempre a favore delle forze social comuniste. Il tabernacolo  con il SS.mo Sacramento spesso viene relegato in una stanza a parte, o  in una nicchia ricavata in un muro laterale.
Tutto questo avviene sempre più spesso nei nuovi edifici sacri, che di sacro non hanno più niente, assomigliando a delle autorimesse o palasport o altro edificio polifunzionale (persino amorfi cubi di cemento armato); orrendi, bruttissimi edifici dove la sacralità si è smarrita e non c’è alcun invito al raccoglimento ed alla preghiera.   Si è voluto abbandonare la forma a croce latina, con gli altari laterali dedicati alla Vergine Maria ed ai santi, attuando una specie di astiosa vendetta contro le belle chiese che la fede ha saputo regalarci in due millenni, Anche qui i modernisti hanno voluto far passare il messaggio che gli edifici sacri non si debbono più distinguere dal resto delle altre costruzioni,   (infatti non hanno più nemmeno il campanile),  così come è successo per i sacerdoti con l’abbandono dell’abito talare : è evidente lo spirito di vendetta verso la Chiesa preconciliare, con i suoi capolavori architettonici, la bellezza delle cattedrali romaniche, gotiche, barocche, la bellezza della sua liturgia, dei suoi riti, della sua arte sacra.
Un clero ribelle, carico di odio e di desiderio di vendetta verso tutto ciò che ricordava la Chiesa dei Papi fino a Pio XII  ha attuato una specie di “delenda Cartago” e di “damnatio memoriae” della Chiesa Cattolica bimillenaria.

Concludendo abbiamo visto come,  abbandonata la talare, dopo poco tempo i preti modernisti hanno abbandonato anche l’altare, assieme alle balaustre, agli inginocchiatoi, ai confessionali, alle chiese dalla forma “a croce latina” e. ciò che è peggio, hanno abbandonato la Messa tridentina, sostituita con un rito dal sapore molto protestante (cambiata la Messa, cambiata la religione, diceva Martin Lutero) .





settembre 2018
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