OPE LEGIS - CONSIDERAZIONI SUL RIDIMENSIONAMENTO DEL MOTU PROPRIO “SUMMORUM PONTIFICUM”

di Cesare Baronio

Pubblicato mercoledì 26 dicembre 2018
sul sito dell'Autore: Opportune importune






La notizia della imminente promulgazione del documento con cui viene sciolta la Pontificia Commissione Ecclesia Dei è trapelata sulla stampa. La maggior preoccupazione dei Cattolici conservatori è che questa decisione di Bergoglio costituisca solo il primo passo ufficiale verso l’abolizione del Summorum Pontificum, o quantomeno verso un suo drastico ridimensionamento.

Già alcune settimane orsono, in seno alla Conferenza Episcopale Italiana, Redaelli, Brambilla e Girardi avevano caldeggiato la soppressione del Motu Proprio, definendolo un non-sense giuridico [qui]. Ovviamente quelle esternazioni, lungi dall’esser prontamente censurate, dovevano rappresentare un primo ballon d’essai per valutare le reazioni dei fedeli. La firma del documento papale aggiunge una seconda, prevedibile conferma della minaccia che incombe su quanti si trovano a beneficiare della liturgia tradizionale dovendo al contempo accettare saltem impliciter tutto l’impianto dottrinale, liturgico e disciplinare del Vaticano II, che a quella liturgia è palesemente alieno.

Secondo La Verità [qui], la decisione di Bergoglio ha come scopo ultimo la cancellazione del Motu Proprio di Benedetto XVI, che per ora - lui vivo - può esser solo depotenziato nei suoi effetti; lo scopo secondario, ma non per questo meno insidioso, dovrebbe esser quello di creare in vitro una competizione tra la Fraternità San Pio X e l’ala conservatrice della Chiesa, «per alimentare le gelosie tra gruppi tradizionalisti». Questa, però, è una voce malevola e tendenziosa diffusa da ambienti conservatori legati alla Santa Sede, che vorrebbero attribuire la responsabilità dello scioglimento dell’Ecclesia Dei ad una sorta di congiura della Fraternità San Pio X ai danni dei concorrenti approvati da Roma.
Una voce diffusa ad arte da chi ha trovato qualche sprovveduto che ha prontamente abboccato all’amo.

Conoscendo il gesuita Bergoglio, è facile intuire che questo rientri nella strategia di indebolimento dell’opposizione conservatrice e al contestuale rafforzamento degli ultraprogressisti. Suona nondimeno difficile pensare che la Fraternità consideri strategicamente positiva l’idea di vedersi riconosciuto dalla controparte romana una sorta di monopolio dell’antica liturgia, e questo per un semplice motivo: qualora essa si trovasse a dover contestare le presenti e future deviazioni dottrinali dell’Argentino, sempre più sconcertanti, si troverebbe de facto ghettizzata, e con esso il rito tridentino stesso. E questa doverosa opposizione alle eresie di Bergoglio - soprattutto dinanzi al silenzio dei Prelati conservatori - non potrà esser differita solo per timore di veder rinnovate quelle sanzioni canoniche, che negli scorsi decenni furono comminate dalla Santa Sede all’Istituto di mons. Lefebvre, peraltro ricorrendo a pretesti giuridici che mascheravano altri ovvi intenti. É impensabile che l’attuale Superiore Generale della Fraternità, don Davide Pagliarani, possa sceglier la via del silenzio nei confronti di Roma, vieppiù laddove dovessero realizzarsi quelle riforme deliranti che da più parti si annunciano come imminenti.

Il progetto di Bergoglio è quindi chiaro: far sì che la Fraternità diventi l’unico Istituto ad avere una vera e propria indipendenza liturgica e dottrinale, in attesa di liberarsene; tollerare temporaneamente gli Istituti dell’Ecclesia Dei che hanno indipendenza liturgica parziale ma totale dipendenza dottrinale e disciplinare dalla Santa Sede, e quindi sempre sotto minaccia di un commissariamento; infine, privare i sacerdoti della possibilità di celebrare liberamente il rito antico, con il pretesto che sarebbe venuta meno quella «emergenza liturgica» che aveva originato la Pontificia Commissione [qui].

