Il vulnus contro i cattolici

Il vulnus è la proibizione della Messa di Pio V

di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia









Il punto focale attorno a cui ruota l’attuale lotta, ideologica e di potere, oltre che economica e politica, all’interno della Chiesa cattolica, e che la sta dilaniando come mai era accaduto, se non, forse, al tempo dell’eresia ariana, verso la metà del IV secolo, è la Messa.

Non c‘è alcun dubbio che la santa Messa è il cuore della religione cattolica; e pertanto che l’idea di cosa è Messa, e il modo in cui la si celebra, determina ciò che la Chiesa è, o ciò che potrebbe divenire. In altre parole, se si vuole cambiare la  chiesa, si cerca di cambiare la Messa; e quando si è riusciti a cambiare la Messa, si è cambiata anche la fede cattolica.
Ora, immaginando di stendere un velo pietoso sui continui e scandalosi abusi liturgici degli ultimi anni, resta il fatto che la Messa non è un rito che ciascun sacerdote possa improvvisare: la Messa cattolica è una, e tale deve esser celebrata in tutto il mondo, secondo modalità precise e scrupolosamente codificate. Tale codificazione è contenuta nel Messale: pertanto riformare il Messale non è cosa da poco: significa metter mano al cuore stesso della fede cattolica.

Ecco perché il Concilio Vaticano II, che ha prodotto la cosiddetta riforma liturgica, non è stato quel che volle apparire: non è stato un concilio puramente pastorale, ma è stato il solo concilio della storia che ha puntato a modificare la dottrina, agendo attraverso un radicale cambiamento liturgico. La liturgia non è una semplice veste, un abito esteriore che la religione indossa per celebrare i suoi riti; è molto di più: la liturgia accompagna le anime dei fedeli nel cuore della Messa, cioè nel cuore della fede cattolica.




Le analisi di Papa Ratzinger sono sempre teologicamente puntuali e rigorose della tradizione, ma le sue conclusioni sono a dir poco "ingenue": come pensare che tutta la rivoluzione del Concilio Vaticano II fosse avvenuta per caso?  La pubblicazione della lettera Summorum pontificum del 7 luglio 2009 da parte di Papa Benedetto XVI fu per la "Mafia di San Gallo" l’equivalente di una dichiarazione di guerra: non avevano più tempo da perdere, quel papa doveva essere forzato a dimettersi.


Ora, riforme liturgiche ce ne sono state parecchie  nel corso dei secoli, all’interno della Chiesa; ce ne sono state anche nella prima metà del XX secolo. Ciò che caratterizza la riforma liturgica scaturita dal Vaticano II, e la distingue da tutte le altre, è da un lato la rottura operata nei confronti di alcuni aspetti decisivi della Tradizione, di cui il capovolgimento dell’altare verso l’assemblea e la sostituzione del latino con le lingue nazionali sono solo gli aspetti più vistosi, e dall’altro lato, la proibizione del Messale precedente, fatto inaudito e mai verificatosi in passato.
Benedetto XVI, nella sua autobiografia, ha giustamente posto in evidenza questo carattere di assoluta novità, e quindi di radicale rottura, della riforma liturgica di Paolo VI: l’abolizione del vecchio Messale, quello di Pio V, promulgato nel 1570, acquistava il significato di una sconfessione e di un rinnegamento di tutta la liturgia precedente, e faceva pensare che la liturgia stessa è una costruzione puramente umana, soggetta a revisioni e a radicali mutamenti, così come avviene, o può avvenire, per tutte le cose umane.
In altre parole, ciò faceva evaporare il carattere soprannaturale della liturgia: che è adorazione del Mistero ed è ispirata dall’alto, da Dio stesso, affinché gli uomini lo adorino nella maniera giusta e lecita, e non in forme disordinate e idolatriche.
Gli eccessi scandalosi ai quali stiamo assistendo oggi, con i cardinali che fanno i pizzaioli nelle chiese, i vescovi che fanno i cantanti pop, quelli della Comunità di Sant’Egidio che fanno i cuochi e i ristoratori, e altri cardinali che fanno gli impresari di spettacoli musicali gay a beneficio ed edificazione dei fedeli, sempre nelle loro cattedrali, non è che la logica, sciagurata conseguenza di questa rivoluzione copernicana della liturgia: perché è stata una rivoluzione, non una riforma; ed è stata copernicana, nel senso che ha posto la terra al centro dello spazio ideale del credente, e quindi l’uomo, e non più il Cielo.

