Intervista di Don Claude Barthe

sulla
soppressione della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei


Condotta da Karl Peyrade
 

L'intervisa è stata rilasciata, il 7 febbraio 2019,
al sito francese Le Rouge et Le Noir







Nota di Le Rouge et Le Noir

Don Claude Barthe è il cappellano del pellegrinaggio internazionale Summorum Pontificum e da poco ha iniziato a pubblicare un foglio di riflessione sulle questioni di attualità religiose: Res Novae (resnovaeroma@free.fr).
Specialista della liturgia romana tradizionale e analista riconosciuto della attuale crisi della Chiesa, il suo ultimo lavoro è stato pubblicato nel dicembre 2918, col titolo: La messe de Vatican II. Dossier historique, ed. Via Romana.
Egli ha voluto rispondere alle domande di Rouge et Noir sulla recente soppressione della Commissione Ecclesia Dei.

Nota della Redazione di Una Vox

Don Claude Barthe è nato nel 1947; dopo aver frequentato l’Istituto Cattolico di Tolosa, dove ha conseguito un diploma di studi superiori, è entrato nel seminario della Fraternità San Pio X, a Ecône, dove è stato ordinato sacerdote da Mons. Lefebvre, nel 1979.
Un po’ ai margini nella stessa Fraternità, al punto da essere considerato da alcuni: “sedevacantista”, se ne allontana e dopo alcuni anni di attesa viene incardinato nell’Arcidiocesi di Auch.
Nel 1987 dà vita alla rivista Catholica insieme a Bernard Dumont. E’ stato autore di diversi lavori dedicati alla crisi della Chiesa e intanto ha insegnato nei seminari dell’Istituto del Buon Pastore e dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote. A più riprese è stato redattore, e lo è ancora, dell’emittente Radio Courtoisie e della rivista L’Homme Nouveau.
Alla fine degli anni ’90 è stato uno dei chierici, insieme ad altri e anche ad alcuni della Fraternità San Pio X, che parteciparono al tentativo operato dal GREC – Groupe de Réflexion Entre Catholiques (Gruppo di Riflessione tra Cattolici) - per giungere “comunque” alla regolarizzazione canonica della Fraternità.


R&N: Ci può ricordare la finalità della Commissione Ecclesia Dei e in che modo era organizzata?

Don Barthe: La prima finalità della Commissione Ecclesia Dei permette di comprendere cosa accade oggi. Essa è stata fondata nel 1988, col motu proprio di Giovanni Paolo II: EcclesiaDei adflicta, in seguito alle consacrazioni dei quattro vescovi effettuata da Mons. Lefebvre senza mandato pontificio. Il suo scopo era di «facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, dei seminaristi, delle comunità religiose o di singoli religiosi che fino a quel momento avevano avuti legami con la Fraternità San Pio X (FSSPX) fondata da Mons. Lefebvre».
In concreto, questo significava organizzare un mondo tradizionale «ufficiale»:
con l’erezione e la supervisione di comunità che, almeno all’origine, raggruppavano dei sacerdoti che avevano fatto parte della FSSPX e delle comunità amiche (in particolare l’erezione della Fraternità San Pietro e del Priorato – poi Abbazia – di Le Barroux), e che non volevano «seguire» le consacrazioni di Ecône. Con la raccomandazione rivolta ai vescovi diocesani di permettere «generosamente» la celebrazione della Messa tradizionale nelle loro diocesi, quando i fedeli lo chiedevano.
Ma se la Fraternità San Pio X non era la sola preoccupazione della Commissione, ne era, a guisa di sfondo, la più importante. Questo divenne ancora più vero quando, a partire dal 2000, in occasione del pellegrinaggio della Fraternità San Pio X a Roma, il Card. Castrillon, Prefetto della Congregazione per il Clero, divenuto anche Presidente della Commissione, stabilì dei contatti con la Fraternità in vista di una reintegrazione canonica. Tali contatti sfociarono, a mo’ di tappa, nella remissione delle scomuniche dei quattro vescovi della Fraternità, nel 2009, effettuata da Benedetto XVI.
Per altro verso, il motu proprio Summorum Pontificum, del 2007, che teoricamente ridava diritto di cittadinanza alla liturgia tradizionale, seguito dal «decreto d’applicazione»: l’istruzione Universae Ecclesiae del 30 aprile 2011, rafforzò il ruolo della Commissione nella gestione della liturgia tradizionale, definita «forma straordinaria».
Per inciso, si può far notare che la Commissione Ecclesia Dei, all’epoca del Card. Castrillon, si arrogò la facoltà di erigere delle comunità i cui membri non erano usciti dalla FSSPX, come l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote.

R&N: Qual è il contesto della sua soppressione?

Don Barthe: Evidentemente, il contesto è quello del pontificato bergogliano, ben distinto dal pontificato ratzingeriano: Papa Francesco non ha lo stesso interesse di Benedetto XVI per la liturgia tradizionale, è il meno che si possa dire; egli ha detto, in due o tre riprese, che le persone legate alla Messa tradizionale gli appaiono come dei nostalgici che seguono una «moda». Tuttavia, egli non ha alcuna intenzione di rivedere le disposizioni del SummorumPontificum. Non direi altrettanto delle persone che lo attorniano, che invece si interessano al problema e per esse la situazione creata dal Summorum Pontificum è intollerabile.
D’altra parte, Il Papa, personalità complessa, ha, o in ogni caso manifesta, una sorta di affezione per la FSSPX, di cui ha conosciuto certi responsabili a Buenos Aires, che si è preoccupato di aiutare. Egli non sarebbe certo dispiaciuto di riuscire laddove ha fallito il suo predecessore: la reintegrazione della FSSPX. Questo l’ha portato a dare ai sacerdoti della Fraternità – e delle comunità amiche – il potere di ascoltare le confessioni e di celebrare i matrimoni.

R&N: Il Santo Padre avanza delle ragioni dottrinali per la sparizione della Commissione Ecclesia Dei: dal momento che lo scopo della Commissione era dialogare con la Fraternità, secondo Papa Francesco essa non ha più ragion d’essere. Che ne pensa Lei?

Don Barthe: La questione è complessa. Cercherò di dare chiaramente il mio parere.
Dopo l’affare Williamson, Benedetto XVI, con il motu proprio Ecclesiae Unitatem del 2 luglio 2009, inglobò la Commissione Ecclesia Dei nella Congregazione per la Dottrina della Fede, così che il Prefetto della Congregazione divenne il Presidente della Commissione, e questo per sottolineare che il riavvicinamento con la Fraternità dipendeva dai chiarimenti sulle questioni dottrinali.
Si può quasi dire che sono state le ultime elezioni nella Fraternità, a Ecône, nel luglio scorso, che hanno comportato la sparizione della Commissione: Mons. Fellay e i suoi Assistenti sono stati sostituiti con Don Davide Pagliarani e due nuovi Assistenti, specialmente Mons. de Galarreta, notoriamente ostile ad una reintegrazione precoce. Il nuovo gruppo dirigente vorrebbe che delle nuove discussioni dottrinali si svolgessero con la Congregazione e non con la Commissione, che la Fraternità ha sempre considerato come uno strumento per il «ricongiungimento».
Si sarebbe tentati di dire che Papa Francesco li abbia presi in parola; salvo che egli dà poca importanza ai dibattiti dottrinali: che la Fraternità e altri non riconoscono l’autorità del magistero del Concilio, almeno come magistero «autentico», è cosa che lo lascia indifferente. In più, è stato determinante il motivo politico, e cioè il fatto che la Commissione diretta da Mons. Pozzo si è rivelata  incapace di portare a termine il riavvicinamento. Il motivo dottrinale invocato permette in pari tempo di favorire la Fraternità… mentre Mons. Pozzo si ritrova ad occuparsi del riordino dei conti del Coro della Cappella Sistina…

R&N: Certi commentatori avanzano delle ragioni amministrative e finanziarie per la soppressione della Commissione, altri invece delle ragioni più nascoste. Si tratterebbe di indebolire la Tradizione nella Chiesa, circoscrivendola alla Fraternità. Quale delle due posizioni le sembra la più plausibile?