Rimane nondimeno il fatto che - dopo la revoca delle cosiddette scomuniche da parte di Benedetto XVI ed il successivo riconoscimento quasi completo della giurisdizione della Fraternità ad opera di Bergoglio - l’inevitabile denuncia degli errori e delle eresie verrebbe facilmente additata come una mancanza di gratitudine verso la Sede Apostolica, tale da giustificare il diniego dell’autorizzazione a consacrare nuovi Vescovi, con il conseguente riproporsi della situazione del 1988. Anche in quel caso, senza poter ovviamente condannare la Fraternità per la sua ortodossia, si riuscì a scomunicarne i membri costringendo mons. Lefebvre a disobbedire alla Santa Sede, che continuava a rinviare le Consacrazioni episcopali, nella speranza che la morte del Presule risolvesse la questione.

In sostanza, il Vaticano sta facendo in modo che la Fraternità si trovi nella situazione di dover compiere dei passi che abbiano come inevitabile conseguenza il materializzarsi dello scisma. Uno scisma che - giova ricordarlo - sarebbe provocato da Bergoglio col solo scopo di estromettere l’unica voce integralmente cattolica in seno alla Chiesa, o almeno la più rappresentativa ed incisiva. E di far confluire in essa quel dissenso diffusissimo tra i fedeli ed il basso Clero, esasperato dal paradigm shift di Santa Marta e - c’è da credere - scandalizzato dalla revoca della liberalizzazione del Vetus Ordo.

I moderati diranno che l’allarme circa la cancellazione del Summorum Pontificum è immotivato, e che il Motu Proprio già firmato ma non ancora promulgato si limiterà probabilmente ad un riordinamento organizzativo, e che esso non avrà alcun impatto concreto nella celebrazione della liturgia tradizionale così com’essa è attualmente. Saranno soprattutto la Fraternità San Pietro, l’Istituto del Buon Pastore e l’Istituto di Cristo Re a sostenerlo in pubblico, mentre in privato stanno già ricorrendo ai loro protettori di Curia, ai quali sollecitare interventi discreti affinché non venga decretata la loro sparizione. Qualcuno ha anche escogitato il sistema per dar la colpa del «furto della Messa tradizionale» alla Fraternità, cosa che non solo è manifestamente infondata, ma che contraddice palesemente l’atteggiamento da essa mostrato nei confronti dei tanti sacerdoti che si sono riavvicinati alla liturgia perenne della Chiesa.

Il prevedibile risultato - come acutamente preconizzava Patrick Archbold [qui] è che venga revocata la possibilità di celebrare nel rito antico a tutti i sacerdoti secolari e regolari che non facciano parte del rassemblement ufficiale: «Penso che abrogheranno il Summorum Pontificum (in particolare il diritto individuale dei sacerdoti di celebrare la Messa antica) pur continuando a permetterne la celebrazione all’interno di una struttura di super-indulto creata dall’Ecclesia Dei. […] Ci riporteranno all’era dell’Indulto e ci ammasseranno in alcuni gruppi (Fraternità San Pietro, Istituto di Cristo Re ecc.) e in alcuni centri di indulto esentati dalla liturgia ordinaria».

A confermare questa eventualità tutt’altro che remota, ecco un primo, significativo passo da parte dell’avanguardia bergogliana. Il 17 Dicembre scorso mons. Víctor Manuel Fernández, Arcivescovo Metropolita di La Plata, in Argentina, ha promulgato un decreto [qui] con il quale - in palese violazione al dettato del Motu Proprio Summorum Pontificum - viene imposta al Clero dell’Arcidiocesi la sola celebrazione della liturgia montiniana, in lingua vernacolare, con l’altare rivolto al popolo. La Messa tridentina è stata confinata ad una sola celebrazione domenicale ed una sola feriale per tutta l’Arcidiocesi. Ed è da notare che questo decreto non solo viola il Motu Proprio, ma contraddice anche le disposizioni liturgiche del Novus Ordo, che non impongono - almeno in teoria - né l’orientamento dell’altare versus populum, né l’uso esclusivo della lingua volgare.

