Vaticano II:
Dal “mito della sostituzione”
alla religione noachita



di Michel Laurigan





Questo vecchio articolo del 2003 pubblicato dalla rivista dei Domenicani di Avrille, Le Sel de la Terre, nonostante sia datato per i richiami storici, è di una sconcertante attualità per i suoi contenuti, tenuto conto del grado di involuzione dottrinale che viene esaltata con il pontificato di papa Bergoglio. In esso si trovano infatti le radici di tutte le iniziative portate avanti dai papi conciliari e oggi dal papa argentino, tutte volte a sostituire alla religione cattolica una religione della morale naturale, detta Noachismo.



Io porrò inimicizia tra te e la donna,

tra la tua stirpe 
e la sua stirpe

(Gn. 3, 15).




In occasione della consegna del Premio Nostra Aetate (1), il 20 ottobre 1998, nella sinagoga di Sutton Place (New York), assegnatogli congiuntamente da Samuel Pisar, dal Centre for Jewish-Christian Understanding (Centro per la comprensione tra Ebrei e Cristiani) della Sacred Heart University of Fairfield (USA), il cardinale Jean M. Lustiger, arcivescovo di Parigi, ha rilasciato una dichiarazione (2) dal titolo promettente: The Tomorrow of Jews and Christians [Il domani di Ebrei e Cristiani].
Questa dichiarazione, la cui importanza all’epoca non è sfuggita ad alcuno, merita ancora oggi la nostra attenzione. Al cospetto di alte personalità del mondo ebraico, il cardinale ha presentato un affresco storico delle relazioni tra Ebrei e Cristiani e ha fatto una approfondita analisi dell’opera di salvezza dell’umanità. Ci si poteva aspettare un richiamo dei dati della teologia cattolica sulla storia della salvezza. E invece niente. Piuttosto c’è stata la presentazione di una nuova teologia della storia.
Alcune citazioni del cardinale permetteranno di comprendere la gravità delle sue dichiarazioni e introdurranno questo studio.
«Mentre ci avviciniamo al terzo millennio dell’era cristiana, ha avuto inizio una nuova epoca della storia dell’umanità. Una pagina della storia dell’umanità sta per essere voltata. Nelle relazioni fra i Cristiani e gli Ebrei, i Cristiani hanno infine aperto gli occhi e le orecchie al dolore e alle ferite ebraiche. Essi vogliono portarne il fardello senza scaricarlo su altri e non cercano di giustificarsi» (3).

Di quale colpa i Cristiani dovrebbero portare il fardello? Il cardinale risponde in un capitolo intitolato: L’Elezione e la Gelosia, capitolo che sarebbe da citare per intero, tanto è stravolta la storia della salvezza. L’elezione sarebbe quella del popolo ebraico, elezione mai revocata, con la «preservazione dell’eletto». La gelosia sarebbe quella dei Cristiani:
«Una gelosia tale, nei confronti di Israele, che ben presto ha preso la forma di una rivendicazione di eredità. Eliminare l’altro, così prossimo e tuttavia così diverso! I pagani divenuti cristiani ebbero accesso alla Sacra Scrittura e alle feste ebraiche. Ma un moto di gelosia umana, tutta umana, li portò a rigettare gli Ebrei al margine o all’esterno»
(da intendere: il loro giudaismo (4), le loro pratiche, i loro riti, le loro credenze). Infatti, dice il cardinale
«il numero e la potenza dei pagani convertiti hanno stravolto, invertito l’ordine della dispensazione della salvezza. Questo movimento tende a svuotare del suo contenuto concreto, carnale, storico, l’esistenza ebraica (5) e concepisce la vita della Chiesa come un compimento finale della speranza e della vita degli Ebrei. Così si sviluppa la teoria della sostituzione.» (6).

Il cardinale Lustiger prosegue cercando di provare che gli Ebrei sarebbero stati spossessati dai Cristiani del loro ruolo di popolo eletto, di popolo sacerdotale che apporta la salvezza agli uomini:
«Dal momento che Costantino garantì ai Cristiani una tolleranza che equivaleva al riconoscimento del Cristianesimo nella vita dello Stato, facendone la religione dell’Impero, gli Ebrei furono bruscamente messi da parte. Era una maniera semplicistica e grossolana di rifiutare i tempi della Redenzione (7) e il suo lavoro di gestazione. La mitologia (8) della sostituzione del popolo ebraico col popolo cristiano si nutriva dunque di una segreta e inadeguata gelosia e rendeva legittima un’appropriazione dell’eredità di Israele di cui si potrebbero moltiplicare gli esempii. Io ne cito solo uno: la rivendicazione dei re di Francia di essere discendenti di Davide; cosa che portò i loro consiglieri a fare celebrare le loro consacrazioni secondo il cerimoniale previsto per i re di Israele, come ce lo riporta la Bibbia, come aveva già fatto Bisanzio» (9).

Al termine dell’esposizione del suo affresco storico e della sua singolare teologia della storia, il cardinale rassicura i suoi uditori. I tempi sono cambiati: il tempo del Disprezzo è finito e ha lasciato il posto al tempo della Stima (10). Ben presto sarà resa l’eredità al suo legittimo proprietario, il popolo ebraico, vero Israele, ridivenuto il popolo sacerdotale (11), che apporterà l’autentica salvezza alle nazioni, la pace ai Gentili e… l’unità di cui il mondo ha bisogno.
La sua conclusione si chiude con questa speranza:
«Questa presa di coscienza, per la Chiesa cattolica si è condensata nella dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II. E in trent’anni essa ha dato luogo a numerose prese di posizione, in particolare sotto l’impulso del Papa Giovanni Paolo II. Ma questa nuova comprensione deve ancora rimodellare in profondità i pregiudizi, le idee di tanti popoli che appartengono allo spazio cristiano, ma il cui cuore non è ancora purificato dallo Spirito del Messia. La nostra esperienza storica. (Luca XXI, 8). Tuttavia, la direzione presa è irreversibile».

Riassumiamo: appropriazione dell’eredità da parte dei Cristiani, gelosi, che hanno soppiantato gli Ebrei nel loro ruolo di popolo di Dio e di strumento di salvezza del mondo. Riconoscimento e confessione di questa colpa nel XX secolo, dopo una presa di coscienza che si è verificata al concilio Vaticano II. L’eredità deve dunque ritornare agli Ebrei spossessati. Bisognerà riparare alla colpa commessa e dare tempo al tempo per cambiare lo spirito dei Cristiani. La marcia della storia è irreversibile.




Papa Wojtyla e  il cardinale ebreo Lustiger


Più recentemente – nel 2002 – il cardinale Lustiger è intervento al Congresso Ebraico Europeo (12), al Congresso Ebraico Mondiale (13) e al Comitato Ebraico Americano (14), per esporre la sua «Riflessione sulla Elezione e la vocazione di Israele e i suoi rapporti con le nazioni». Il suo giudeo-cristianesimo sincretista (15) sembra piacere alle elite dell’ebraismo, senza che nessuno nel mondo cattolico si scomponga veramente per l’eterodossia del suo pensiero.

Come può un cardinale riscrivere, alla fine del XX secolo, la storia della salvezza, al punto da negare tutta l’opera redentrice di Gesù Cristo, continuata nella Sua Chiesa? Come si è prodotta la sovversione spirituale del XX secolo? E’ accaduto al Vaticano II, come lascia credere il cardinale Lustiger? Se la Chiesa non è più il verus Israel, cosa diventa in questa nuova teologia della storia?
E’ a queste domande che cercherà di rispondere questo studio.

I - Ritrovare l’eredità. I tentativi nella storia

Scelto da Dio, all’origine, per una missione magnifica - dare il Salvatore agli uomini -, il popolo ebraico fu per i due millenni che precedettero Gesù Cristo la speranza e l’onore dell’umanità. Esso conservava l’eredità delle promesse divine, rendendo testimonianza al vero Dio in mezzo all’idolatria pagana, conservava sulla terra la fede, la verità, il culto puro e sostanziale del Padre che è nei Cieli e l’attesa preventiva del Salvatore del mondo. Fino a Nostro Signore Gesù Cristo, gli Ebrei sono stati veramente il «popolo di Dio»; nascendo dalla razza di Abramo, Gesù Cristo lo ha coronato e consacrato con la Sua santità.
Ma il Calvario ha spezzato in due il popolo eletto: da una parte i discepoli, gli Apostoli, i primi Cristiani, che hanno riconosciuto in Gesù crocifisso il Messia venuto a compiere la Legge e i Profeti e che hanno aderito pienamente al Suo messaggio, al Suo spirito e al Suo Corpo Mistico: la Chiesa. Dall’altra i carnefici, sulla cui testa, secondo il loro stesso auspicio, è ricaduto il sangue del Giusto (16), votandoli ad una maledizione che durerà quanto la loro ribellione.
«Tra i tempi antichi e i nuovi, il deicidio ha aperto un abisso che la misericordia divina colmerà un giorno, quando la giustizia avrà fatto il suo corso», scrive Mons. Delassus (17).

