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Il Papa che piace agli islamici Intervista ad Adnane Mokrani,
teologo musulmano e professore presso il Pontificio Istituto di Studi
Arabi, sul viaggio di Francesco negli Emirati Arabi Uniti
Intervista condotta da Nico Spuntoni Pubblicata sul sito
In Terris
Il Cairo, 28 aprile 2017 - L’abbraccio tra Papa Francesco e l’imam Ahmad al-Tayyib A nemmeno una settimana dal ritorno a Roma dopo l’intensa Giornata Mondiale della Gioventù di Panama, Papa Francesco è pronto per salire nuovamente le scalette dell’aereo. La destinazione questa volta sono gli Emirati Arabi Uniti, dove rimarrà fino al 5 febbraio. Un viaggio breve ma decisamente rilevante, specialmente nell’ottica del dialogo interreligioso. Nei due giorni di permanenza, il Pontefice vedrà il Principe ereditario Sheikh Mohammed bin Zayed nel Palazzo presidenziale ed entrerà nella Gran Moschea dello Sceicco Zayed per incontrare i membri del Muslim Council of Elders. Il primo giorno ad Abu Dhabi si concluderà al Founder’s Memorial con l’importante incontro sul tema “Fratellanza umana”. Prima di ritornare a Roma, nella mattinata di domenica Francesco terrà la sua unica omelia celebrando la Messa allo Zayed Sports City. Abbiamo chiesto ad Adnane Mokrani, teologo musulmano e professore di studi islamici e di relazioni islamo-cristiane presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, di presentare ai nostri lettori questa Visita Apostolica ormai imminente. L’accademico tunisino, che insegna anche presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, ci ha spiegato i motivi per cui il viaggio papale può segnare una tappa cruciale nell’ambito del dialogo tra le religioni. Professore, quali conseguenze può avere nel mondo sunnita la Visita del Papa ad Abu Dhabi ? Questo viaggio ha un grande
significato storico e simbolico non solo per il mondo sunnita, ma per
tutti i musulmani. E’ la prima volta, infatti, che un Pontefice fa
tappa nella Penisola Arabica, il luogo dove nacque Maometto. E’
particolarmente significativo, poi, che a realizzarla sia un Papa che
si chiama Francesco: sin dalla scelta del nome - che richiama, da un
lato, ad un ritorno allo spirito evangelico di povertà, di
umiltà, di servizio e, dall’altro, indica apertura e lavoro per
la pace - egli dimostrò di avere una visione che include il
dialogo islamico-cristiano.
Tra i musulmani come si sta vivendo l’attesa per questo viaggio?
Il Papa è molto
rispettato nel mondo islamico, specialmente tra le persone colte e
attente alle notizie internazionali. E’ apprezzato come istituzione e
soprattutto come persona perché sin dal primo documento,
l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, ha parlato in modo molto
positivo dei musulmani e in tanti discorsi ed interviste ha voluto
sottolineare l’importanza di distinguere tra l’Islam come religione ed
il terrorismo come deviazione, chiedendo di non generalizzare. Al
contrario, ha sempre incoraggiato a vedere il lato positivo e questo
gli ha conferito grande credibilità tra gli islamici di tutto il
mondo.
Gli Emirati Arabi Uniti, seppur in presenza di storture, hanno conosciuto negli ultimi anni una rapida crescita economica che ha determinato un’ondata di arrivi di lavoratori stranieri. Molti di essi sono di fede cristiana. Lei crede che questo Paese possa rappresentare un modello di convivenza religiosa pacifica attualmente? In confronto alla situazione che
si vive nei Paesi vicini, bisogna constatare che negli Emirati Arabi
Uniti la libertà religiosa è rispettata. L’economia
nazionale si basa sul petrolio e sul gas, ma poiché i cittadini
originari sono pochi, si è presentato il bisogno di manodopera,
specialmente di quella necessaria per lavorare nei pozzi o
nell’amministrazione. Questa necessità ha comportato una
presenza internazionale rilevante, con un’alta percentuale di cristiani
che arrivano al milione di unità e sono originari soprattutto
dell’Asia. Nel Paese ci sono chiese, templi induisti, buddisti ed altri
edifici religiosi. Questo è un segno positivo che indica
accoglienza, accettazione e pluralismo religioso.
L’Arabia Saudita è intenzionata a intraprendere la stessa strada? Lo spero. Tra Abu Dhabi e Riad
c’è un’alleanza politica molto forte. Ci sono segni positivi
sulla questione religiosa, ma aspettiamo dei passi concreti
perché non contano i discorsi, bensì i gesti.
I cattolici ad Abu Dhabi sono nella quasi totalità stranieri. Crede che la Visita del Papa possa portare a conversioni autoctone? La conversione è un
mistero divino, una cosa molto intima che avviene nel ‘santuario’ della
coscienza umana. La conversione non è solo cambiare religione ma
anche cambiare visione della propria religione. Ad esempio, si
può diventare musulmani più dialoganti, più
sensibili alla bellezza altrui, capaci di apprezzare la bontà
ovunque e questa è già una conversione. Se la si intende
su questo piano, penso che la Visita Apostolica sia molto importante
perché ‘converte’ i credenti al dialogo, alla pace, al rispetto
reciproco. Se si parla, invece, di una conversione al cattolicesimo;
non so quanto sia fattibile dal punto di vista giuridico.
L’appuntamento principale del viaggio papale sarà l’Incontro interreligioso internazionale dedicato alla Fratellanza umana che si terrà lunedì 4 febbraio. Può spiegarci in cosa consisterà? Si tratta di un convegno
internazionale di dialogo interreligioso a cui parteciperanno sapienti
musulmani da tutto il mondo e ci sarà anche la presenza ebraica.
Questo dà una dimensione internazionale alla Visita Apostolica:
il Papa, infatti, andrà negli Emirati non solo per incontrare le
persone che vivono lì, ma anche chi viene da lontano. E,
soprattutto, vedrà Ahmed al Tayyeb, l’imam
dell’Università “Al Azhar” del Cairo, il centro teologico
più importante dell’Islam sunnita. L’Incontro del 4 febbraio
è molto positivo perché il Papa non si reca lì
soltanto per tenere discorsi, ma va anche per ascoltare.
Un’ultima domanda: nei giorni scorsi è stato respinto il ricorso presentato da due imam fondamentalisti contro l’assoluzione di Asia Bibi. I gruppi più estremisti hanno annunciato nuove proteste. Non è il momento di una reazione del mondo islamico internazionale contro rigurgiti d’odio di questo tipo? Magari proprio sull’esempio di quegli uomini di legge di fede islamica che si sono battuti per la causa di quest’innocente in nome della verità, rimettendoci anche la vita. Un segnale decisivo si è
visto nello stesso Pakistan dove qualche settimana fa c’è stata
una riunione degli imam del Paese che hanno fatto una dichiarazione
ufficiale di sostegno ad Asia Bibi, difendendo le minoranze e parlando
del loro diritto alla cittadinanza piena e alla partecipazione alla
vita sociale e politica nazionale. Una dichiarazione formale della
leadership islamica del Paese che fa vedere come la vicenda non sia
stata percepita soltanto come una questione di leggi e di tribunali ma
anche di cambiamento culturale e sociale.
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