Ricordiamo che mons. Fernández, detto Tucho, è il ghost writer delle encicliche bergogliane, suo intimo amico e confidente, ed uno dei più strenui sostenitori di Amoris laetitia nella sua interpretazione eretica. Avevo scritto di questo Prelato lo scorso Marzo [qui], quando egli se ne uscì con un’affermazione sconcertante: «Io vedo che dentro l’ambito cattolico, lo stile di Francesco sta producendo un’irreversibile demitizzazione del papato. Finora alcuni cattolici potevano criticare i Papi, ma ora c’è un’enorme libertà nel farlo senza che nessuno venga sanzionato per questo. Ciò toglie alla figura del Papa quell’alone eccessivamente sacro, di essere superiore e intoccabile».

Sempre a proposito di Bergoglio «superiore e intoccabile», Tornielli chiedeva al Presule se dopo Amoris laetitia ci fosse confusione nella Chiesa. E Fernández risponde: «Amoris laetitia implica un cambio paradigmatico nel modo di trattare situazioni complesse, anche se ciò non comporta l’apertura di tutte le porte. Va sicuramente più in là della possibilità per alcuni divorziati risposati di poter ricevere la comunione. Questo cambio, che ci impedisce di essere duri e matematici nei nostri giudizi, è molto fastidioso per alcuni. Ma il Papa ha fatto pubblicare una nota negli “Acta Apostolicae Sedis” come “magistero autentico”. Solo il Papa può prendere una decisione di questo tipo e Francesco l’ha fatto. Quindi, non c’è alcuna confusione. Sappiamo già cosa il Papa richiede. Un’altra cosa è che ti piaccia o meno, che ti sembri buono o meno. Ma quindi non si deve dire: “è confuso”. Si deve dire: “non mi piace”. O meglio: “Io preferisco una Chiesa con norme più ristrette”».

Non pare fuori luogo ipotizzare che questa decisione dell’Arcivescovo di La Plata costituisca - secondo il procédé tipico della setta conciliare - un’anticipazione di quel che si appresta a fare, a livello globale, Bergoglio. Ed essendo mons. Fernández molto influente in seno alla Conferenza Episcopale Argentina, è evidente che il suo assist verrà interpretato dai confratelli come un perentorio ed autorevole invito ad adeguarsi anch’essi, ostacolando l’applicazione del Summorum Pontificum fino a quando, in virtù dell’Autorità Apostolica, l’Argentino darà il colpo di grazia alla liturgia tridentina, sbaragliando l’ala conservatrice cattolica.

Scriveva Patrick Archbold: «No, non metterà al bando la Messa tradizionale in latino, non penso: troppo tardi per questo e c’è un modo molto più semplice per raggiungere i suoi obiettivi. Il Papa farà qualcosa di molto peggio che vietarla: la cambierà. […] Così il gioco è fatto. Qualsiasi gruppo approvato che resista ai cambiamenti o si lamenti troppo forte verrà sottoposto alla Visita Apostolica e verrà eliminato per aver rifiutato di sottomettersi al Pontefice. Qualsiasi comunità diocesana dell’Indulto che opponga resistenza verrà fatta fuori. E ogni Cattolico che pensi di poter scendere nelle catacombe e avere solo Messe celebrate in case private? No: i singoli sacerdoti non hanno più il diritto di dire la Messa. Chi ci prova vuol dire che si rifiuta di sottostare all’autorità del Papa: è uno scismatico, e così pure qualsiasi Vescovo. O si accetta la sottomissione al Vaticano II o si è considerati scismatici. Qualsiasi tentativo di vivere un’autentica vita cattolica tradizionale, sia come religioso, o semplicemente frequentando la Messa antica, ti renderà automaticamente uno scismatico. Se ti rivolgi alla Fraternità San Pio X sei scismatico. Se vai a una Messa clandestina, sei scismatico. Se costituisci un gruppo di fedeli sotto una regola tradizionale senza il permesso di Roma, sei scismatico. Trasformeranno qualsiasi tentativo di vivere una vita cattolica tradizionale in un atto di disobbedienza».