Per due millenni, i discendenti dei carnefici – che hanno ripudiato la Legge di Mosè per quella del Talmud – hanno cercato nientemeno di fare fallire l’opera redentrice. Essi hanno partecipato a tutte le rivolte dello spirito umano contro Dio, contro il Suo Cristo – che non hanno voluto riconoscere – e contro la Sua Chiesa, considerata come l’«usurpatrice».
Pur proteggendosi da essi e pur ricordando l’orrore del deicidio, la Chiesa non ha mai cessato di esercitare la sua carità per ricondurli all’ovile, alla fonte della Grazia, al Calvario dove scorre il sangue redentore. Questa carità ha perfino spinto la Chiesa a proteggerli, quando sono stati spesso rigettati dalle popolazioni cristiane. I veri convertiti (18) hanno più volte confermato la carità della Chiesa nei loro confronti.
Tuttavia, gli operatori di iniquità furono poco toccati da questa mansuetudine dei Pontefici romani. Secolo dopo secolo gli assalti contro la Chiesa e contro la città cattolica raddoppiavano. Josué Jéhouda, autore di un libro intitolato L’Antisemitismo, specchio del mondo (19), descrive quelli dei periodi moderno e contemporaneo: «Dal mondo ebraico sono stati operati tre tentativi per purificare la coscienza cristiana dai miasmi dell’odio, tre brecce aperte nella fortezza in rovina dell’oscurantismo cristiano, tre tappe nell’opera di distruzione del cattolicesimo dogmatico».
Queste tre tappe sono: il Rinascimento, la Riforma e la Rivoluzione.
«Il Rinascimento, la Riforma e la Rivoluzione costituiscono tre tentativi per rettificare il pensiero cristiano e condurlo all’unisono con lo sviluppo progressivo della ragione e della scienza» (20). L’autore precisa: «Nonostante questi tre tentativi per purificare il dogma cristiano del suo antisemitismo, la teologia cristiana non ha ancora abolito il suo disprezzo a riguardo». E’ per questo che «nel corso del XIX secolo sono stati attuati altri due tentativi per ripulire la mentalità del mondo cristiano, uno da Marx e l’altro da Nietzsche».

Il pensatore ebreo deplora l’insuccesso di questi due ultimi tentativi. La fortezza del cattolicesimo ha resistito. Bisognerà attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale per lanciare l’assalto più sottile e più distruttore contro la Chiesa cattolica romana: cambiare la teologia cattolica tramite gli stessi uomini di Chiesa. «Una rivoluzione in tiara e cappa», iniziata nel XIX secolo dai Carbonari, proseguita dai modernisti nel XX secolo, ha trionfato al concilio Vaticano II.

II - Il tentativo  di sovversione del Vaticano II: la porta aperta…

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le organizzazioni ebraiche hanno cercato di suggerire al mondo cristiano la necessità di rivedere l’insegnamento della Chiesa sull’ebraismo.

Nel 1946, la Conferenza di Oxford, sotto gli auspici delle organizzazioni ebraiche americane e britanniche, riunì cattolici e protestanti per dibattere sui problemi concreti del dopoguerra: una semplice presa di contatto.
Una seconda conferenza internazionale organizzata a Seelisberg, in Svizzera, si interessò del problema particolare dell’antisemitismo. In larga misura si trattò di una riunione di esperti (21). Tra i partecipanti: Don Journet (22). Jacques Maritain non ebbe la possibilità di partecipare alla Conferenza, ma inviò un caldo messaggio di incoraggiamento (23). Fu Jules Isaac che divenne il personaggio chiave di quest’incontro. La conferenza si chiuse con un documento chiamato: I dieci punti Seelisberg. Tra questi sono da notare:
5. Evitare di sminuire il giudaismo biblico o post-biblico allo scopo di esaltare il cristianesimo.
6. Evitare di usare il termine «ebreo» in senso esclusivo di «nemico di Gesù» o di usare l’espressione «nemici di Gesù» per designare l’intero popolo ebraico.
7. Evitare di presentare la Passione in maniera tale che l’odiosa messa a morte di Gesù ricada su tutti gli Ebrei o solo sugli Ebrei.
9. Evitare di accreditare l’empia opinione che il popolo ebraico sia riprovato, maledetto, votato ad un destino di sofferenze.




Jules Isaac

«Gli archivi di Jules Isaac (24) contengono la testimonianza dell’attività travolgente del nostro autore». Così si esprime André Kaspi che ha appena pubblicato una biografia sulla personalità di Jules Isaac. L’autore conferma molti fatti conosciuti e ne rivela altri. Uno dei più importanti è stata la redazione del suo libro Jésus et Israël, opera che cercava di provare che il popolo ebraico non fu né deicida, né maledetto: che il cristianesimo, col suo antigiudaismo teologico fu il responsabile del diffuso antisemitismo. Quest’opera espone a sua volta ventuno punti: vera «carta» di una nuova teologia sui rapporti ebraico-cristiani.

Nel 1948, Isaac fondò l’Amicizia ebraico-cristiana, il cui scopo era nettamente dichiarato: la «correzione dell’insegnamento cristiano». Numerosi liberali cattolici parteciparono a queste riunioni molto orientate. Scrive André Kaspi: «Dovunque vengono distribuiti i dieci punti di Seelisberg e i 21 punti di Jésus et israël» (25). Al tempo stesso si convinse Isaac ad incontrare il capo della Chiesa cattolica. Pio XII lo ricevette brevemente il 16 ottobre 1949, a Castel Gandolfo. Jules Isaac espose al Sommo Pontefice i dieci punti di Seelisberg. Il risultato dell’incontro fu assai poco soddisfacente per l’autore dei manuali di storia.

Nell’ottobre 1959, Cletta Mayer e Daniel Mayer – fondatori del CEPA (Centre d’Etudes des Problèmes actuels) con legami molto stretti con l’Anti-Defamation League (associazione creata nel 1913 dalla loggia massonica del B’nai B’rith) - «incontrarono Jules Isaac a Parigi, all’hotel Terminus, e gli parlarono di un’eventuale iniziativa nei confronti di Giovanni XXIII. Jules Isaac approvò» (26).

L’idea di convocare un Concilio (27) era stata avanzata da Giovanni XXIII alcuni mesi prima. Si mise all’opera una Commissione preparatoria a cui parteciparono diversi teologi e uomini eminenti. Ma nell’ombra si preparò un contro-Concilio, che doveva soppiantare quello vero al momento stabilito. Don Ralph Wiltigen lo ha sufficientemente provato nel suo Il Reno si getta nel Tevere (28).
A metà giugno del 1960, Isaac, su consiglio di Mons. Julien, si rivolse al cardinale Augustin Bea, gesuita tedesco. «In lui trovai un potente sostegno». Vero è che le cattive lingue andavano dicendo che il cardinale Bea fosse «rimasto ebreo nel suo cuore» (29).

Il sostegno fu ancora maggiore di quanto Isaac potesse aspettarsi. Senza molte difficoltà egli ottenne udienza da Giovanni XXIII, il 13 giugno 1960. In quella occasione, Isaac consegnò al Papa una memoria intitolata Della necessità di una riforma dell’insegnamento cristiano riguardo a Israele. «Gli chiesi se potevo nutrire dei barlumi si speranza», ricorda Isaac. Giovanni XXIII gli rispose che aveva diritto a più che alla speranza, ma che «non era un monarca assoluto». Dopo la partenza di Isaac, Giovanni XXIII fece chiaramente capire ai funzionari della Curia vaticana che dal Concilio che intendeva convocare si aspettava una ferma condanna dell’«antisemitismo» cattolico.
Da allora vi furono un gran numero di scambi tra gli uffici del Concilio in Vaticano e le organizzazioni American Jewish Comittee, Anti-defamation League e B’nai B’rith.
Queste associazioni ebbero modo di far sentire la loro voce alta e forte a Roma (30).




Il cardinale Bea riceve i consigli del rabbino


In effetti, se Isaac lavorava sodo, non era il solo. Il rabbino Abraham J. Heschel, del seminario teologico ebraico di New York, che aveva sentito parlare per la prima volta di Bea trent’anni prima a Berlino (31), cercò di incontrare il cardinale a Roma. In quella occasione, i due si intrattennero su due dossier preparati dall’American Jewish Comittee: uno su L’immagine degli Ebrei negli insegnamenti cattolici, e un altro di 23 pagine su Gli elementi antiebraici nella liturgia cattolica. «Heschel dichiarò che sperava che il Concilio purgasse gli insegnamenti cattolici di ogni accenno agli Ebrei come razza maledetta. E così facendo – aggiungeva Heschel – il Concilio non avrebbe dovuto in alcun modo esortare gli Ebrei a diventare Cristiani» (32).
Alla stessa epoca, il dottor Goldmann, capo della Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche, parlò delle sue aspirazioni a Giovanni XXIII. Lo stesso fece il B’nai B’rith. Entrambi fecero pressione perché i cattolici riformassero la liturgia e sopprimessero dai loro servizi religiosi ogni parola che potesse apparire sfavorevole agli Ebrei e che ricordasse il «deicidio».

«Dotte teste mitrate, vicine alla Curia, fecero sapere che in Concilio i vescovi avrebbero fatto bene a non toccare questa questione neanche con pastorali lunghi tre metri. Restava Giovanni XXIII, e lui disse che dovevano fare così» (33).
A Roma, dunque, si lavorava alla redazione di un testo sull’ebraismo a cui parteciparono il Padre Baum e Mons. John Osterreicher (34), membri dello stato maggiore di Bea. Una dichiarazione contenente un chiaro rifiuto dell’accusa di deicidio doveva essere presentata in Concilio alla prima sessione, che si sarebbe aperta l’11 ottobre 1962. Una tale stesura piacque al Congresso ebraico mondiale, che espresse la sua soddisfazione e decise di inviare come osservatore ufficiale al Concilio il dottor Chaïm Y Wardi, israeliano.
«Il Vaticano fu immediatamente assediato dalle proteste dei paesi arabi, indignati per il trattamento preferenziale accordato agli Ebrei. Come conseguenza, nel giugno 1962, la Segreteria di Stato, d’accordo con il cardinale Bea, fece ritirare dall’ordine del giorno la discussione del progetto di dichiarazione De Judoeis, preparato dal Segretariato per l’Unità dei Cristiani» (35).

Tanto vicina alla Curia da poter avere gli indirizzi privati dei 2200 cardinali e vescovi residenti temporaneamente a Roma, un’agenzia inviò, nello stesso periodo, un libro di 500 pagine a ciascuno di essi, intitolato Complotto contro la Chiesa, firmato con lo pseudonimo Maurice Pinay. La tesi del libro – sostenuta da numerose citazioni e fatti accertati – era che da sempre gli Ebrei avevano cercato di infiltrarsi nella Chiesa per sovvertirne l’insegnamento e che erano sul punto di riuscirvi. Una tale documentazione doveva servire a prevenire i Padri conciliari nei confronti di una manovra sovversiva in seno al Concilio. La prudenza era di rigore.

Il ritiro del progetto della dichiarazione sugli Ebrei dalla prima sessione del Concilio fu un vero scacco per Bea, che tuttavia non si lasciò abbattere. Il 31 marzo 1963, in gran segreto (36), egli incontrò a New York, all’hotel Plana, le autorità dell’American Jewish Comittee, che fecero pressione perché i vescovi riuniti cambiassero la teologia della Chiesa sulla storia della Salvezza. «Globalmente – egli affermò – gli Ebrei sono accusati di essere colpevoli di deicidio, e su di loro peserebbe una maledizione» Egli rifiutava queste due accuse e rassicurò i rabbini. Quelli che erano presenti all’incontro volevano sapere se la dichiarazione avrebbe detto esplicitamente che il deicidio, la maledizione e il rigetto del popolo ebraico da parte di Dio, erano degli errori dell’insegnamento cristiano. Bea rispose in maniera evasiva… e tutte queste belle persone si separarono bevendo un bicchiere di sherry!

Poco tempo dopo, nel 1963, venne fuori il lavoro teatrale di Rolf Hochhuth, Il Vicario, che calunniava Pio XII sul suo comportamento durante la guerra. Il mezzo di pressione era assai poco riuscito, ma poteva influenzare l’assemblea conciliare.

Nel corso della seconda sessione del Concilio, nell’autunno del 1963, pervenne ai vescovi la dichiarazione sugli Ebrei. Essa costituiva il quarto capitolo di una dichiarazione sull’ecumenismo, cosa che sembrava poterla far passare più inosservata.
Il direttore per l’Europa del Comitato Ebraico Americano, Schuster, definì la distribuzione del progetto ai Padri conciliari: «uno dei più grandi momenti della storia».
Il testo fu discusso a lungo (37), ma poi venne stranamente ritirato dal voto alla fine della sessione. I sostenitori dell’ortodossia cattolica avevano distribuito diverse copie (38) su Gli Ebrei alla luce della Scrittura e della Tradizione, che dovevano mettere in guardia i Padri conciliari sui trucchi del nemico. Sembra che ancora una volta queste messe in guardia furono ascoltate. «E’ successo qualcosa dietro le quinte», commentò la Conferenza nazionale cattolica per l’aiuto sociale.

Senza entrare nei dettagli della lunga storia, diciamo che saranno proposti due altri progetti, che furono discussi a lungo nella terza e nella quarta sessione. Nel corso degli anni 1964 e 1965, gli interventi ebraici presso Paolo VI si moltiplicarono. I personaggi più influenti che si rivolsero a Paolo VI furono:  Joseph Lichten, della Anti-Defamation League del B’nai B’rith, Zachariah Schuster e Leonard Sperry, del Comitato ebraico americano, il cardinale americano Spellman, Arthur J. Goldberg, giudice della Corte Suprema, e il rabbino Heschel.

Roddy rivela: «A Roma (prima della terza sessione), furono ricevuti in udienza dal Papa sei membri del Comitato ebraico americano. Il papa disse ai suoi visitatori che approvava tutto quello che aveva detto il cardinale Spellman sulla colpevolezza degli Ebrei». Poche righe dopo, afferma: «Accompagnato da Schuster, Heschel incontra Paolo VI e parla energicamente del deicidio (39) e della colpevolezza degli Ebrei e chiede al Pontefice di fare pressione perché vi sia una dichiarazione che interdica ai cattolici ogni proselitismo nei confronti degli Ebrei» (40).

Il 20 novembre 1964, alla terza sessione, i vescovi e i cardinali riuniti votarono a grande maggioranza lo schema provvisorio che trattava dell’attitudine della Chiesa nei confronti dell’ebraismo (41). Leon de Poncins si affrettò a redigere un opuscolo intitolato Il problema ebraico di fronte al Concilio, che venne distribuito a tutti i Padri prima della quarta e ultima sessione. Si trattava dell’ultimo avvertimento. Nella sua introduzione, l’autore constata «da parte dei Padri conciliari una profonda misconoscenza dell’essenza dell’ebraismo» (42). Tuttavia, l’opuscolo fece bene e permise al «fronte del rifiuto» (43) di affinare i suoi argomenti. Questo fronte permise all’assemblea dei Padri conciliari di rigettare alcune frasi della prima versione, come: «Benché una gran parte del popolo eletto resta provvisoriamente lontana da Cristo, sarebbe un’ingiustizia chiamarla popolo maledetto… o popolo deicida.» Tali frasi vennero sostituite con quelle contenute della versione finale di Nostra Aetate, adottata infine il 28 ottobre 1965, alla quarta sessione, con 2221 contro solo 88: «Gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura».

Dopo questi anni terribili di una guerra dottrinale senza precedenti, dopo queste lotte di influenza in Curia e tra i Padri conciliari, dopo la diffusione di numerosi opuscoli per difendere la teologia della salvezza insegnata dalla Chiesa per due millenni, quello che ne derivò fu un testo di compromesso. Nell’insieme, gli Ebrei rimasero delusi dal contenuto; speravano di più. Ma intanto venne aperta una porta… difficile da richiudere. Infatti, per la prima volta, con Nostra Aetate, la Chiesa dava una presentazione positiva e audace degli Ebrei infedeli.
André Chouraqui rileva opportunamente: «La Chiesa, come colpita da un’amnesia quasi totale per due millenni, improvvisamente si ricorda del legame spirituale che la unisce alla discendenza di Abramo, Israele, e lo reintegra nella sua posizione di unigenito nella famiglia del popolo di Dio. Questo basilare riconoscimento teologico è ricco di un contenuto che i secoli non esauriranno. (…) Ci son voluti dunque venti secoli perché la Chiesa prendesse una rinnovata coscienza delle sue radici ebraiche. (…) Per di più, la Chiesa rigetta categoricamente ogni forma di proselitismo nei loro confronti. Prescrive oggi quello che ieri aveva ammesso…» (44).

Jean Halpérin, dell’Ufficio del Congresso ebraico mondiale a Ginevra, nel corso di un colloquio a Friburgo, conferma le dichiarazioni di Chouraqui: «Bisogna sottolineare che la dichiarazione Nostra Aetate del 1965 ha veramente aperto la via ad un dialogo del tutto nuovo ed ha inaugurato una nuova visione (45) della Chiesa cattolica riguardo agli Ebrei e all’ebraismo, manifestando la sua disponibilità a sostituire l’insegnamento del disprezzo con l’insegnamento del rispetto» (46).

Menahem Macina (47) conferma questo giudizio: «Non bisogna dimenticare l’immenso progresso che rappresenta la Dichiarazione Nostra Aetate rispetto alla situazione precedente. Una sola osservazione permetterà di apprezzare il cammino percorso. Si sa che, quando promulgano dei documenti destinati a tutta la Cristianità i Papi e i Concilii usano individuare e citare i testi dei loro predecessori che corrispondono a quello che si propongono di insegnare con i nuovi documenti, e questo al fine di illustrare la continuità della dottrina e della tradizione ecclesiali. Ora, contrariamente al passo dedicato dal Concilio alla religione musulmana, nella Dichiarazione sugli Ebrei non si trova alcun riferimento ad alcun precedente positivo dei Padri, degli scrittori ecclesiastici o dei Papi» (48).

Si potrebbero citare molte testimonianze che confermano questa analisi. Terminiamo con quella di Paul Giniewski contenuta nel suo libro fondamentale L’antigiudaismo cristiano, la mutazione: «Lo schema sugli Ebrei, che si poteva considerare come un punto di arrivo, si è rivelato, al contrario, come un punto di partenza di un nuovo stadio nella felice evoluzione delle relazioni ebraico cristiane» (49).

La porta era aperta (50)… gli uomini di Chiesa riconoscono che gli Ebrei non sono più un «popolo maledetto». Non più maledetto né riprovato? «Ormai – scrive ancora Chouraqui – la Chiesa riconosce la permanenza dell’ebraismo nel piano di Dio, e il carattere irreversibile dei princípi definiti con Nostra Aetate, rifiutando ogni restrizione ed ogni ambiguità nel dialogo con gli Ebrei». Il seme è stato gettato, basta aspettare che germogli.
«A partire da lì, bisogna avanzare sul cammino del mutuo riconoscimento degli Ebrei e dei Cristiani. Ma è impossibile trascurare i profitti e le perdite di due millenni insanguinati» (51). La «purificazione dello spazio cristiano» (52) poteva cominciare…

III - Dalla purificazione dello “spazio cristiano” all’introduzione della religione noachita

1. «Purificare lo spazio cristiano»

«I Cristiani all’inizio hanno detto: “Anche noi siamo Israele”. Poi hanno detto: “Noi siamo il vero Israele”. In seguito: “Il vero Israele siamo solo noi”», F. Lovsky (53).

«Fintanto che la Chiesa non avrà risposto in maniera chiara e ferma al problema del riconoscimento da parte sua della permanente vocazione del popolo ebraico, il dialogo ebraico cristiano rimarrà superficiale e monco, pieno di restrizioni mentali», cardinale Etchegarray.

