Le falle de “La Domenica”

 

di Belvecchio




Confessiamo che non siamo abituati a leggere il foglio de “La Domenica”, sia perché non ne abbiamo bisogno, sia perché sappiamo da tempo che contiene spesso errori liturgici e dottrinali.
Così nel foglio del 27 gennaio 2019.
A firma di “un liturgista” si trova una breve informazione sul precetto  di assistere alla Messa la Domenica e le feste comandate.





Il “liturgista” comincia con l’affermare che i primi discepoli non avevano bisogno di questo precetto; in effetti - aggiungiamo noi – non c’era neanche la Chiesa e quindi non c’era alcun precetto come lo conosciamo noi. Solo che i primi cristiani, e non solo i primi discepoli, si riunivano “a spezzare il pane” “il primo giorno della settimana” (Atti 20, 7); quindi egli sbaglia quando scrive che “ben presto incominciarono a riunirsi nel giorno della risurrezione”; questa dizione – “giorno della risurrezione” - è una estrapolazione moderna che non a niente a che vedere col giorno liturgico della Domenica.
Ancora oggi la Chiesa comincia a contare i giorni della settimana a partire dalla Domenica, cioè a partire da un giorno che, essendo considerato il primo, non può essere che il “giorno del Signore”, Colui che è il padrone del tempo e l’inizio di tutte le cose; lo dice la stessa parola: Domenica (Domínica dies = giorno del Signore).
Se ne deduce che fin dai primi anni si trattava del modo di vita dei primi cristiani, che la Chiesa ha poi tradotto, logicamente, in un precetto.

Il “liturgista” continua usando una sbrigliata fantasia: “… certi che il Risorto … sarebbe stato presente per interpretare le Scritture e donare sé stesso nei segni sacramentali del pane e del vino”. Espressione, questa, che non è cattolica e non appartiene all’insegnamento della Chiesa.
La presenza del Signore non riguarda la celebrazione della Messa, ma la preghiera in comune, come riporta San Matteo (18, 19-20): «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
Quest’idea della presenza del Signore nel corso della messa, come la intende il “liturgista”, non appartiene ai cattolici, ma ai protestanti, che non credono nella transustanziazione.

Come riportano gli Atti degli Apostoli (vedi sopra), i primi cristiani si riunivano il giorno del Signore “a spezzare il pane”, cioè a ripetere quanto aveva fatto Gesù, e a farlo come Egli aveva voluto che si facesse; e questo comando di Gesù riguardava e riguarda solo quel tempo della Messa che si chiama “Consacrazione”: quando il ministro consacrato presta se stesso a Gesù Cristo, e agendo come se fosse Cristo (in persona Christi) ripete i gesti e le parole di Cristo all’Ultima Cena, così che si realizzi il miracolo della transustanziazione, del mutamento della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.
Tutto questo non ha niente a che vedere con Gesù che interpreterebbe le Scritture e donerebbe Sé stesso, come scrive il “liturgista”; e ancor meno a che vedere con quanto scrive subito dopo: “due gesti di Gesù che costituiscono ancora oggi la struttura rituale della messa: liturgia della parola e liturgia eucaristica”.
Il rito della Messa è certamente articolato, ma non comporta affatto “due liturgie”, la liturgia è una sola: composta da una parte istruttiva: letture e omelia; una parte sacrificale: offertorio e canone; e una parte ecclesiale: comunione.
La cosiddetta “liturgia della Parola” è un’invenzione moderna che scimmiotta il rito protestante, che è composto essenzialmente da letture, canti e predica e che disconosce la parte sacrificale.
La Messa cattolica è giustamente detta “Santo Sacrificio della Messa” perché realizza il rinnovamento incruento del Sacrificio cruento di Gesù. Il rito protestante è solo un ricordo dell’Ultima Cena, nel corso del quale si suppone e si spera che si realizzi quanto detto da Gesù: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Parlare quindi di “liturgia della Parola” significa adottare la concezione protestante che è meramente umana e prescinde volutamente dal soprannaturale: niente azione in persona Christi, niente transustanziazione, nessuna comunione col Corpo di Cristo resosi realmente presente sull’Altare e nelle specie consacrate. “Liturgia della Parola” è cosa non cattolica e limitata al mero agire degli uomini: tanto è vero che modernamente è ormai in uso sostituire la Messa con una riunione di fedeli che pregano senza bisogno del “sacerdote”, il sacer-dot, il portatore del sacro, poiché in tale riunione non v’è più niente di sacro, al pari del rito protestante.

Ed è inevitabile che un tale “liturgista” arrivi a scrivere: “Se in un recente passato la partecipazione alla messa domenicale poteva essere condizionata dal contesto sociale, oggi sta diventando sempre più una libera e responsabile scelta di fede”.
Come dire che per secoli e secoli i nostri antenati sarebbero andati a Messa per mera consuetudine “sociale” e per niente animati dal desiderio di andare a ricevere le grazie derivate dalla Messa, per la loro santificazione e la salvezza della loro anima.
Concetto, quest’ultimo, che il “liturgista” sconosce, dal momento che scrive: “oggi sta diventando sempre più una libera e responsabile scelta di fede”, cioè un desiderio di assistere o di partecipare alla Messa per mera devozione, senza predisporsi a ricevere le grazie che il Signore stesso elargisce nel corso della Messa.
Lo spiega lo stesso “liturgista: “la partecipazione all’Eucarestia domenicale prima di essere una questione di precetto è una questione di identità. Il cristiano ha bisogno della domenica”.
Ecco dunque trasformata la necessità di partecipare al Santo Sacrificio della Messa e di attingere alle grazie in essa elargite dal Signore, in una sorta di bisogno psicologico di affermazione di se stessi.

Questi brevi interventi contenuti nel foglio de “La Domenica” dovrebbero essere delle succinte catechesi per i fedeli che vanno a Messa, e infatti lo sono, solo che non si tratta di catechesi edificanti, ma di suggestioni fuorvianti, come se si volesse fare di tutto, consciamente o no, per indurre i fedeli a credere non quello che la Chiesa ha sempre insegnato, ma quello che ultimamente insegnano i nuovi preti della nuova Chiesa sempre meno cattolica e sempre più protestante e mondana.




gennaio 2019
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