Proibire l’uso del “vecchio” Messale, quindi, più ancora che introdurne uno nuovo, è stato un vulnus, una ferita inferta volutamene alla fede cattolica, al preciso scopo di indebolirla, confonderla, deprimerla. È come se si fosse voluto dire ai cattolici che i loro genitori, i loro nonni e loro stessi, fino al 1969, avevano pregato nel modo sbagliato, avevano celebrato la Messa in maniera inadeguata, non erano stati veramente nel solco del Vangelo di Gesù Cristo.




La manovra dei rivoluzionari conciliari, dei Gesuiti della "Mafia di San Gallo" contava e conta anche sul fattore tempo: quando saranno scomparse materialmente le persone che avevano visto celebrare la vecchia Messa, le nuove generazioni di cattolici crederanno che la Messa sia sempre stata quella di Paolo VI: una specie di assemblea popolare che celebra Dio a parole, ma, in sostanza, l’uomo stesso.


Le premesse dello scisma erano lì, non le ha create Bergoglio. Prima o poi si sarebbe posta l’alternativa: o adottare la nuova liturgia e riconoscere, sia pure implicitamente, che la vecchia liturgia era “sbagliata” e che, con la nuova liturgia, era nata anche una nuova chiesa e si andava delineando una nuova fede, oppure ripensare quel che il Vaticano II era stato davvero, quel che la cosiddetta riforma liturgica aveva pretesto di fare, e dire: “no, grazie”, per non rinnegare la vera chiesa, ciò che la Chiesa era stata per millenovecento anni e lungo l’arco di duecentosessanta pontificati, durante i quali c’erano stati venti concilii prima del Vaticano II: mentre ora i progressisti citavano sempre e solo quest’ultimo, e mostravano diffidenza, fastidio, disgusto, per tutta la vecchia liturgia, per la vecchia pastorale, per la vecchia teologia, per la vecchia apologetica, perfino per la talare e i simboli perenni del cristianesimo, a cominciare dalla croce (che, infatti, in alcune chiese costruite dopo il Concilio è addirittura scomparsa, almeno all’esterno dell’edificio).

Benedetto XVI, uomo colto e intelligente, si rese conto del pericolo e proprio per questo, crediamo, volle, con il motu proprio Summorum pontificum, reintrodurre la Messa di Pio V, tanto più che una proibizione formale non c’era stata (né avrebbe potuto esserci), proprio come non c’era stata affatto una proibizione del latino e tuttavia, di fatto, il latino era stato abolito. Non si trattava solo di rimediare a un abuso, lo scippo della Messa tridentina che da quattro secoli i cattolici celebravano come la loro vera e unica Messa; ma anche, e forse soprattutto, di ristabilire un principio: che non sono possibili, nella storia della Chiesa, discontinuità di alcun genere, tanto meno liturgiche, proprio perché la Chiesa non è una cosa meramente umana, come non lo è la liturgia, e quindi è assolutamente sbagliato dare a credere ai fedeli che la si possa aggiornare, aggiungendo e togliendo qualcosa, con la stessa disinvoltura con cui un meccanico aggiunge o toglie dei pezzi al manufatto cui sta lavorando. Scrive, infatti, nella lettera apostolica Summorum pontificum, pubblicata il 7 luglio 2009, a tre anni dalla sua elezione al pontificato, Benedetto XVI:

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato perché questa sorta di edificio liturgico (…) apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia.
Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.
A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa…

Benedetto XVI ha visto giusto: la proibizione del Messale antico era stata un vulnus gravissimo (da: Joseph Ratzinger, La mia vita, San Paolo, 1997, pp. 113-115):

Il secondo grande evento all’inizio dei miei anni di Ratisbona fu la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente, dopo una fase di transizione di circa sei mesi. (…). Ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. (…) … era del tutto ragionevole e pienamente in linea con le disposizioni del Concilio che si arrivasse a una revisione del messale, (…). Ma in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro. (…) Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della liturgia, che viene talvolta addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’, come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta.




Il gesuita Bergoglio fu imposto al posto di Papa Ratzinger per completare il golpe gesuita: una delle prime cose che guarda caso ha realizzato è commissariare i francescani dell’Immacolata, che celebravano anche la Messa di Pio V, proibendogliela e revocando di fatto, ma illegalmente, il Summorum Pontificum...

L’analisi è esatta, ma la conclusione è a dir poco ingenua: come pensare che tutto ciò fosse avvenuto per caso? Come ipotizzare la buona fede di quanti avevano voluto una così drammatica rottura della tradizione liturgica? E come illudersi che sarebbe bastato un motu proprio per reintrodurre il vecchio Messale, sia pure a determinate condizioni, quasi che si trattasse di rimediare a un errore compiuto involontariamente? Niente affatto: chi aveva voluto il nuovo Messale di Paolo VI, aveva voluto anche la soppressione del vecchio, e per una ragione ben precisa: sostituire alla liturgia come celebrazione del Mistero una liturgia come assemblea di popolo.
Quei rivoluzionari, travestiti da innocui riformatori, non si sarebbero mai rassegnati a un compromesso: il loro scopo era chiaro, fare in modo che non si potesse mai più tornare indietro. La pubblicazione del Summorum pontificum fu, per loro, l’equivalente di una dichiarazione di guerra: qualcosa che non potevano assolutamente tollerare. Il loro obiettivo era fare in modo che si perdesse del tutto il ricordo della vecchia Messa tridentina: che non era affatto, nel senso proprio dell’espressione, la Messa di Pio V, perché Pio V non aveva creato nulla di nuovo, aveva solo riformato la Messa già esistente, nel solco della perfetta continuità; mentre la Messa di Paolo VI, quella sì era una cosa del tutto nuova, nuova perfino dal punto d vista architettonico, dato che richiese metter mano a tutte le chiese, una per una, compiendo un inaudito scempio artistico, per creare dei nuovi altari da porre al centro del presbiterio, in modo che la Messa di svolgesse interamente al cospetto dei fedeli, col sacerdote che guarda verso di loro e non più che li indirizza, tutti quanti, a guardare verso l’alto: verso Dio Onnipotente, contenuto nel tabernacolo del Santissimo.
La manovra dei rivoluzionari contava anche sul fattore tempo: quando fossero scomparse materialmente le persone che avevano visto celebrare la vecchia Messa, le nuove generazioni di cattolici avrebbero creduto che la Messa sia sempre stata quella di Paolo VI: una specie di assemblea popolare che celebra Dio a parole, ma, in sostanza, l’uomo stesso.
A nostro parere, la pubblicazione del Summorum Pontificum fu vista dai nemici del vecchio Messale come un’azione pericolosissima, che avrebbe ridato legittimità e visibilità a una forma liturgica che essi volevano cancellare per sempre. A partire da quel momento, moltiplicarono le loro pressioni per mettere Benedetto XVI in una situazione senza uscita. Tutto quel che egli faceva o diceva veniva interpretato con malevolenza, nella maniera peggiore possibile; preti e vescovi non si facevano scrupoli a criticarlo apertamente, a pretendere le sue scuse ogni volta che una sua frase veniva estrapolata dal contesto e presentata come offensiva verso questi o verso quelli, perlopiù verso i non cristiani.
Del resto, lo si  era già visto con la lectio magistralis di Ratisbona, del 12 settembre 2006, quando una singola frase era stata letta come un’offesa nei confronti dell’islam, ad esempio da parte del gesuita responsabile del dialogo con l’islam, Tom Michel, il quale aveva detto: Penso che utilizzando un autore mal informato e carico di pregiudizi come Manuele II Paleologo il Papa abbia seminato mancanza di rispetto nei confronti dei musulmani. Noi cristiani dobbiamo ai musulmani delle scuse.

La mafia di San Gallo non aveva più tempo da perdere: quel papa doveva essere forzato a dimettersi. Una delle prime cose che ha fatto Bergoglio è stata, guarda caso, commissariare i francescani dell’Immacolata, che celebravano anche la Messa di Pio V, proibendogliela e revocando di fatto, ma illegalmente, il Summorum Pontificum...





gennaio 2019
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