I dibattiti seguiti alla «presa di coscienza» del concilio Vaticano II, a poco a poco hanno preparato il mondo cristiano ad una nuova teologia dei rapporti Chiesa/Ebraismo (54).
Cambiare, con un «grande sforzo educativo», le mentalità dei popoli dello «spazio cristiano», fu l’obiettivo che si proposero le direttive del Vaticano e degli episcopati emanate negli ultimi quarant’anni. Tale sforzo educativo tende a 1) ricordare la perennità della prima Alleanza, 2) insegnare la stima per il popolo ebraico (infedele): «popolo sacerdotale», 3) rinunciare alla conversione degli Ebrei, 4) esercitarsi costantemente nel dialogo e nella cooperazione col l’ebraismo, 5) preparare le vie della religione noachita.
Alti responsabili del Vaticano hanno incitato gli episcopati a pubblicare delle dichiarazioni il cui contenuto teologico si oppone chiaramente al Magistero della Chiesa.

a) La nuova «teologia dell’Alleanza» secondo l’episcopato

Due esempii possono illustrare le nostre considerazioni: il testo del Comitato episcopale francese per le relazioni con l’ebraismo (Pasqua 1973) e Riflessioni sull’Alleanza e la Missione, dell’episcopato americano (13 agosto 2002). A giudizio degli Ebrei si tratta di due dichiarazioni il cui contenuto va ben oltre le affermazioni del Concilio.
Le considerazioni eterodosse non sfuggiranno ad alcuno.
«L’ebraismo dev’essere visto dai cristiani come una realtà non solo sociale e storica, ma soprattutto religiosa; non come la reliquia di un passato venerabile e sparito, ma come una realtà vivente attraverso i tempi. I segni principali di questa vitalità del popolo ebraico sono: la testimonianza della sua fedeltà collettiva al Dio unico; il suo fervore nello scrutare le Scritture per scoprire, alla luce della Rivelazione, il senso della vita umana; la sua ricerca di identità in mezzo agli altri uomini; il suo sforzo costante di riunione in una comunità riunificata. Questi segni pongono, a noi cristiani, una domanda che tocca il cuore della nostra fede: qual è la missione propria del popolo ebraico nel piano divino? Una elezione che continua: la prima Alleanza non è decaduta. Contrariamente a quanto sostenuto da un’esegesi molto antica ma contestabile, non si può dedurre dal Nuovo Testamento che il popolo ebraico sia stato spogliato della sua elezione. Al contrario, l’insieme della Scrittura ci incita a riconoscere, nella cura del popolo ebraico per la Legge e l’Alleanza, il segno della fedeltà di Dio al suo popolo. La prima Alleanza, infatti, non è stata resa decaduta dalla nuova. Il popolo ebraico è consapevole di aver ricevuto, attraverso la sua particolare vocazione, una missione universale nei confronti delle nazioni» (55).

Qual è questa missione? Lo vedremo più avanti.

La seconda dichiarazione è quella, più recente, dei vescovi americani; una dichiarazione che ha del sorprendente.
«Le riflessioni cattoliche romane descrivono il rispetto crescente per la tradizione ebraica che si è sviluppato a partire dal concilio Vaticano II. Un approfondimento dell’apprezzamento cattolico della alleanza eterna fra Dio e il popolo ebraico, insieme al riconoscimento della missione assegnata da Dio agli Ebrei di testimoniare l’amore fedele di Dio, portano alla conclusione che le campagne che mirano a convertire degli Ebrei al cristianesimo non sono più teologicamente accettabili nella Chiesa cattolica» (56).

b) «Cambiare la teologia» dei teologi




Roma, 13 aprile 1986, l'abbraccio fra papa Wojtyla e il rabbino Toaff

Le testimonianze di teologi sulla perennità della prima Alleanza abbondano, e se ne potrebbero presentare in quantità. Eccone alcune:
«Forse bisogna andare al fondo delle cose: considerare sotto nuove prospettive l’idea della detronizzazione della religione madre da parte della religione figlia. L’idea della sostituzione dell’antica Alleanza con la nuova è all’origine della biforcazione ebraico-cristiana e delle sue conseguenze. In uno dei suoi grandi studi teologici, significativamente intitolato L’Alleanza mai abolita, il professore Norbert Lohfink, gesuita, professore di ricerca biblica alla Pontificia Università di Roma, afferma perentoriamente: “Il concetto cristiano popolare della nuova Alleanza favorisce l’antiebraismo”» (57).
«Noi crediamo che Cristo ha instaurato una nuova Alleanza. Per questo, ha reso decaduta l’antica? L’abbiamo pensato per molto tempo. Vi sono probabilmente dei cristiani che lo pensano ancora oggi» (58).

In occasione di un colloquio intitolato «Processo di Gesù, processo degli Ebrei?», Alain Marchandour non esita a scrivere:
«Per lungo tempo, Israele è stato percepito dai cristiani come una sorta di organo-testimone di una realtà inglobata per l’essenziale nel cristianesimo, divenuto il nuovo Israele. Un tale linguaggio non è accettabile: Israele esiste con la sua storia, le sue istituzioni, i suoi testi. L’ebraismo non si è estinto con l’avvento del cristianesimo (…) esso rimane il popolo dell’Alleanza» (59).

Charles Perrot, professore all’Istituto cattolico di Parigi, esprime un pensiero simile:
«Se la Chiesa si sostituisce a Israele, se dunque lo rimpiazza, questo non significa che lo elimina, per assorbimento o più ancora. Ora, un linguaggio così è pericoloso. Esso è ancora ammissibile ai giorni nostri?» (60).

c) «Rivedere la storia cristiana» da parte delle elite

Pertanto, la Chiesa deve «rivedere» la sua teologia e la sua storia. A questo scopo, il Vaticano moltiplica i colloqui. Così, a Roma e in altre città europee si tengono saltuariamente diversi colloqui sulla storia della Chiesa riguardo al suo atteggiamento nei confronti dell’ebraismo. Recentemente se ne è tenuto uno a Roma (30 ottobre – 1 novembre 1997) su Le Radici dell’antiebraismo cristiano. Storici venuti da tutto il mondo hanno ascoltato degli esperti nelle relazioni ebraico-cristiane.
Claude-François Jullian riferisce sull’oggetto dei dibattiti ne Le Nouvel Observateur:
«Tutti gli esperti hanno riaffermato le origini ebraiche del cristianesimo e hanno qualificato come aberrante la teologia della sostituzione: cioè che la nuova Alleanza in Cristo annullerebbe l’antica Alleanza.
Aprendo il simposio, il cardinale Etchegaray (Presidente del Comitato organizzatore del Giubileo) ha spiegato con la sua voce robusta uscita dalle gole dei Pirenei: «Si tratta di esaminare i rapporti molto spesso capovolti tra ebraismo e cristianesimo». Discorso ripreso dall’animatore dell’incontro, il domenicano svizzero Georges Cottier, teologo privato del Papa (e Presidente del comitato teologico-storico del Giubileo), che ha ricordato: «La nostra riflessione verte sul piano divino della Salvezza e sul posto che vi occupa il popolo ebraico, popolo dell’elezione, dell’Alleanza e delle Promesse.»
«L’aberrazione della teologia della sostituzione è un punto essenziale, ammessa a partire dal Vaticano II, ma difficile da far passare nella base», ha detto un partecipante.

E il giornalista del settimanale si chiede: «Perché Roma dovrebbe riunire esperti dai cinque continenti per verificare ciò che oggi sembra essere una verità di fede?» (61).

Un altro colloquio si è tenuto all’Università di Friburgo, dal 16 al 20 marzo 1998, sul tema: Ebraismo, antiebraismo e Cristianesimo. Gli atti sono stati pubblicati nel 2000 dalle Editions Saint Augustin. Tutti gli interventi sono del più grande interesse.

Ancora più recentemente, il Congresso ebraico europeo ha organizzato gli Incontri Europei tra Ebrei e Cattolici, che si sono svolti a Parigi il 28 e il 29 gennaio 2002, sul tema: Dopo il Vaticano II e Nostra Aetate: L’approfondimento delle relazioni tra Ebrei e Cattolici in Europa sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II.
Vi hanno preso parte molte personalità europee impegnate nel dialogo tra Ebrei e Cattolici. Una serata organizzata nei saloni del municipio di Parigi, che lunedì 28 gennaio ha riunito quasi 700 persone, Ebrei e Cattolici. Al tavolo degli oratori erano presenti: Henri Hajdenberg, Presidente di questi incontri, il Prof. Jean Halperin, del Comitato dei legami tra Ebrei e Cattolici, il cardinal Lustiger, il Gran Rabbino di Mosca, Pinchas Goldschmidt, il Gran Rabbino René Samuel Sirat, il Dr. Michel Friedman, Vicepresidente del Congresso Ebraico Europeo, il cardinal Walter Kasper, Presidente della Pontificia Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo.
Nei loro discorsi, tutti gli oratori hanno sottolineato l’importanza dei passi compiuti a partire da Nostra Aetate
«Nel corso di questa serata, sono state dette molte cose sulle attuali relazioni tra Ebrei e Cattolici: ha soffiato uno spirito nuovo, che ha preso realmente atto dei gesti e delle parole dei cattolici soprattutto di quelle di Giovanni Paolo II.
«“Nuova pagina, nuova tappa” è il sentimento che è stato confermato nel corso della giornata dell’indomani. Dopo gli interventi dei diversi oratori, la proiezione del film Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa ha stabilito nella grande sala un impressionante clima di silenzio.
«Nel corso della giornata successiva, il 29 gennaio, riservata ad un pubblico più ristretto, alla presenza di numerosi cardinali, vescovi e personalità ebraiche, di alcune delegazioni venute dalla Germania, dall’Austria, dal Belgio, dall’Italia, dalla Svizzera, ma anche dalla Polonia, sono state trattate, in un clima di positività, verità come: L’evoluzione delle relazioni ebraico-cattoliche: Dalla teoria della sostituzione al muto rispetto; La necessaria trasmissione della memoria della Shoah nel contesto odierno.
«Nel corso del pomeriggio, diversi autori hanno esposto: Le sfide dell’assimilazione e della secolarizzazione, e L’evoluzione delle relazioni ebraico-cattoliche con lo Stato di Israele e Gerusalemme.
«Ha concluso la giornata una dichiarazione comune degli Ebrei e dei Cattolici» (62).

L’elenco delle relazioni presentate in queste diverse riunioni, congressi, colloqui, giornate… che fioriscono ogni anno, si potrebbe moltiplicare.




Roma, 17 gennaio 2010, calorosi convenevoli fra papa Ratzinger e il rabbino Di Segni nella sinagoga di Roma


d) Cambiare il contenuto della predicazione e della catechesi


Le Note romane del 24 giugno 1985 sono da leggere e meditare alla luce di ciò che è stato detto prima: Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Esse esplicitano bene le conseguenze dell’attitudine definita dai testi conciliari (63).

e) Cambiare gli spiriti con dei gesti spettacolari

Il gesto di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986, ne è un esempio. Questa visita è tutto un simbolo: nel suo discorso, Giovanni Paolo II ha affermato: «La Chiesa di Cristo [che si è recata nella Sinagoga attraverso Giovanni Paolo II] scopre il suo “legame” con l’ebraismo, “scrutando il suo stesso mistero”»
«La religione ebraica  - continua il Papa - non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori» (64).

f) I Cristiani devono rispettare il diritto degli Ebrei alla terra d’Israele, centro fisico dell’Alleanza

«Per gli Ebrei, l’avvenimento più importante dopo l’Olocausto è stato il ripristino di uno Stato ebraico nella Terra promessa. Come membri di una religione basata sulla Bibbia, i Cristiani devono riconoscere che la terra d’Israele è stata promessa – data – agli Ebrei come centro fisico dell’Alleanza tra essi e Dio» (65).
I Cristiani non hanno altra scelta che rallegrarsi della presenza degli Ebrei in Terra Santa…

Paul Geniewski analizza l’insegnamento degli ultimi quarant’anni (66), secondo il pensiero ebraico. Egli distingue tre tappe:
- Il «vidouy», cioè il sincero riconoscimento dell’inadempienza e delle colpe.
- La «techouva», e cioè la conversione alla condotta contraria.
- E infine la più importante: il «tikkun», e cioè la riparazione.

A che punto siamo?, si chiede lo scrittore ebreo. E risponde senza ombra di dubbio: alla «techouva». Questa sarà compiuta solo «quando l’insegnamento della stima sarà formulato in testi didattici e la loro propagazione avrà suscitato numerose vocazioni di allievi e di insegnanti la novità. L’obiettivo è ambizioso: fare ascoltare ed accettare un insegnamento dicendo il contrario di ciò che era stato insegnato (…) Così verranno decrocifissi gli Ebrei». Essi potranno allora riprendere il loro ruolo presso le nazioni, ruolo esplicitato in numerose opere e intelligentemente riassunto in un opuscolo di volgarizzazione  firmato da Patrick Petit-Ohayon: La Missione di Israele, un popolo di sacerdoti» (67).




Gerusalemme, 26 marzo 2000,
Papa Wojtyla inserisce il testo del mea culpa in un interstizio del muro del pianto



II. Il pentimento dell’anno 2000


Quello che è accaduto il 12 marzo 2000 a San Pietro a Roma, supera ogni comprensione. Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa cattolica, ha letto un «mea culpa» (68) per le colpe dei Cristiani, colpe commesse nel corso della storia.

Questo gesto si comprende solo se inserito nel contesto della «presa di coscienza» della Chiesa persecutrice «con l’Inquisizione (69), sistema di violenza e di costrizione» e «col sistema di costrizione» del popolo dell’Alleanza, spossessato e perseguitato.
E perché il tutto fosse sufficientemente chiaro per gli uni come per gli altri, cioè per i Cristiani come per gli Ebrei, il testo del pentimento venne inserito dallo stesso Giovanni Paolo II in un interstizio del Muro del Pianto (70), vestigio del Tempio della prima Alleanza. Muro che attende solo la sua ricostruzione nella recuperata capitale religiosa dell’Alleanza: Gerusalemme (71) che detronizza Roma, l’usurpatrice.




Parigi, 10 agosto 2007, il funerale ebraico del cardinale “cattolico” Lustiger



III - Verso la religione noachita (72)

Se la Chiesa non è più il verus Israel, cosa diventa in questa nuova teologia della Salvezza?
Non rientra negli scopi di questo studio, già lungo, presentare tutti gli aspetti della religione noachita. Questa religione, introdotta col Vaticano II, deve soppiantare il cattolicesimo. L’argomento è talmente vasto che vi si potrebbe dedicare un intero colloquio. Qui diamo alcuni reperti storici e rileviamo diversi aspetti di questo nuovo «cattolicesimo».

Dopo la Rivoluzione francese che emancipò gli Ebrei e permise loro di penetrare nelle società civili, i rabbini e i pensatori dell’ebraismo si interrogarono sulla soluzione religiosa del mondo a cui avevano dato nascita. Il ritorno nella terra di Israele era prossimo. Bisognava anche risolvere il problema religioso che non avrebbe mancato di porsi. La sfida dei dibattiti teologici tra i rabbini del XIX secolo può riassumersi così: «Quando avremo ritrovato il nostro ruolo di popolo sacerdotale, di popolo che apporta la salvezza alle nazioni, quale sarà la religione dei Cristiani che hanno preteso di essere il nuovo Israele?».

Elia Benamozegh, rabbino di Livorno, il Platone dell’ebraismo italiano, «uno dei maestri del pensiero ebraico contemporaneo» (73), propone una soluzione che pubblica nel 1884 nel suo libro principale Israele e l’umanità (74). Il sottotiolo evocatore è: Studio sul problema della religione universale e della sua soluzione.
La soluzione di Benamozegh, alla quale si allineeranno gradualmente i sostenitori dell’ebraismo, può essere sintetizzata come segue.
La Chiesa cattolica deve riformare il suo insegnamento su tre punti:
- cambiare la sua visione del popolo ebraico, che essa deve ristabilire come popolo primogenito, popolo sacerdotale «che ha saputo conservare nella sua originaria purezza la religione primaria». Questo popolo non è deicida, né rigetta Dio. Nessuna maledizione pesa su di esso. E’ destinato invece a proporre la felicità e l’unità dell’umanità. «Riconoscere – scrive Gérard Haddad (75) citando Benamozegh – la sua funzione che Paolo (76) ha creduto di poter cancellare».
- «Rinunciare alla divinità di Gesù, questo figlio dell’uomo, come si è designato lui stesso». Semplice rabbi. Gesù era ebreo e lo è rimasto.
- Predicare Gesù Cristo, ma un Gesù Cristo umano venuto a portare una morale per la felicità di tutti gli uomini.
- Accettare una reinterpretazione – e non una soppressione – del mistero della Trinità.




12 dicembre 2012 - Il cardinale Jorge Mario Bergoglio alla sinagoga Emanuel di Buenos Aires,
mentre accende uno dei lumi della lampada a nove lumi della festa di Hanukkah



E’ a queste condizioni che «la Chiesa cattolica è la Chiesa del vero cattolicesimo», vero cattolicesimo che Benamozegh chiama: noachismo, religione per tutti i popoli che appartengono allo «spazio cristiano», come dice Lustiger.
Questo noachismo (77) possiede una morale che la Chiesa ha la missione di far conoscere ai popoli della terra.

La dichiarazione degli Ebrei e dei vescovi americani del 13 agosto vi si riferisce esplicitamente:
«L’ebraismo ritiene che tutti i popoli sono obbligati ad osservare una legge universale. Questa legge, chiamata dei Sette Comandamenti di Noè, si applica a tutti gli esseri umani. Questi comandamenti sono: 1 – istituzione di tribunali di giustizia, così che la legge governi la società; 2 – proibizione della blasfemia; 3 – dell’idolatria; 4 – dell’incesto; 5 - dello spargimento di sangue; 6 – del furto; 7 – di mangiare la carne di un animale vivo.

Il nuovo fine della Chiesa sarà l’evangelizzazione dei popoli secondo quest’umanitarismo noachita, nonché l’unificazione i questi popoli (78). Il primato romano verrà ridefinito per facilitare l’unità dei Cristiani. Il noachismo sarà «la religione della morale naturale»! Perché in nessuna maniera i non ebrei devono cercare di convertirsi all’ebraismo o al mosaismo talmudico, religione riservata all’Eletto.
La soluzione Benamozegh, a lungo passata sotto silenzio, oggi è ripresa dai vertici del mondo ebraico. Il gran rabbino René Samuel Sirat, per esempio, ha fatto allusione allo status dei non ebrei in occasione delle esequie di un giovane francese di 24 anni, vittima di un attentato alla caffetteria dell’Università ebraica di Gerusalemme, il 31 luglio 2002:
«Davide, mio caro Davide, tu avevi scelto di avvicinarti spiritualmente e culturalmente alla nostra comunità ebraica e di rivendicare secondo l’ebraismo il bel titolo di guer toshav, straniero e cittadino insieme, che la Bibbia ha messo in evidenza e che il rabbino Elia Benamozegh, nel secolo scorso, ha magnificamente esplicitato nel suo libro Israele e l’Umanità. E’ una libera scelta avvicinarsi alla tradizione di Israele, osservare le sette leggi – dette leggi noachite – della morale naturale, già rivelate a Noè, padre di tutti i viventi (…) Perché, occorre ricordarlo, non è necessario convertirsi all’ebraismo per avere diritto alla salvezza eterna» (79).