Mi permetto nondimeno di evidenziare una grave mancanza di lungimiranza in quanti, pur animati da buone intenzioni, hanno accettato la parziale applicazione del Motu Proprio. La liberalizzazione della liturgia tridentina, così come prevista, autorizzava la costituzione del coetus fidelium in tutte le parrocchie, senza chiedere alcuna autorizzazione all’Ordinario del luogo, se non in caso di impossibilità o indisponibilità del proprio Parroco. Invece, si è lasciato che gli Ordinari designassero una chiesa non parrocchiale in cui i fedeli legati al rito antico avessero le loro funzioni come in una riserva indiana.

Questa deroga al dettato del Motu Proprio avrebbe dovuto esser denunciata sin dal principio, perché è evidente che se si fosse potuto celebrare il Vetus Ordo in molte parrocchie, e non solo in una chiesa, anche i parrocchiani non abituati al rito antico avrebbero potuto conoscerla e si sarebbero sentiti meno penalizzati nell’assistervi, cosa che viceversa è avvenuta lasciandosi estromettere dalla vita parrocchiale; gli stessi Parroci avrebbero conosciuto la liturgia tridentina e probabilmente molti di loro l’avrebbero apprezzata, lasciandosi anche formare dallo spirito profondamente cattolico che essa trasmette. L’applicazione ad litteram del Motu Proprio avrebbe insomma diffuso ulteriormente la Messa di San Pio V, rendendo molto più complicato tornare allo status quo ante.

Dobbiamo quindi riconoscere che l’aver preferito cedere su questo punto, da parte di numerosi gruppi di fedeli conservatori, li ha indeboliti sin dal principio, anziché rafforzarli, perché li ha concentrati in pochi centri, permettendo ora di colpirli con maggior efficacia e senza coinvolgere molte più chiese. Anche di questo, duole ammetterlo, avevo scritto nel 2007 e poi nuovamente nel 2011 [qui], ricordando che la destinazione di una chiesa per la celebrazione del rito tridentino era già prevista dall’Indulto Apostolico Ecclesia Dei, e che la novità del Summorum Pontificum risiedeva soprattutto nel fatto che i fedeli potessero rivolgersi al proprio Parroco per veder riconosciuto il loro diritto. 

Dinanzi al realizzarsi di queste previsioni - estremamente realistiche - vien da chiedersi se i Prelati, i sacerdoti ed i laici legati alla liturgia tradizionale si lasceranno privare del diritto loro riconosciuto da San Pio V e confermato da Benedetto XVI, o se sapranno disobbedire coraggiosamente ad una vera e propria prevaricazione che non ha alcuna giustificazione se non l’odio teologico verso la Messa cattolica.

Il problema è che, sia che obbediscano sia che non obbediscano, avranno reso possibile quello scisma de facto verso cui li ha condotti Bergoglio: «Ecco: questo è il modo in cui si può trasformare uno scisma de facto in uno scisma reale, con i fedeli cattolici posti fuori dalla Chiesa ufficiale. […] Hanno chiuso ogni via di fuga e ci stanno guidando verso la scogliera, perché è lì che ci vogliono. Scegliere: obbedienza o fede».

L’unica possibile via per scongiurare questa estromissione ope legis dei Cattolici dalla Chiesa, oggi eclissata ed infeudata da apostati, è di denunciare con la massima forza questo abuso, prima che si concretizzi in un atto ufficiale con la promulgazione del Motu Proprio.




dicembre 2018
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI