IL CARDINALE NEWMAN.

IL PRIMATO DELLA COSCIENZA


di Roberto Pecchioli


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia








John H. Newman (1801-1890), intellettuale, scrittore, poeta, filosofo, cardinale cattolico, polemista, fu tra i protagonisti della cultura del XIX secolo. La sua figura è ancora più importante oggi, nel deserto spirituale e civile che egli aveva previsto e a cui aveva opposto un pensiero di grande profondità, i cui pilastri sono la fede religiosa, il primato della coscienza, la ricerca della verità, la fiducia nella ragione umana aperta alla trascendenza.

Cresciuto in una famiglia anglicana, figlio di un banchiere, si convertì al cattolicesimo nel 1845, una scelta che destò enorme clamore in tutta la Gran Bretagna. Papa Leone XIII, altro grande della seconda metà dell’Ottocento, lo fece cardinale nel 1879, nonostante la freddezza del clero inglese. Nel secolo XX il pensiero di Newman ha aumentato la sua influenza, tanto che Paolo VI definì il suo itinerario spirituale ed esistenziale “il più significativo che il pensiero umano abbia condotto nell’età moderna”. Lo schivo oratoriano, devoto di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, venerabile dal 1991, poi beatificato personalmente da Benedetto XVI nel suo viaggio inglese del 2010, sarà canonizzato a breve.




Il cardinale Newman a Roma


La sua vasta opera spazia dalla produzione omiletica, con i Sermoni, alla filosofia pura (Grammatica dell’Assenso), all’alta educazione culturale (L’idea di Università), alla politica (Lettera al Duca di Norfolk), alla narrativa, con romanzi assai letti al suo tempo (Loss and gain, Callista) sino a composizioni poetiche.
Non si può comprendere il pensiero di Newman senza accennare al cosiddetto movimento di Oxford, o tractariano, attivo in Inghilterra negli anni della sua conversione. I tractariani, chiamati così per l’abitudine di diffondere le loro idee attraverso brevi pamphlet, o trattatelli, intendevano reagire alla crescente secolarizzazione della Chiesa d’Inghilterra e all’influenza del liberalismo razionalista e utilitarista che stava improntando la società inglese. Sulle piste economiche di Smith, Ricardo e Malthus (un pastore anglicano) e sotto l’influenza del materialismo radicale di Jeremy Bentham, la vittoria politica del liberalismo cambiò la società britannica a partire dal Reform Act del 1832.

La riflessione di Newman si concentrò sul rapporto tra la sfera del divino e la ragione umana. Nell’epoca dell’ottimismo scientifico, del positivismo filosofico e delle prime grandi applicazioni tecnologiche, nella bufera della rivoluzione industriale e dell’urbanizzazione forzata dell’Inghilterra, Newman si rese conto che il sedicente progresso portava gli uomini a distanziarsi dallo spirito, dalle tradizioni ereditate, tanto più dopo il successo delle idee del francese Comte, di John Stuart Mill e poi di Herbert Spencer. Si stava consumando il divorzio tra fede (spirito) e ragione (materia), cui egli contrappose un vigoroso primato della coscienza come principio base del giudizio e dell’agire umano.

Particolarmente duro fu l’attacco sferrato da Newman contro il trionfante liberalismo, di cui contestava “il carattere arido e ripugnante”, la cui pericolosità sta “nell’aprire la porta ai mali che non comprende.” Il liberalismo per lui non è altro che uno scetticismo profondo la cui essenza, tanto nella religione quanto nella politica, è il giudizio privato, la riduzione di ogni questione ai dettami “fallibili e impudenti della conoscenza personale e insignificante”.
I liberali postulano la supremazia della ragione umana, ovvero il meschino, arrogante criterio utilitarista esemplificato dal sistema di Jeremy Bentham, e disprezzano l’umiltà cristiana. Credono scioccamente nella bontà naturale e nell’infinito miglioramento dell’uomo. Dio stesso diventa insignificante, una sorta di proprietà privata del singolo credente, da nascondere e dimenticare.




