CEI: “Va abrogata la messa antica,
papa Ratzinger ha sbagliato”.


di Roberto ed Enrico


Articolo pubblicato sul sito Messa In Latino

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Le voci che ci erano giunte sono state confermate: a Roma, in occasione dell’Assemblea della CEI, si è provato a colpire il motu proprio di Benedetto XVI. E quindi lui stesso, che ebbe così cara quella riforma, tanto da affrontare impavido un’opposizione assatanata. 

Che cosa è accaduto?

Mons. Redaelli, vescovo di Gorizia (che sappiamo avere conseguito la laurea in diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana) ha asserito che il Messale Antico di Giovanni XXIII era stato abrogato da Paolo VI (e ciò contrariamente a quanto dichiarato da Benedetto XVI nel Motu Proprio) e che quindi il Summorum Pontificum, essendo errate le premesse giuridiche da cui muove i passi, è inefficace nella parte in cui afferma la continuazione di validità del messale antico e ne riconosce l’immutata vigenza ai giorni nostri. Per tale motivo, il motu proprio è un “non-sense” giuridico e la liturgia “tridentina” non è stata legittimamente ristabilita dal motu proprio e non può considerarsi liberalizzata.

Con la conseguenza, sperata dai vescovi più ostili, di una cancellazione totale e senza deroghe di tutti i centri messa nati e fioriti dopo il 14.09.2007

Al che rispondiamo da giuristi professionisti, non semplici dottori in legge in tutt’altre faccende impegnati come l’Eccellenza: quand’anche fosse stata errata la premessa del motu proprio di una liturgia antica numquam abrogata (ed errata non era, come dimostra, a tacer d’altro, la preesistente facoltà di celebrarla con il regime dell’Indulto), il dato essenziale è che il Summorum Pontificum esprime una ratio legis inconfutabile: ossia che la forma straordinaria sia d’ora innanzi liberamente utilizzabile; sempre per le Messe private, e su richiesta di un gruppo stabile per quelle pubbliche.
Sicché la critica di Mons. Redaelli, se pur fosse fondata (e non lo è), non avrebbe alcuna incidenza sul diritto canonico vigente dopo il 2007.

A quell’intervento da causidico si è affiancato quello ancor più ostile di Girardi, rettore dell’istituto di liturgia pastorale di Santa Giustina di Padova (uno degli epicentri  delle aberrazioni postconciliari), imbottito della peggiore ideologia dello “aggiornamento”.

Scevro di cognizioni giuridiche ma colmo di tracotanza liturgistica (la nota facezia che circola in Vaticano è che la differenza tra un liturgista e un terrorista è che con il secondo, di solito, si può trattare...), il Girardi ha spiegato che il Summorum Pontificum è pernicioso dal punto di vista della pastorale, poiché contrario alle indicazioni conciliari dei Padri che richiedevano (a suo dire) una modifica radicale all’antico messale. Il che per inciso non è per nulla vero, come dimostra la lettura della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che ad esempio non prevede che il prete debba stare girato verso il popolo e al n. 36 prescrive categoricamente: «L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini».

A dare manforte al liturgista hanno parlato anche un Vescovo pugliese e mons. Brambilla, vescovo di Novara, che seppur in maniera più elegante ha sferrato  un colpo comunque duro contro il motu proprio.

Certo, dopo essersi preoccupati di cambiare le traduzioni inveterate del Gloria e del Padre Nostro, senza che nessuno ne sentisse la necessità (ah, ovviamente non è stato ancora modificato il “per voi e per tutti”: quello sì palesemente in contrasto con la versione originale, ossia con le parole stesse di Nostro Signore che disse: “per voi e per molti”), perché mai le Loro Eccellenze dovrebbero perder tempo ad analizzare i veri motivi della grave crisi di fede in cui sta vivendo la Chiesa Italiana (fuga dai seminari, abbandono della tonaca di molti sacerdoti, crollo della pratica,  episodi terribili di omosessualità e pederastia, altari delle teste mozze, crollo dell’8xMille alla Chiesa Cattolica, solo per citare alcuni esempi)? 

L’urgenza del momento era, a quanto pare, scagliarsi contro la liturgia antica ed auspicarne la messa al bando.

C’è qualcosa di sinistramente psicopatico in tutto ciò ed è l’invidia del fallito: nel crollo delle proprie utopie, nel gelo dell’inverno in cui si è tramutata la radiosa ‘primavera conciliare’, è troppo doloroso guardare in faccia la realtà ed ammettere onestamente i propri errori. Meglio allora cercare di distruggere quel poco che ancora funziona, come lo zelo ed il decoro delle celebrazioni in rito antico e il fiorire delle vocazioni negli istituti religiosi tradizionali. Il caso dei Francescani dell’Immacolata e l’odio per la liturgia immemoriale sono un chiaro esempio di questa insana frenesia di naufraghi impazziti, che cercano di capottare le poche zattere che ancora galleggiano, anziché pensare a salirvi sopra o a costruirne di nuove.





novembre 2018
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