Don Barthe: Le ragioni amministrative – e non finanziarie -  sono queste: la riforma della Curia, di cui si parla tanto, in realtà si riduce ad una semplificazione dell’organigramma: si raggruppano diversi Consigli nei dicasteri più importanti. L’assorbimento della Commissione Ecclesia Dei nella sua Congregazione tutrice va in questa direzione.
Quanto all’indebolimento della liturgia tradizionale – circoscritta inoltre, se possibile, alla Fraternità -  in effetti è il progetto, non del Papa, ma di numerosi bergogliani. Così, Andrea Grillo, professore all’Università Sant’Anselmo, l’Università liturgica di Roma, in un articolo del 21 gennaio 2019 pubblicato sul suo blog Come se non, scrive: Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum. E spiega che Roma, col Summorum Pontificum aveva messo indebitamente la liturgia tradizionale e la nuova Messa su un piano di parità, mentre la liturgia tradizionale è la traduzione nella Lex orandi della dottrina anteriore al Concilio. La Commissione Ecclesia Dei, protettrice della liturgia antica, consacrava questa situazione, secondo lui aberrante. La sparizione della Commissione rimette l’uso della liturgia tridentina al suo vero posto, quello di un atto di misericordia che ogni vescovo può o non può esercitare.
Si tratta dello stesso modo di vedere di Mons. Fernandez, grande amico del Papa, recentemente nominato vescovo di La Plata, in Argentina, che lo scorso 24 dicembre (quando il testo sulla sparizione dell’Ecclesia Dei era pronto), ha emanato un decreto che in pratica annulla le disposizioni del Summorum Pontificum:  tutte le Messe nella sua diocesi devono essere celebrate secondo il Novus Ordo, in lingua vernacolare, faccia al popolo. Per celebrare anche in maniera privata la Messa tradizionale, da oggi in poi bisognerà chiedere il permesso al vescovo. Decreto chiaramente contra legem, ma di cui nessuno chiederà l’annullamento alla Santa Sede: la causa sarebbe persa in anticipo.

R&N: Secondo Lei, quali saranno le conseguenze pratiche di questa soppressione per le comunità tradizionali “Ecclesia Dei” e per il dialogo con la Fraternità?

Don Barthe: La soppressione è in qualche modo un favore fatto alla Fraternità. Ma in pratica essa è neutra nei confronti del progresso del dialogo con la stessa Fraternità. Le discussioni dottrinali ci sono già state e si sa perfettamente, da una parte e dall’altra, quali sono le divergenze dottrinali.
Di contro, la sparizione dell’Ecclesia Dei, per il resto del mondo tradizionale, per le celebrazioni parrocchiali e per le comunità “Ecclesia Dei”, rappresenta un atto simbolico molto negativo. Si tratta anche della sparizione di una protezione, non sempre molto efficace, ma che era meglio che nessuna.
Certo, alcuni vogliono rassicurarsi facendo notare:
- che il motu proprio constata, come un fatto su cui non si può tornare indietro, «che gli Istituti e le comunità religiose che celebrano abitualmente con la forma liturgica straordinaria, oggi hanno trovato la loro stabilità in numero e vitalità»;
- che il personale del nuovo ufficio della Congregazione sarà lo stesso (salvo Mons. Pozzo) che c’era nella Commissione;
- infine, che tutte le competenze della Commissione sono trasferite ad un ufficio speciale della Congregazione. In tal modo, gli Istituti «Ecclesia Dei» non dipenderanno dalla Congregazione per i Religiosi, cosa che per loro sarebbe stato un disastro.
Costoro concludono che non cambierà alcunché: staremo a vedere.
Innanzi tutto, a questo giorno in cui rispondo alle sue domande, non si sa ancora chi sarà designato come Capo Ufficio di questa nuova sezione, dal cui spirito dipenderà la sua linea.
Poi, niente ci dice che la Congregazione per la Dottrina della Fede – e in particolare il suo Segretario, Mons. Morandi, da cui dipenderanno tutte le decisioni da prendere – avrà le stesse buone disposizioni di Mons. Pozzo nei confronti del mondo tradizionale.
Da notare che sarà la Congregazione che designerà i visitatori canonici, e non più la Commissione, che li sceglieva tra i prelati di spirito tradizionale. Sarà la Congregazione, e non più la Commissione, che confermerà le elezioni dei Superiori, che interverrà per regolare i problemi interni, che riceverà le lamentele contro questo o quell’Istituto (quei «ricorsi a Roma» che sono generalmente il mezzo maestro col quale si lancia il siluramento di una comunità).
Aspettiamo e vedremo. Per intanto si può dire che, quanto meno, la nuova situazione è molto meno favorevole della precedente.





febbraio 2019

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