Il cardinale Newman: il primato della coscienza

Dalla centralità della coscienza, nucleo centrale del pensiero di Newman, discendono tutti gli altri argomenti, quasi come un prolungamento, rami di un medesimo albero. Gli fu molto caro il tema dello sviluppo della personalità, la cui costante crescita interiore “resta la sola dimostrazione della vita”. La relazione tra fede e ragione fu oggetto di lunghe meditazioni e di vari scritti, sino alla conclusione filosofica della Grammatica dell’Assenso. Assenso significa per lui accettazione, abbraccio incondizionato della verità. Netta è la polemica con John Locke l’empirista precursore del liberalismo, per il quale l’assenso si fonda sulle premesse, implica dei gradi e può essere più o meno forte secondo gli argomenti su cui si fonda.

Enorme fu l’influenza di Newman nella cultura, specie attraverso L’idea dell’università, uno dei testi più significativi dell’umanesimo cristiano, in cui delinea il compito delle istituzioni di studio, fornire un sapere unitario insieme con un abito mentale critico e disinteressato.
Fu il promotore dell’istituzione di un’università cattolica in Irlanda, un ambiente dove la trasmissione del sapere diventasse una disciplina morale. L’istruzione non può insegnare la virtù, ma la disciplina interiore che accompagna la vera cultura ne è un elemento. Compito della conoscenza umana è il Vero, non il Bene o il Sacro. 
L’università, istituzione umanistica che sviluppa lo spirito filosofico, ossia l’amore della verità, ha per fine costruire la persona (la paidèia di Platone e Aristotele), rifiuta la strumentalizzazione del sapere all’utilità pratica ma, pur derivando da Dio, mantiene un’autonomia anche rispetto alla salvezza escatologica.

L’idea dominante in Inghilterra di modellare l’istruzione su un programma di efficienza utilitaristica lo sconvolgeva, come la pretesa di espellere la teologia poiché “la verità religiosa non è una porzione, ma una condizione di conoscenza generale.”
L’educazione umanistica, che egli chiama “liberale” in senso non politico, è la disciplina intellettuale, l’allenamento costante mediante cui l’intelletto, anziché essere sacrificato per qualche scopo specifico, lavoro o professione, si apre al pensiero critico, alla coscienza morale, alla “chiara, calma accurata visione e comprensione di tutte le cose, per quanto il pensiero finito possa comprenderle”.




Ambrose St. John e John Henry Newman


Newman non era un politico, ma è facile inserirlo nell’alveo conservatore, attaccato com’era all’autorità ricevuta, alle tradizioni, al sentimento profondamente inglese della lealtà personale. L’uomo, sensibile e raffinato, provava una ripugnanza profonda nei confronti del gelido utilitarismo vincente in un’epoca in cui Cesare cominciava a rivendicare le cose di Dio per occultarle.
Cerco me stesso nel mondo degli uomini e trovo una vista che mi riempie di un’angoscia indicibile.” L’ostilità e il disprezzo ostentati da Bentham e Stuart Mill verso la spiritualità e la trascendenza erano il principio di una secolarizzazione che sarebbe culminata nell’umanitarismo posticcio dei presunti filantropi.

John Newman sapeva, come Edmund Burke prima di lui, che una società sopravvive grazie alla fede. Il liberalismo è distruttivo e anti comunitario per la sua pretesa di abolire la verità attraverso la volontà umana, riducendo ogni scelta, compresa la stessa religione a preferenza personale, da ignorare nei rapporti tra le persone.
Finora il potere civile è stato cristiano. Anche in nazioni separate dalla chiesa come la mia, quand’ero giovane, valeva ancora il detto [che] il cristianesimo è la legge del paese”. Quella struttura civile, costruzione sapiente del cristianesimo, è stata abbandonata. Ma senza una religione, “la conoscenza secolare è uno strumento di mancanza di fede. La scienza fisica non può portare certezze poiché le teorie più plausibili non sono altro che probabili supposizioni.”
La conoscenza non è il risultato di un’istruzione nella scienza fisica. Come la virtù, essa è il prodotto di un processo sottile che gli uomini apprendono imperfettamente. Questo è ciò che Newman chiamava senso illativo, “il pensiero che controlla il nostro ragionamento, non un apparato tecnico di parole e frasi”.

La vera crescita intellettuale sta nel rafforzamento del senso illativo, che potremmo paragonare, in senso ampio, all’appercezione, il termine introdotto da Leibniz per definire l’atto riflessivo attraverso cui l’uomo diviene consapevole delle percezioni, estese da Newman al mondo dei sentimenti e della coscienza. I fatti scientifici, sostiene, non placano la noia dell’uomo moderno, né leniscono il suo tormento di fronte all’ignoto. Se nell’educazione poniamo la natura al posto della grazia, la scienza al posto della coscienza, “faremo come se stessimo indugiando nei desideri e nelle passioni e stessimo prestando un orecchio sordo alla ragione.
I principi non si scoprono sommando i dati secondo il metodo di Bacone (la conoscenza è potere). La vita è azione, se “insistiamo con le prove per ogni cosa non arriveremo mai all’azione. Prima devi supporre, e quella supposizione è la fede.”




Alla ricerca della verità: la figura del cardinale Newman, nel deserto spirituale e civile che, egli aveva previsto e a cui aveva opposto un pensiero di grande profondità oggi è ancora più importante.


Famoso e controverso è un brano della Lettera al Duca di Norfolk in cui Newman afferma “se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che non mi sembra proprio la cosa migliore) brinderò, se volete, al papa; tuttavia, prima alla coscienza, poi al papa”. Contrariamente al senso relativista attribuito frettolosamente all’affermazione, resa al culmine della polemica del liberale Gladstone contro il Concilio Vaticano I intenzionato a stabilire il dogma dell’infallibilità pontificia, il primato della coscienza non significa affatto che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità in un mondo in cui la verità è assente.
La coscienza è piuttosto la presenza attiva e imperiosa della verità, il luogo dell’assenso alla sua chiamata. Si può affermare che per Newman la coscienza è il superamento della soggettività nell’incontro tra l’interiorità e la verità posta da Dio nel cuore dell’uomo.
Si tratta di una modalità distinta per definire con Tommaso, pur da estraneo alla neoscolastica, la verità e la ragione come adaequatio rei et intellectus, adeguazione dell’intelletto alla cosa, il dualismo risolto tra realtà e pensiero.

In questo senso va inteso anche il dogma conciliare, in cui l’infallibilità petrina riguarda esclusivamente le questioni di fede. “Se il papa o la regina pretendessero obbedienza assoluta, lui o lei trasgredirebbero le leggi della società umana: a nessuno di loro si deve obbedienza assoluta”. Un criterio allora assai sgradito agli ultramontani, i sostenitori dell’infallibilità generale del Pontefice, da rivendicare oggi dinanzi al neo- ultramontanismo di risulta secondo cui questo papa ha sempre ragione, tanto che sarebbe nata una “Chiesa di Francesco”.

La riduzione dell’uomo alla sua soggettività non lo rende libero, ma schiavo dell’opinione corrente, della pigrizia conformista, della presunzione. Quando gli uomini si appellano alla coscienza, osserva Newman, “intendono il diritto di pensare, parlare, agire secondo il proprio giudizio e umore senza darsi alcun pensiero di Dio, (…) ma oggi il diritto e la libertà della coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza. Essa è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i secoli passati non avevano mai sentito parlare e dalla quale non si sarebbero lasciati ingannare: il diritto ad agire a piacimento”. 
L’attualità di queste frasi è sconvolgente, al tempo in cui la coscienza è confusa con l’opinione, il sentimento soggettivo, l’interesse o la comodità. Il santuario della coscienza è stato desacralizzato, con la conseguenza che l’uomo, separato dall’Infinito, si è segregato anche dal prossimo, un’isola in un mare di nebbia.