Vaticano, 2 dicembre 2013, papa Bergoglio riceve in omaggio una menorah dal primo ministro ebreo Netanyauh. Il precedente 24 novembre, Bergoglio aveva pubblicato l'esortazione Evangelii Gaudium, in cui si afferma che l'antica Alleanza non è mai sta revocata.

Conclusione

La nuova religione uscita dal Vaticano II dev’essere compresa alla luce di questa lotta, sempre antica e sempre nuova, fra Gesù (Maria) e Satana, fra la Chiesa e la Sinagoga. Nel XX secolo, Satana sembra aver trovato il suo cavallo di Troia (il Vaticano II) e degli Achei cultori della teologia sovversiva.
«Al cuore di questo movimento di conversione, esplicitamente insegnato da teologi cristiani come Bouyer, Congar e de Lubac (80) si nasconde la riscoperta della Fede. E’ questo lavoro di conversione che la Chiesa cattolica e molti Cristiani vogliono oggi compiere». Così conclude il cardinale Lustiger il suo intervento alla Sinagoga di New York (81).

Nient’affatto, signor cardinale. Siamo Cattolici Romani, la nostra fede è in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nato per opera dello Spirito Santo dal seno purissimo della Vergine Maria; la nostra fede è in Gesù Cristo Salvatore degli uomini, crocifisso sotto Ponzio Pilato e risuscitato dai morti, venuto a completare la Legge e i Profeti e a fondare la Chiesa cattolica, apostolica, romana: nuova ed eterna Alleanza. La nostra non è la fede che lei predica. Con l’aiuto di Dio, con l’aiuto del Magistero della Chiesa e della sua Tradizione bimillenaria, noi non finiremo noachiti.
E questa nostra fedeltà meriterà forse agli Ebrei di approfittare delle grazie preziose della Redenzione – grazie che la Vergine Maria saprà spargere in abbondanza – come già ne hanno approfittato i Drach, i Libermann, i Ratisbonne, i Lemann, gli Zolli e tanti altri… veri convertiti, figli della Chiesa romana, figli di Maria.

«Dio di bontà, Padre delle Misericordie, noi Ti supplichiamo per il Cuore Immacolato di Maria, per intercessione dei Patriarchi e dei santi Apostoli, di gettare uno sguardo di compassione sui resti di Israele, affinché essi conoscano il nostro unico Salvatore Gesù Cristo e partecipino alle grazie preziose della Redenzione. Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno»
Preghiera di indulgenza di Leone XIII e di San Pio X




Vaticano, Santa Marta, 17 gennaio 2014, in occasione della giornata del dialogo tra Ebrei e Cristiani, papa Bergoglio invita a pranzo gli amici rabbini


NOTE


1 – Questo premio ricompensa la personalità che nell’anno ha più efficacemente lavorato
al riavvicinamento fra Cristiani ed Ebrei.
2 – Si veda l’intera dichiarazione in Nouvelle Revue Théologique, Tomo 120, n° 4 ottobre/novembre 1998, pp. 529-543. Il cardinale introduce così le  sue considerazioni: «Sono commosso di essere accolto in questa celebre e venerabile sinagoga di New York, ormai centenaria!». Il cardinale ha da poco pubblicato una sintesi del suo pensiero, che è una sorta di giudeo-cristianesimo sincretista, in un’opera intitolata La Promesse, Editions Parole & Silence, 2002. Claude Vigée valuta così il lavoro del cardinale: «Jean-Marie Lustiger mostra che non si può rigettare l’elezione di Israele, pena il distruggere lo stesso nocciolo del cristianesimo. E’ questa la chiave del suo libro. Per scrivere queste righe – nella situazione sociale e spirituale in cui egli si trova – occorre un grandissimo coraggio. Dei Cristiani non gli perdoneranno facilmente il fatto che ha ricordato che senza l’elezione di Israele non vi è elezione cristiana possibile (…) Ci si rende conto che se egli avesse scritto la stessa cosa al tempo dell’Inquisizione… sarebbe senza dubbio sul rogo!». France catholique, n° 2857, novembre 2002, p. 10.
3Ibid., p. 532.
4 – Questa precisazione non figura nel testo originale.
5 – Nel suo ultimo libro, il cardinale Lustiger distingue due Chiese, quella di Gerusalemme «Chiesa che nella Chiesa cattolica costituisce la permanenza della promessa fatta a Israele (…) e che è vissuta al più tardi fino al VI secolo, distrutta sotto la pressione di Bisanzio. Questa è una delle perdite maggiori della coscienza dei cristiani. La memoria della grazia che era stata fatta fu così cancellata, io non dico dalla Chiesa in quanto Sposa di Cristo, ma dai cristiani» (p. 17), E quella dei pagano-cristiani, dal VI secolo al Vaticano II: «Il peccato al quale hanno ceduto i pagano-cristiani, siano essi gli uomini di Chiesa o i principi o i popoli, fu di appropriarsi di Cristo sfigurandolo, e poi di fare di questo sfiguramento il loro Dio. (…) La loro misconoscenza di Israele è la prova della misconoscenza di Cristo che pretendono servire» (p. 81). Il cardinale Lustiger è ancora cattolico?
6op. cit., p. 535.
7 – A leggere queste righe, sembra che il cardinale Lustiger condanni i benefici dell’Editto di Milano del 313. In più, Costantino avrebbe così rifiutato «il tempo della Redenzione» con la messa da parte degli Ebrei. Curiosa lettura degli annali della Chiesa!
8 – Per il cardinale di Parigi, la sostituzione del popolo dell’antica Alleanza con il popolo cristiano sarebbe molto semplicemente un mito! «Nel suo libro La Promesse egli rifiuta, ed io sono del tutto d’accordo, la teologia della sostituzione», il rabbino Josy Eisenberg a J. M. Lustiger, Le Nouvel Observateur, n° 1988 del 12 – 18 dicembre 2002, p. 116.
9 – Il cardinale cita lo scrittore La Franquerie, Ascendences davidiques des Rois de France, Villegenon, 1984.
10 – Lustiger riprende qui l’espressione cara a Jules Isaac.
11 Si veda: Patrick Petit-Ohayon, La Mission d’Israël, un peuple de prêtres, Paris, Editions Biblieurope & F.S.J.U., 2002, pp. 83.
12 – Parigi, 28/29 gennaio. L’intervento è intitolato: Da Jules Isaac a Giovanni Paolo II: domande per l’avvenire. Si veda il testo in La Promesse, pp. 185-188 o nell’opera Rencontres européennes entre juifs et catholiques organisée par le Congrès juif européen, 28/29 janvier 2002, École cathédrale, Edizione Parole et Silence, 2002.
13 - Bruxelles 22 e 23 aprile 2002,  Juifs et chrétiens. Que doivent-ils espérer de leur rencontre ?  Intervento pubblicato in La Promesse, pp. 189-202. Si veda l’incredibile paragrafo intitolato: La liberté religieuse, clé de la démocratie.
14 - Washington, 8 maggio 2002. Que signifie, dans le choc des cultures, la rencontre des chrétiens et des juifs? in La Promesse, pp. 203-218.
15 - Lustiger crede in Gesù Cristo Messia, ma un Messia ebreo. Rileggere il molto opportuno Dieu est-il antisémite, l’infiltration judaïque dans l’Eglise conciliaire di Hubert Le Caron , edizione Fideliter, 1987. Questo autore studia il «tentativo di giudaizzazione della Chiesa romana», e le dichiarazioni del cardinale a France soir, del 3 febbraio 1981: «Io sono ebreo. Per me le due religioni sono una sola ed io non ho tradito quella dei miei antenati», pp. 83-115. Tuttavia, non tutti gli Ebrei aderiscono a questo ebreo-cristianesimo. Si veda l’articolo intitolato: Non, monsieur le cardinal, del rabbino Josy Eisenberg, Le Nouvel Observateur, n° 1988, p.116. Il quasi silenzio del cardinale sulla Vergine Maria è eloquente. Dei veri convertiti come i sacerdoti Lemann hanno predicato magnificamente Maria, corredentrice.
16 – Gli Ebrei infedeli sono divenuti gli strumenti di Satana nella lotta contro la Chiesa e contro la Madre di Dio. Nel Vangelo secondo San Giovanni, cap. VIII, versetti 24, 39 e 41-44, si legge: [Gesù disse loro] «“se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati … Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! … Voi fate le opere del padre vostro”. Gli risposero: “Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!”. Disse loro Gesù: “Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; … Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro”».
17 – Mons. Delassus, La congiura anticristiana, t. III, p. 1116 della versione francese, Desclée de Brouwer, 1910.
18 – Si veda in particolare il breve lavoro di Théodore Ratisbonne, La Question juive. Parigi, Dentu, 1856, pp. 31. Disponibile su internet: www.gallica.bnf.fr.
19 - Josué Jéhouda, L’Antisémitisme, miroir du monde, prefazione di Jacques Soustelle, Ginevra, Edizioni Synthésis, 1958, pp. 283. Jéhouda si ritiene il continuatore del rabbino di Livorno Elia Benamozegh. Di grande interesse sono questi altri due libri: La Terre promise, Parigi, Rieder, 1925, pp. 122; e Les Cinq étapes du judaïsme émancipé, Ginevra, Edizioni Synthesis, 1946, pp. 132. José Jéhouda ha anche fatto la prefazione dei libri di Elia Benamozegh, Morale juive et morale chrétienne, Edizione rivista e corretta, Baconnière, 1946, pp. 272; La Vocation d’Israël, Parigi, Zeluck, 1947, pp. 240; Le Monothéisme, doctrine de l’unité. Ginevra, Edizioni Synthesis, 1952, pp. 175. Institut pour l’Étude du monothéisme. Cahiers (I.E.M). 1° vol., marzo 1952; Sionisme et messianisme, Ginevra, Edizioni Synthesis, 1954, pp. 318, Cahiers I.E.M. 3° vol., ottobre 1954; Israël et la Chrétienté. La Leçon de l’histoire... Ginevra, Edizioni Synthesis, 1956, pp. 263; Israël et le monde (synthèse de la pensée juive), Parigi, Éditeur scientifique. s.d.; Le Marxisme face au monothéisme et au christianisme, Ginevra, Edizioni Synthesis, 1962, pp. 71.
20 - Josué Jéhouda, L’Antisémitisme, miroir du monde, pp. 161-162. Citato nell’opuscolo di Léon de Poncins, Il problema ebraico di fronte al Concilio, p. 27. Quest’opuscolo venne distribuito a tutti Padri conciliari nel 1965, prima della quarta sessione. Si vedano più avanti le circostanze storiche di questa diffusione.
21 – La rivista Unité des Chrétiens, nel n° 109 (p. 34) pubblica la foto di tutti i partecipanti.
22 – Si veda: Mes souvenirs de la Conférence de Seelisberg et de l’abbé Journet, del rabbino A. Safran; e La Charte de Seelisberg et la participation du cardinal Journet, di Mons. P. Mamie, al Colloquio dell’Università di Friburgo, 16-20 marzo 1998, sul tema: Judaïsme, anti-judaïsme et Christianisme, Saint-Maurice, Edizioni Saint Augustin, 2000, pp. 13-35. Il cardinale Journet fu invitato alla conferenza dal R. P. de Menasce, O.P., egiziano, ebreo convertito. Quanto a Jacques Maritain, fu invitato dal pastore di Ginevra Pierre Visseur.
23 – Il testo per intero venne pubblicato dalla rivista Nova et Vetera, 1946-47, n° 4, pp. 312-317. Esso portava il titolo: Contre l’Antisémitisme. Vi si può leggere: «I cristiani comprenderanno anche che devono rivedere attentamente e purificare il loro linguaggio, in cui un’abitudine non sempre innocente, in ogni caso singolarmente imprudente, circa il rigore e l’esattezza, ha permesso espressioni assurde, come quella della razza deicida, o una maniera più razzista che cristiana di raccontare la storia della Passione, maniera che induce nei bambini cristiani l’odio per i loro compagni di classe ebrei (…)»
24 - André Kaspi, Jules Isaac, historien, acteur du rapprochement judéo-chrétien, Parigi, Plon, 2002, p. 215.
25 - ibid., p. 216.
26 - ibid., p. 232.
27 – La famosa intenzione rivelata da Giovanni XXII a San Paolo fuori le Mura rimane inquietante. Sarebbe interessante sapere se Jules Isaac o le organizzazioni ebraiche abbiano avuto un ruolo nella decisione presa da Giovanni XXIII. Si sa che nel 1923, i cardinali sconsigliarono a Pio XII una tale convocazione. Il cardinale Billot aveva persino saputo predire al Sommo Pontefice: «Non dobbiamo temere di vedere il concilio “manovrato” dai peggiori nemici della Chiesa, i modernisti, che già si apprestano, come dimostrano certi indizi, ad approfittare degli Stati Generali della Chiesa per fare la rivoluzione, un nuovo 1789?». Citato da Mons. Tissier de Mallerais in Mons. Marcel Lefebvre, Una vita, Ed. Tabula Fati, Chieti, 2005, p. 311, nota 3.
28 - Éditions du Cèdre, Parigi, 1982 (4° edizione).
29 – Pubblicato dai giornali egiziani. Si veda l’opera scritta da Bea: L’Eglise et les Juifs, Le Cerf, 1967.
30 – Si veda l’articolo Comment les juifs ont changé la pensée catholique di Joseph Roddy, nella rivista Look, 25 gennaio 1966, articolo interamente tradotto e pubblicato in Sel de la Terre, n°34, Autunno 2000, pp. 196-215. Queste righe si rifanno molto a questo articolo.
31 – Ci sarebbe da scrivere sugli anni preparatori del Concilio (Uomini, relazioni, reti, progetti, pubblicazioni, piani, amicizie, inimicizie…).
32 - Léon de Poncins, Le Judaïsme et le Vatican, une tentative de subversion spirituelle, Edizioni Saint Rémi, 2001, p. 204. La similitudine con le affermazioni contenute nella dichiarazione ebraico-episcopale americana del 13 agosto 2002 è impressionante: «I cristiani dovrebbero invitare degli ebrei a battezzarsi? E’ una questione complessa, non solo in termini di auto-definizione teologica cristiana, ma anche a causa della storia dei battesimi forzati di Ebrei da parte dei cristiani. In uno studio notevole e sempre molto pertinente, presentato al sesto incontro del Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico, a Venezia, venticinque anni fa, il Prof. Tommaso Federici esaminò le implicazioni missionarie di Nostra Aetate. Su delle basi storiche e teologiche egli diceva che nella Chiesa non doveva esserci alcuna organizzazione, di qualsivoglia tipo, dedicata alla conversione degli Ebrei». Riflessioni sull’Alleanza e la Missione, documento pubblicato dal Comitato episcopale per gli Affari ecumenici e interreligiosi e dal Consiglio nazionale delle sinagoghe, in cui si dice che la conversione degli Ebrei è uno scopo inaccettabile, Washington, 13 agosto 2002.
33 – Joseph Roddy, op. cit., p. 201.
34 – I due personaggi erano ufficialmente dei convertiti all’ebraismo.
35 Storia del Concilio Vaticano II, sotto la direzione di G. Alberigo, edizione francese pubblicata a Parigi da Cerf/Peeters, 1997, t. 1, pp. 440-441.
36 – Joseph Roddy scrive: «Bea voleva che né la Santa Sede, né la Lega Araba sapessero che egli era là per raccogliere le domande alle quali gli Ebrei volevano delle risposte», op. cit., p. 202.
37 - «I capitoli IV e V sugli Ebrei e sulla libertà religiosa sollevarono accese discussioni tra innovatori e tradizionalisti. La posta in gioco era né più né meno che la rinuncia della Chiesa al suo monopolio dell’Unica Verità», Henri Tincq, L’Etoile et le Croix. Jean-Paul II - Israël : l’explication. Parigi, J. C. Lattès, 1993, p. 30. I patriarchi orientali furono tra i più coraggiosi a difendere la teologia della Chiesa; citiamo: il cardinale Tappouni, patriarca siriano di Antiochia, Maximos IV, patriarca melchita di Damasco, il patriarca copto Stefano I Sidarous, e il patriarca latino di Gerusalemme…
38 - Les Hébreux et le Concile di un certo Bernardus. Si veda René Laurentin, L’Eglise et les juifs à Vatican II, Casterman, 1967.
39 - Un argomento di studio per gli studenti: Le déicide au Concile. Infatti, i dibattiti sono stati accesi e appassionati. Così Bea: «Se è evidente che il sinedrio di Gerusalemme rappresentava il popolo ebraico, esso aveva pienamente compreso la divinità di Cristo? Se la risposta è no, allora non c’è stato deicidio formale», o il cardinale Ruffini, arcivescovo di Palermo, che prende la parola per dire: «Non si può dire che gli Ebrei siano deicidi, per la buona ragione che non si può uccidere Dio». Si veda Henri Tincq, op. cit., p. 36, e Braun (R.), Le peuple juif est-il déicide?, articolo pubblicato nella rivista Rencontre chrétiens et juifs, n° 10, supplément, 1975, pp. 54-71.
40  - Questi incontri tenuti ufficialmente segreti inquietavano i buoni vescovi. Roddy scrive: «Fu questo genere di incontri al vertice, svoltisi di nascosto, che portarono i conservatori a dire che gli Ebrei americani formavano il nuovo potere agente alle spalle della Chiesa». op. cit., p. 206.
41 – Henri Fesquet commenta lo schema preparatorio: «99 Padri hanno votato No, 1650 hanno votato Sì, e 242 hanno votato Sì con riserva. I vescovi d’Oriente sono intervenuti in blocco dichiarando la loro opposizione di principio ad ogni dichiarazione sugli Ebrei da parte del Concilio. Pertanto lo scrutinio finale avrà luogo alla fine della quarta sessione, nel 1965». Le Monde, 27 novembre 1964.
42 - Léon de Poncins, Le problème juif face au Concile, p. 7.
43 - Mons. Luigi Carli, l’amico fedele di Mons. Lefebvre al Coetus internationalis Patrum, fece pubblicare nella sua rivista diocesana, nel febbraio 1965, che gli Ebrei all’epoca di Cristo e i loro discendenti fino ad oggi erano collettivamente colpevoli della morte di Cristo.
44 - André Chouraqui, La reconnaissance. Le Saint-Siège, les juifs et Israël, Parigi, Robert Laffont, 1992, p. 200.
45 – In corsivo nel testo.
46 - Colloquio dell’Università di Friburgo, 16-20 marzo 1998, sul tema: Judaïsme, anti-judaïsme et Christianisme, Saint-Maurice, Éditions Saint Augustin, 2000, op. cit., p.129.
47 – Creatore del sito: www.chrétiens-et-juifs.org
48 - Le dialogue avec l'Eglise est-il "bon pour les juifs"? Bruxelles, settembre 1997.
49 - Paul Giniewski, L’anti-judaïsme chrétien : la mutation, Parigi, Salvator, 1993, p. 506. La lettura di questo libro è d’obbligo per chi vuol conoscere gli avvenimenti alla luce della lotta fra la Chiesa e la Sinagoga.
50 – Il cardinale Lustiger, nel suo intervento davanti al Congresso ebraico europeo, a Parigi nel 2002, ha saputo riassumere in maniera sorprendente la storia delle relazioni ebraico-cristiane tra il 1945 e il 1965: «I firmatari di Seelisberg hanno sperato. Jules Isaac ha bussato alla porta. Il Concilio Vaticano II l’ha aperta con la dichiarazione Nostra Aetate». Non si poteva sintetizzare meglio. La Promesse, op. cit., p. 187.
51Ibid., p. 187.
52 – L’espressione è anche quella di Lustiger nel suo intervento alla sinagoga di New York. «Questa presa di coscienza si è condensata, per la Chiesa cattolica, nella dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II. E dopo trent’anni essa ha dato luogo a numerose prese di posizione, in particolare sotto l’impulso del Papa Giovanni Paolo II. Ma questa nuova comprensione deve ancora rimodellare in profondità i pregiudizi, le idee di tanta gente che appartiene allo spazio cristiano, ma il cui cuore non è ancora purificato dallo Spirito del Messia». Op. cit.
53 - F. Lovsky, Le Royaume divisé : Juifs et Chrétiens, Edizioni Saint Paul, 1987.
54 – Le riviste Istina e Sens hanno largamente riprodotto i dibattiti e i nuovi dati teologici. Si veda tra gli altri: Essai de programme pour une théologie après Auschwitz, di Franz Mussner, Istina, n° XXXVI, 1991, pp. 346-351.
55 – Si veda il sito del S.I.D.I.C : Service Information Documentation Juifs et Chrétiens. Il sito è presentato così: «Che cos’è il SIDIC? Un organismo cattolico animato dalle Suore di Notre-Dame di Sion. Il suo obiettivo? Far passare nella vita dei cristiani le direttive del concilio Vaticano II sulle relazioni fra la Chiesa e il popolo ebraico. Chi è interessato? Ogni cristiano desideroso di approfondire la sua fede fino alle sue radici ebraiche, di lottare contro l’antisemitismo, di conoscere e di riconoscere il suo fratello ebreo».
56 - Réflexions sur l’Alliance et la Mission, Document publié par le Comité épiscopal des Affaires oecuméniques et interreligieuses et le Conseil national des synagogues disant que la conversion des juifs est un but inacceptable. [Documento pubblicato dal Comitato episcopale per le questioni ecumeniche e interreligiose e dal Consiglio nazionale delle sinagoghe, in cui si dice che la conversione degli Ebrei è uno scopo inaccettabile] Washington, 13 agosto 2002.
57 - Paul Giniewski, L’anti-judaïsme chrétien : la mutation, Parigi, Salvator, 1993, p. 391. Le citazioni che seguono sono tratte da questo libro.
58 - R. P. Jean Dujardin, intervento ad un «Incontro dei giovani», marzo 1998, Rivista Sens, n° 11/12, p. 533.
59 - Alain Marchandour, intervento al Colloquio, Procès de Jésus, procès des Juifs?, novembre 1996, Le Cerf, 1998, p.11.
60 - Charles Perrot: La situation religieuse d’Israël selon Paul, in Procès de Jésus, procès des Juifs?, op. cit., pp. 134-136.
61 - Le Nouvel Observateur, 22-28 febbraio 1998, p. 110.
62 – Relazione su queste giornate, pubblicata sul sito delle Suore di Nostre Dame di Sion.
63 - La Documentation Catholique [DC], 1985, 733-738. Si veda anche il Discorso ai delegati delle Conferenze Episcopali per i rapporti con l’ebraismo del 6 marzo 1982 (DC 1982, pp. 339-340).
64Discorso di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma del 13 aprile 1986.
65 – Dichiarazione degli studiosi ebrei americani, settembre 2000. Si veda il sito  www.chrétiens-et-juifs.org. André Paul, biblista e teologo, sembra riprovare il «sionismo» del cardinale Lustiger (La Promesse): «L’erompere di patetiche esegesi, dove il linguaggio ambiguo fiorisce volentieri alla maniera di una gnosi giudeo-cristiana, è seguito da appelli poco lodevoli alla “conoscenza reciproca” (p. 189) di ebrei e cristiani, il tutto allo scopo di affermare, questa volta senza ambiguità, che il sionismo politico attuato nel 1948 è una cosa “necessaria” (p. 182), molto di più: un dono di Dio». L’Express, n° 2683, 5-11 dicembre 2002, p. 96. Per gli Ebrei, la loro presenza in Terra Santa è evidentemente di ordine teologico. Quanto alla ricostruzione del Tempio, il progetto è in fase avanzata.
66 - Paul Giniewski, L’anti-judaïsme chrétien: la mutation; op. cit.
67 – Parigi, Éditions Biblieurope & F.S.J.U., 2002, pp. 83.
68 – Si veda cosa chiede André Chouraqui otto anni dopo (1992) in un capitolo intitolato: Pour un Grand Pardon universel : «Certi cristiani si augurano che la Chiesa cattolica organizzi una solenne cerimonia di espiazione e richiesta di perdono per i crimini, per le ingiurie e i danni causati direttamente o indirettamente agli Ebrei dai cristiani», op. cit. p. 241. Si veda anche: Fère Yohanan, Juifs et chrétiens, d’hier à demain, Le Cerf, 1990, p. 56: «Il bilancio totale dell’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli Ebrei nel corso della storia e sfortunatamente pesante. Per la Chiesa cattolica vi è un dovere grave e urgente: esprimere pubblicamente e ufficialmente un profondo dispiacere per tutto il male la cui causa principale è stato l’insegnamento cristiano». Chouraqui rivela: «Questa domanda di perdono era stata suggerita fin dal 1945 da voci autorevoli, in particolare da Jacques Maritain, Paul Claudel e più recentemente dal cardinale Etchegaray», op. cit., p. 241.
69 – Si veda lo studio di Michel Feretti, L’Eglise et ses Inquisitions, Edizioni Saint Rémi, 2001, pp. 77. «I miti e le leggende nere sull’Inquisizione non sono più di alcun interesse per gli storici. Da Bennassar a Testas, l’Università ha prodotto dei lavori serii sull’argomento. Ma questa verità storica è lungi dall’essere conosciuta o ammessa dall’universo mediatico e dai grandi mezzi di comunicazione (compresi i manuali scolastici). Da qui l’utilità dell’opera firmata Michel Feretti, che offre una sintesi chiara è bene informata. Michel Feretti ristabilisce delle verità misconosciute e torce il collo a certi “miti”» (Yves Chiron).
70 – La foto è presente sulla copertina di numerose opere, tra cui quella del cardinale Lustiger. Gli autori e gli editori hanno capito tutto il simbolismo di questo gesto.
71 – Per chi volesse approfondire: Abraham Livni, Le Retour d’Israël et l’Espérance du Monde, Éditions du Rocher, Collection Hatsour, 1984; Paul Giniewski, Les Complices de Dieu, définition et mission d’Israël, Neuchâtel, Éditions de la Baconnière, 1963, pp. 222.
72 - «Il mondo funzionerà bene solo quando sarà noachita», Gérard Addad all’emittente Judaica, 21 settembre 1996.
73 – Pagina 4 di uno studio pubblicato su Internet e intitolato: Il Noachismo e le sette occulte. Studii biblo-coranici su www.le-carrefour-de-lislam.com. Senza autore.
74 Si veda: Elia Benamozegh, Israël et l’Humanité, Parigi, Albin Michel, 1961. Sfortunatamente, questa edizione è purgata. Recentemente è stato aperto un sito su Benamozegh e le sue opere, tramite esso è reperibile la versione integrale di questo libro di 714 pagine, ristampato nel 1914.
75 - Gérard Haddad, Aimé Pallière et la «vraie religion», nella rivista Histoire, n° 3, novembre 1979.
76 – Per molti autori ebrei, San Paolo è il grande traditore che ha rigettato l’ebraismo per «inventare» il Cristianesimo, che essi chiamano con disprezzo Paolinismo.
77 – Il noachismo non sembra essere riservato allo «spazio cristiano». I musulmani guardano con interesse a questa mutazione della religione cattolica. Si può leggere in linea uno studio di 27 pagine redatto da loro e intitolato Il Noachismo e le sette occulte, op. cit.
78 - «La direzione presa dal dialogo ebraico-cristiano è irreversibile. Essa si inscrive nel movimento dell’umanità che si raccoglie, per quanto questo possa lacerarla». Lustiger, Nouvelle Revue Théologique, op. cit., p. 542.
79L’Arche, mensile dell’ebraismo francese, n° 538, dicembre 2002, p. 107.
80 – Nella lista potrebbe figurare Hans Küng. Si veda il suo libro molto importante: Ebraismo, ed. BUR, 1999, pp. 848. E potrebbe figurare anche Theilhard de Chardin. Si veda il libro di Don Julio Meinvielle, Dalla Cabala al Progressismo, Edizioni Effedieffe, 2018, pp. 500, «Noi pensiamo che le gnosi che agiscono nel mondo cristiano sono influenzate da cause ed elementi tipicamente ebraici», p. 324 dell’edizione francese.
81Nouvelle Revue Théologique, op. cit., p. 542.






febbraio 2019
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI