Una finzione chiamata Francesco


Pubblicato sul sito Fratres In Unum





Non è durato a lungo. Infatti, l’attuale pontificato gode di una certa sopravvivenza solo per inerzia. È una sorta di vita vegetativa che persiste solo nel non morire. Ma il popolo non si sbaglia più.

Gli scandali sessuali negli Stati Uniti, il disagio degli europei per l'ossessione migratoria del Pontefice, la sconfitta della sinistra nei Paesi più importanti dell'Occidente, sono segni più che eloquenti di un pontificato autistico, incapace di interagire con la realtà, totalmente alienato.

Anche tra i vescovi, il cui consenso adulatorio raggiunge livelli di indecente eccitazione verbale, non si tratta neanche di cose ripetute a pappagallo, ma di discorsi avulsi dalla pratica. In verità, la Chiesa di Francesco è un progetto nato morto e i suoi maggiori propagandisti sono quelli stessi che lo abortiscono, relegandolo solo nella prigione delle parole, senza una qualche possibilità di incarnazione.

Per altro verso, le persone seguono il loro istinto di pecore, quelle stesse pecore di cui Papa Francesco pretende di portare l’odore, ma da cui si allontana nel suo operato, alleandosi con tutta l’élite finanziaria che vuole usare il cattolicesimo solo come cartellone per le sue idee libertarie. Ovviamente, tutto questo non sarebbe possibile senza il declassamento della Chiesa al livello di una mera società umanistica ammantata di apparenza religiosa.

Giustizia sociale, pace nel mondo, ecologia integrale, diplomazia multilaterale e l'“altro” sono il gergo del lessico bergogliano, un dialetto pastorale il cui tenore non solo è incomprensibile per il cattolico ordinario, ma attiene soprattutto a parole chimeriche, volteggianti, che autodenunciano una totale perdita di contatto con il mondo concreto, con i problemi reali.
E le persone se ne vanno… In Europa diventano agnostici; nelle Americhe, protestanti, perché nessuno sopporta più la cacofonia psicologica di discorsi in cui le parole non sono più collegate alla realtà.

Il problema del cattolicesimo odierno è eminentemente cognitivo. Non si tratta solo di una linea teologica o di uno stile di governo papale… Gli ecclesiastici fluttuano su nuvole color rosa, le loro parole sono meri zufoli di vento, pieni di nulla. I progressisti continuano a seguire la stessa strada della scuola di Francoforte, specialmente di Luckacs, e continuano a scambiare il popolo reale con un “popolo possibile”, esistente solo nelle loro menti intossicate della mondanità. Ed è con questo popolo immaginario che parlano, è per esso che scrivono, è per esso che predicano, e dal momento che esso non esiste, le persone reali guardano perplesse il dialogo tra il prete e il fantasma teologico, si rendono conto che il prete è impazzito, e uscendo per strada incontrano il pastore pentecostale che tocca loro la testa, ascolta i loro problemi reali e li aiuta ad attivare la loro fede: un cattolico di meno a Messa, un protestante in più al culto non cattolico.

Come è stato possibile arrivare a questo livello di rottura tra gli ecclesiastici e gli uomini normali?

Dall’inizio del XX secolo, la Chiesa cattolica è stata come sequestrata, segregazione che si è intensificata col papato di Paolo VI e che ha raggiunto un livello totalizzante con l’attuale pontificato: la diplomazia vaticana ha preso il sopravvento su tutta la Chiesa cattolica.

Sono i diplomatici che governano la Curia romana, sono loro che amministrano le nunziature e vi lavorano dentro, sono loro che scelgono i vescovi e lo fanno sempre con il criterio più diplomatico che esista: uomini innocui, privi di opinioni, che scivolano tra i conflitti del clero con guizzi da anguille, abbastanza inetti da non aver alcuna idea formata; politici che pensano solo ad adulare i loro superiori, gente senza fede e che non possiede alcun tipo di forte convincimento religioso che possa essere interpretato come fanatismo o fondamentalismo; in definitiva, soggetti completamente neutri, senza personalità, ma che sanno amministrare molto bene le finanze di una diocesi, perché, in fin dei conti, è da qui che si misura il loro successo pastorale.

I diplomatici sono solo burocrati che devono promuoversi attraverso la legittimazione reciproca. Essi vivono in un teatro i cui spettatori sono essi stessi. Il loro scopo è solo quello di ascendere nella gerarchia interna della diplomazia vaticana.
Questi signori si dedicano ad interpretare i loro ruoli e non sospettano nemmeno che dietro di loro ci sia un mondo reale. Essi interagiscono, quindi, solo con loro stessi e si muovono solo attraverso pure idee prive di ogni sostanza. Non c’è da stupirsi se hanno lanciato la Chiesa tra le nuvole, come un aquilone in un pomeriggio d’estate.

Lo stesso Papa Francesco, tra l’altro, è una finzione mal compresa. L’idea stessa che egli sia un “papa pastorale” è un’assurdità. Per capirlo, basta leggere la sua biografia: non è mai stato parroco, nemmeno per un giorno; ha trascorso tutta la sua vita occupandosi degli affari interni della Compagnia di Gesù o dei collegi dello stesso Ordine. È andato a studiare in Germania, ma non ha ottenuto abbastanza voti per continuare gli studi. Sempre in conflitto con i suoi confratelli gesuiti. Denunciato da padre Kolvenbach come ambizioso, è riuscito a farsi nominare vescovo ausiliare di Buenos Aires, poi arcivescovo e, infine, papa.

Il Papa argentino non ha una base filosofico-teologica e nemmeno una sufficiente esperienza pastorale. Non gli è rimasto altro che quel romanticismo idealistico, da caffè e irreale, circa un popolo che esiste solo sui giornali, nei libri sulla “teologia del popolo”, nei discorsi appassionati e deliranti di chi non si è mai confrontato seriamente con la realtà.

Il popolo, prigioniero nelle mani di burocrati smarriti, affidato alle cure di vescovi che si comportano come figure formali, guidato da un papa che coniuga l’onnipotente fiducia in se stesso con l’incompetenza multidisciplinare, non c'è da stupirsi che vada nella direzione opposta al completo disorientamento dei suoi capi. In altre parole, non è esattamente il popolo ad essere disorientato, sono i pastori. Il popolo ha semplicemente imparato ad ignorarli.

E il popolo li ignora perché capisce quello che sono, o meglio, quello che non sono.

Sotto questo aspetto, Bergoglio personifica bene il momento attuale. Un papa pastorale che non è mai stato pastore, un uomo che vuole mutare la storia della Chiesa, ma è ignorante di teologia… Come il semianalfabeta Lula si piccò di firmare un decreto di riforma ortografica, Francesco è solo il firmatario di ciò che gli dicono i burocrati, in quanto loro stessi vanno lanciando la Chiesa in un oceano di palloncini e di aquiloni volanti.
Il caos ecclesiale nel quale questo pontificato ci sta gettando è frutto più dell’incapacità intellettuale di questi signori, che di altro. Essi pensano perfino di camminare verso la Chiesa di Gesù, mentre invece stanno delirando in mezzo a banderuole colorate.

Francesco è un nome vuoto, l’etichetta di una finzione, il nomignolo di un sistema fallito; per i buoni cattolici: un incubo da cui anelano svegliarsi, perché si ridia loro la vita, la dottrina, la Chiesa, perché possano ritornare sulla via di Dio, di Dio che regge la realtà, di Dio che allieta la nostra giovinezza.









gennaio 2019
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