Cruciale è il rapporto di John Newman con i padri della Chiesa. Convinto che la religione possa mutare il suo linguaggio, ma non la dottrina e le verità di fede, la patristica era per lui la fonte metafisica più vicina al tempo di Cristo, alla sua parola concreta.
Poiché il cuore dell’uomo è inquieto e non si placa se non nell’abbandono a Dio, Agostino non poteva essere che il santo e il filosofo a lui più affine. Il soggetto, la persona, trovò, sulle tracce dell’autore delle Confessioni, l’attenzione più profonda nella monumentale opera di Newman. Il centro resta sempre la coscienza, mai disgiunta dalla verità. Coscienza personale non è banale autodeterminazione, ma ascolto della presenza imperativa e percepibile della verità in interiore homine.




Un pensiero di grande valore e attualità. La riflessione di Newman si concentrò sul rapporto tra la sfera del divino e la ragione umana.


Fa’ ciò che vuoi sarà tutta la legge, era l’equivoca formula dell’oscuro esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), in cui catturava il senso magico del potere. Il passaggio successivo al relativismo liberale è l’abolizione della coscienza, giacché per fare ciò che ci aggrada non c’è bisogno di legge né di coscienza.
E’ illuminante al riguardo il brano seguente, che leggiamo con dolore di orfani: “se il papa parlasse contro la coscienza (…) commetterebbe un suicidio; verrebbe a togliere il terreno sotto i suoi piedi, poiché la sua missione è proclamare la legge morale e proteggere e rinvigorire quella luce che illumina ogni uomo che viene al mondo. E’ nella coscienza e nel suo carattere sacro che si fondano l’autorità e la potenza del Papa.”

Molto importante è il rapporto che legò Newman a San Paolo: entrambi convertiti, uomini colti provenienti da ambienti di potere, lottatori indomiti con l’arma della sapienza e della parola. Altrettanto singolare è l’affinità con un grande scrittore italiano, Alessandro Manzoni, un filo che si riscontra soprattutto nell’attenzione alla storia e nella fiducia nella Provvidenza, aspetti fondamentali della loro visione del mondo.
La vita di Newman fu essenzialmente la storia di un incontro con il Dio della rivelazione entrato nel tempo. Di conseguenza in ogni tema si rintraccia un elemento storico, tanto più vigoroso nell’epoca dell’irruzione delle ricerche storiche, delle scoperte archeologiche, delle teorie evoluzioniste che spingevano a guardare al passato mentre i successi dell’industria e della scienza sembravano proiettare l’uomo in un futuro di progresso.

Per Newman era necessario presentare agli uomini del XIX secolo il cristianesimo in chiave storica, un’urgenza ancora più forte per l’esangue atomo solitario del nostro presente, chiuso nell’immanente, schiavo dell’immediato. Se il più grande intervento di Dio è stata l’incarnazione, la Chiesa stessa è storica per essenza.
Così inizia Lo sviluppo della dottrina cristiana: “il cristianesimo da troppo tempo esiste sulla terra perché occorra dare una prova che esso è un fatto appartenente alla storia del mondo “. Un fatto, comunque si valuti la figura di Gesù Cristo, che i popoli dell’Europa, primi e privilegiati destinatari del suo messaggio, diventato il cuore della loro civiltà, hanno dimenticato, obliterato, cancellato dall’orizzonte.

John Henry Newman parla alla nostra coscienza affinché, insieme con una nuova apertura al trascendente, si rianimi la civiltà che da Cristo ha preso avvio. Contro la decadenza spirituale, storica, civile e morale di quella che fu Cristianità cioè Europa (Novalis), resta insuperato il monito: la crescita è la sola espressione di vita. Contro la rassegnazione di chi ha smesso di battersi, vale un suo motto, “la santità piuttosto che la pace”.





dicembre 2018
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI